Capitolo 17

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-Sofia

Non so bene cosa dire, non mi viene da far altro se non sorridere, mentre stringendomi le braccia intorno al corpo in modo nervoso quasi mi stritolo da sola.
Anche Ermal sembra non sapere come iniziare, ma é comunque il primo a rompere il silenzio.
-pare che il nostro "rivederci" non sia durato molto- dice a bassa voce.
Sento una strana fitta alla bocca dello stomaco, e non mi capacito del perché mi stia facendo male proprio adesso.
Non mi era mai accaduto prima.
-forse va bene così- ipotizzo guardando altrove.
-forse si, ma...che cos'è che te lo fa dire?-
La domanda mi coglie un po' di sorpresa, e prima di trovare il coraggio per rispondere a lui, mi rendo conto di doverlo trovare per cercare la risposta.
E non é affatto facile.
Perché va bene così?
Perché lui é famoso, non può permettersi di avere una vita normale.
Perché non può essere veramente mio amico.
Perché io non dovrei essere qui, sono soltanto una fan.
Perché questo genere di cose accade solo nelle storielle che da piccola mi piaceva tanto leggere.
Ma non sono queste le risposte giuste.
Perché?
Perché va bene così?
Mi premo una mano sullo stomaco, cercando di ignorare questa sensazione che non smette.
Ermal se ne accorge e sembra dimenticare in quattro e quattr'otto la sua domanda.
-c'è qualcosa che non va?-
Le sue mani corrono verso le mie, ma si fermano titubanti sfiorandole appena.
-é solo una fitta, un po' di fastidio...mi passa subito-
-davvero?-
Dannazione Ermal.
-si, mi capita, ogni tanto- mento abbozzando un sorriso.
-é meglio che vada- aggiungo poco dopo, buttando un occhio sull'orologio al suo polso.
Sono quasi le otto.
-io...si, certo, hai ragione, non voglio farti perdere tempo- risponde sorridendo.
-mi ha fatto piacere conoscerti Meta-
Mi osserva, sembra indeciso se parlare oppure no.
-Sofia, io...credo che una persona non si possa conoscere in un giorno- borbotta.
Rido leggermente, inclinando la testa.
-nemmeno in una vita intera si può-
E mentre la mia frase sembra lasciarlo interdetto, allo stesso tempo assume lo sguardo di chi sta iniziando a capire qualcosa di me che, sono sicura, a lui non vorrei mostrare.

-posso abbracciarti?-chiedo poco dopo.
-solo se lo fai normalmente- dice prendendomi un po' in giro e spalancando le braccia.
Imbarazzata come sempre mi avvicino, e una volta a portata di mano, mi sento stringere ancor prima che le mie dita incontrino il suo cappotto.
Mi ritrovo ben presto a bofonchiare cose incomprensibili sulla stoffa della sua giacca, facendolo ridere mentre cerca di indovinare cosa io abbia detto, ma senza la minima intenzione di lasciarmi parlare normalmente.
I suoi capelli mi fanno il solletico sulle guance facendomi ridere. É strano, non mi sento per niente fuori posto, Ermal fa uno strano effetto.

-devo davvero andare adesso-
Spezzo quell'istante come se fosse il tipico ramoscello che il cacciatore pesta in mezzo al bosco, quando il silenzio diventa il suo peggior nemico e il suo miglior alleato allo stesso tempo.
Torniamo entrambi ai nostri posti, ci sorridiamo impacciati, senza dire una parola.
Il silenzio, miglior alleato.
E senza dirci quel qualsiasi "arrivederci" che forse mi aspettavo.
Il silenzio, peggior nemico.

Un cenno del capo da parte mia, mentre lui si limita a guardarmi ed io faccio finta di saper interpretare i suoi movimenti impercettibili.
Poi un passo indietro, mi volto, ed esco da sotto questo tetto stellato e terso, abbandonando questa stanza inesistente.

La lezione questa volta è tutta di laboratorio, un buon motivo per distrarmi.
Mentre mi destreggio tra pinze e carta vetrata pensare ad altro mi sembra la cosa più facile del mondo, presa come sono dal mio lavoro.
Solo ogni tanto il riassunto di queste due giornate tenta di fare capolino.
Sono state ore talmente assurde che, il sapere che quando uscirò non ci sarà un cantante imberrettato ad aspettarmi non mi dà dispiacere, almeno non adesso. Adesso ci sono solo io, io e un paio d'ore di passione.

La serata passa comunque più velocemente di quanto desiderassi, e in un batter d'occhio si fanno le dieci e mezza.
Inizio a raccogliere le mie cose quando vedo il professore cominciare per primo a fare lo stesso.

Quando metto piede fuori dall'edificio mi rendo conto di quanto freddo ci sia effettivamente. L'aria gelida mi fa rabbrividire, la sento infilarsi ovunque sotto la giacca e la sciarpa pesante.
Mi guardo intorno di sfuggita, ma non c'è nessuno ad aspettarmi, come é normale che sia.
Mi incammino verso la stazione con le cuffiette nelle orecchie, ma senza mettere la musica. So perfettamente che playlist partirebbe se lo facessi.
Ermal e la sua voce da togliere il fiato.

Arrivo alla stazione, scendo per il sottopasso per poi risalire al mio binario.
Il treno é stranamente già qui, come un invito ad andarmene.
Salgo gli scalini della carrozza, percorro il corridoio e mi siedo, il posto vicino al finestrino.

Sorrido, al pensiero di qualche ora fa, quando ho dato ad Ermal la risposta alla sua domanda.
Cosa ti fa pensare che vada bene così?
E l'ho capito solo quando me lo sono lasciata alle spalle.
Quando mi sono voltata per tornare indietro e sono uscita dall'accademia, e lui era già infondo alla strada, se ne stava andando.
Così l'ho chiamato, forse a voce un po' troppo alta, ma tanto non c'era nessuno. E lui si é girato, e ha fatto un sorriso bellissimo.
-quel poco tempo è andato bene- ho gridato, cercando il coraggio e le parole -perché mi ha fatto venire voglia di rivederti ancora-
Mi ha guardato per poco, un interminabile piccolo "poco".
Poi ha fatto un cenno e se n'è andato, voltandosi solo una volta, con un sorriso ancora più bello del primo.

Romeo e Giulietta non sono mai esistiti.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora