Capitolo 6

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-Ermal

Passano i giorni, e nessuno viene a infastidirmi più del dovuto. Certo, ci sono state molte domande sul perché io abbia ritenuto "importante" parlare di una ragazza che ho incontrato, davanti a milioni di persone. Quello che ne è fuoriuscito era abbastanza prevedibile, mille e mille ipotesi su chi il sottoscritto possa aver posato gli occhi durante la sua piccola vacanza.
Sono passate un paio di settimane da quel giorno e stamattina, quando credevo ormai di potermi dichiarare salvo da questa cosa, è spuntato un dettaglio per i miei fan fondamentale per andare in fondo alla faccenda: la città in cui ho soggiornato, Verona.
E così i pettegolezzi che sembravano essersi placati, sono tornati più insistenti di prima.
Come glielo devo far capire che io di quella ragazza non conosco neanche il nome?
O meglio, credo di conoscerlo, ma non me lo ricordo.
Anche il mio manager e alcuni miei amici mi stanno assillando, ora un po' meno, ma quando all'inizio la situazione è parsa esplodere, hanno avuto la geniale idea di farmi sparire il telefono e far stampare la suddetta foto, piazzandomela sul comodino, incorniciata per bene, per prendermi per il culo.
E anche se adesso, trovandola leggermente inquietante, quella cornice l'ho girata faccia in giù, mi hanno fatto ridere come un cretino, dopo averli insultati, ovviamente.

Mi strofino gli occhi con le dita, prendendo un grande respiro a pieni polmoni.
-ci mancava solo questo adesso...-
Una stupida foto.
Tutto per una foto.
Dio solo sa quante foto mie ci sono in giro in questo momento.
E una soltanto mi sta creando casini assurdi.
Possibile che non capiscano che non me ne importa niente?
Butto la testa indietro sullo schienale della poltrona che c'è vicino al mio letto, e un occhio mi ricade fugacemente sulla ragione dei miei grattacapi. La cornice gialla attende di essere rimessa in piedi.
Sbuffo tornando a fissare lo schermo del cellulare quando l'ennesimo messaggio inquisitorio fa tintinnare la casella delle notifiche.
Preso dal nervoso lancio il telefono sul letto, mi alzo di scatto e sollevo la poltrona per poi piazzarla davanti al comodino.
Dopo un momento di indecisione allungo una mano e sollevo la foto, ritrovandomela davanti.
-non so nemmeno il tuo nome e per colpa tua la mia vita sta diventando quasi ingestibile-
Ma so perfettamente che la colpa è solo mia.
Sono stato un cretino a parlarne in radio, hanno tutti pensato che per me fosse una persona importante, e adesso si, mi importa, mi importa che finisca questa storia. Sono due settimane che non esco di casa.
Quel giorno deve per forza aver ascoltato quell'intervista, e deve aver avuto i miei stessi pensieri.
Riesco quasi aad immaginarla, con l'aiuto di questa foto, certo, perché se una persona la incontri una volta sola mica puoi ricordarti la sua faccia per sempre. Però si, riesco quasi ad immaginarla, magari seduta ad un tavolino dentro un bar, con un caffè davanti e le cuffiette nelle orecchie. Provo a raffigurarmi la sua espressione, mentre si rende conto che si, un cantante famoso sta parlando di lei a tutta la nazione.
Da dove mi esce tutto questo egocentrismo?
Rido leggermente fra me e me, sono davvero patetico.
Mi alzo ed esco dalla camera, deciso a distrarmi e a non pensare a tutto questo per il resto della giornata.
Per un attimo, mi ritrovo a desiderare di non essere famoso.
Dopotutto infondo, se non fosse per i miei fan, ora tutto questo caos non esisterebbe.
Che pensiero folle, loro sono tutto ciò che mi ha dato modo di arrivare dove sono ora.
Ma per ora voglio solo ignorarli, prima o poi capiranno.

Lancio un'occhiata ai vestiti che indosso: a parte il maglione un po' da casa, il resto è passabile.
Mi dirigo nell'ingresso e recupero cappotto e chiavi, prima di chiudermi alle spalle la porta e salire in auto.
Accendo il motore per farlo scaldare.
Dove potrei andare?
Rimango alcuni minuti immobile, ma dato che la risposta tarda ad arrivare, avvio la macchina lungo il vialetto, qualcosa da fare poi mi verrà in mente.

Continuo a guidare per un po', in cerca di un posto che non sia pieno di gente, cosa alquanto impossibile a Milano, anche con questo freddo.
Cosa possibile a Verona però.
Ancora ricordo quel silenzio strano, interrotto solo dallo svolazzare dei piccioni e dei gabbiani intorno a noi.
Si

, ho scoperto che a Verona ci sono i gabbiani.
Che momento surreale.
Ero già stato in quella città prima, ma mai avrei immaginato possibile un'assenza di rumori pari a quella.
Per un attimo un pensiero sciocco come quello di un bambino mi appanna la testa, come il mio respirare fa imbiancare i finestrini della macchina.
Sembrava quasi che il silenzio fosse calato per far sì che mi accorgessi di lei, su quella panchina.
Provo a ricordarmi il suo viso, ma intravedo solo due occhi verdi, non ci riesco.
E non ho nemmeno un nome a cui aggrapparmi.

Mi fermo poco più avanti, su uno spiazzo sterrato all'estremità di una curva.
Ho guidato tanto, che ora mi trovo circa a metà di una collina deserta, non so esattamente dove, so solo che da qui, molto in lontananza, si vede la città.
Scavalco il guardrail e faccio qualche passo sull'erba a lato della strada, respirando a pieni polmoni quest'aria buona.
Cerco il pacchetto di sigarette nella tasca del cappotto, senza riuscire a trovarlo, e ricordandomi di come prima, nell'entrare in auto, l'abbia lanciato sul sedile del passeggero.
Mi maledico mentalmente, ma va bene lo stesso, non ne ho veramente così bisogno.
Mi torna in mente la scena che prima mi ero immaginato, riuscendo in qualche modo a figurarmi la sua faccia, con questo trucchetto di pensare un'immagine che già mi ero fatto in testa, qualche ora fa.
Magari la mia versione è completamente distante da quello che stava facendo mentre ascoltava la radio.
O magari non l'ha nemmeno ascoltata la trasmissione, ed è solo fortuna che fin'ora quella foto non sia saltata fuori.

Quando torno sui miei passi il sole è già alto nel cielo, e per quel che può in questo novembre così freddo, riesce a scaldarmi un po'.
Mentre torno verso casa mi metto a canticchiare la mia ultima canzone, trovandola forse un po'smielata, considerando che non parla di nessuno in particolare, anche se, vorrebbe far credere il contrario.
Anche la mia uscita in radio sembrava far credere una cosa del genere, mi rendo conto.
Imbocco la via di casa, lontano dal caos del centro, e mi fermo davanti al portone.
Mentre spengo la macchina mi ritrovo nuovamente ad immaginarmela, questa volta seduta accanto a me, sul sedile del passeggero, mentre mi guarda con quella sua aria assente che aveva la prima volta che l'ho vista.
-forse sto diventando matto- dico tra me e me, rendendomi conto di quanto mi sembrerebbe semplice, far sparire quei pettegolezzi, se potessi soltanto parlarle.

Romeo e Giulietta non sono mai esistiti.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora