Capitolo 23

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-Sofia

La sveglia stamattina ha suonato in orario, mi sono alzata e dopo una bella doccia calda Sara e i suoi genitori mi hanno portata a fare colazione in pasticceria, abbiamo riso, scherzato e parlato tanto, e poi mi hanno accompagnata alla stazione.
È stato l'ennesimo abbraccio strappalacrime della giornata, ma è stato dolce da togliere il fiato.
Lo rifarei altre cento e cento volte.
Forse non ci rivedremo per un po' ora che è tornata a casa, ma va bene così, ci sono abituata. È anche questo che rende sempre più speciale ogni momento che riusciamo a passare insieme.

Sto aspettando seduta su una panchina dell'unico binario di questa minuscola stazione di provincia.
Il treno è in ritardo, l'hanno annunciato poco fa da tutti gli altoparlanti, ovvero gli unici due ai lati della porta, e la voce registrata ha gracchiato in modo orribile.
Sara e i suoi genitori sono andati via da una mezz'oretta.
Dopotutto avevano le loro faccende da sbrigare.
Decido di recuperare il libro che mi ha prestato Sara dal fondo della borsa, sperando di ingannare l'attesa leggendo un po'.
Il tempo si dilata mentre scorro con gli occhi tra le pagine, e presto vengo interrotta da un altro avviso registrato, che invade con la sua voce la stazione.
Purtroppo però non è ancora il mio treno, ma uno che ferma qua nel piccolo deposito.
Mi viene in mente Ermal, e di come ieri sera abbia finito con l'addormentarmi chiacchierando con la mia migliore amica, invece di chiamarlo.
Credo di sentirmi un po' in colpa.
Perché?
Chiudo il libro, usando come segnalibro il biglietto del treno, e prendo il telefono.
Il suo numero campeggia sullo schermo; devo solo premere il tasto di chiamata.
Mi allento leggermente la sciarpa che mi sta improvvisamente dando fastidio.

Dopo alcuni squilli la segreteria telefonica mi fa mettere giù il cellulare.
Sbuffo, alzandomi e cominciando a camminare lungo la banchina guardandomi intorno.
Mi sono allontanata di qualche decina di metri dalla panchina vicino a cui ho lasciato la valigia, dandole le spalle, quando la chiamata torna indietro.
Il telefono quasi mi scivola dalle mani come una saponetta, e probabilmente se qualcuno mi vedesse adesso non sarebbe la migliore delle mie figure.
-Ermal! Io... Ciao! - esordisco cercando di ricompormi.
Neanche potesse vedermi.
Mentre parlo mi cade l'occhio sulla scritta luminosa vicino alla porta del treno accanto a me che indica la tratta.
"Bari-Siena"
-carino il cappello, è nuovo? -
Mi giro di scatto sgranando gli occhi.
Ermal è seduto sulla panchina vicino alla mia valigia, e non la smette di sorridere e ridere come un idiota nel vedere la mia faccia.
-mi prendi in giro? - esclamo ridendo e portandomi una mano alla bocca.
-pensi di venire qua o intendi rimanertene lì? - ribatte lui senza smettere di ridere.
Annuisco e in fretta chiudo la chiamata, incamminandomi a passo svelto verso di lui.
Dopo poco mi ritrovo accolta in un abbraccio tanto strano quanto dolce.
E per quanto assurdo, non mi sembra fuori posto.
Va bene, lo ammetto, mi era mancato.
-cosa diavolo ci fai...tu qui? - bofonchio con il viso schiacciato contro la sua giacca.
Ermal appoggia la guancia a lato della mia fronte, sulla tempia sinistra, e da come la sua pelle si tira, intuisco che sta sorridendo.
-non ne ho la più pallida idea- mi risponde lui, accendendo qualcosa nella mia testa che credo, non se ne andrà più.
Alzo lo sguardo, puntandolo dritto sul suo, aspettandomi una qualche spiegazione che so già che non sentirò.
-credo avessi solo voglia di vederti- dice poi semplicemente, come se fosse la cosa più facile del mondo.
Inutile descrivere che cosa possano scatenare le parole. Credo si possa immaginare.
Mi sento come se il mio corpo potesse implodere da un momento all'altro. Allo stomaco provo la stessa sensazione di quando si butta giù qualcosa di bollente in pieno inverno, quando ti senti scaldare e per un attimo hai la sensazione che qualcosa ti stia sciogliendo dall'interno.
E in questo istante è la cosa più bella del mondo.
Sorrido piano.
Forse c'era qualcosa di cui prima, stupidamente, non mi ero accorta.
Forse è proprio questo sorriso qua davanti.
-devi ringraziare il mio treno allora, è in ritardo di quasi un'ora ormai- riesco a rispondere.
Perché devo sempre dire cose stupide?
-davvero?-
Annuisco.
Sono stata fortunata anch'io.

Ci sediamo per un po' sulla panchina, in silenzio come due adolescenti imbranati, poi trovo un argomento di cui parlare.
-sembrava molto più facile al telefono- esordisco -ora sembra quasi strano stare seduti qua-
-però è strano....positivo-
-sì, sì sono d'accordo-
Ci sorridiamo di nuovo, Ermal si appoggia allo schienale della panchina e intreccia le mani ad altezza dello stomaco, stendendo avanti le gambe.
-in realtà un motivo secondario per cui sono venuto c'è- butta lì con leggerezza.
-sarebbe? -
-mi avevi detto che tu adori il Natale... E quest'anno non l'hai nemmeno festeggiato-
-e...? -
Sorride sghembo, inarcando un sopracciglio.
-so fare degli ottimi biscotti- afferma orgoglioso.
Scoppio a ridere per quella combinazione tra la sua espressione e ciò che ha appena detto.
-stai scherzando? -
È adorabile.
-mai stato più serio di così-
Lo squadro inclinando la testa mentre nella mia mente già mi rivedo la mia faccia infarinata riflessa sul vetro del forno come l'ultima volta che ho cucinato i biscotti.
-beh...si dia il caso che io possieda un forno- ammicco ironicamente.
-perfetto- ride guardandomi.
La situazione è a dir poco esilarante comunque.
Ma che genere di conversazione è questa?

Il treno finalmente arriva, sferragliando sui binari mentre rallenta per farci salire. Ermal vuole fare il gentiluomo forzuto e si trascina dietro entrambe le valigie prima di salire e caricarle nel vagone, seguito a ruota da me, che mi ridesto appena in tempo per non farmi beccare a fissarlo mentre le piazza sul ripiano sopra i sedili.
-aspetta un attimo- borbotta mentre tira fuori una penna e un post-it giallo dalla tasca della giacca.
Lo guardo confusa mentre esce dal vagone e continuo a seguirlo con lo sguardo quando ricompare fuori sul binario.
Ma li terrà sempre in tasca?
Lo vedo fermarsi a pensare un attimo e poi scrivere qualcosa su uno dei foglietti gialli. Da qui però non riesco proprio a capire cosa.
Un momento dopo, ha attaccato il biglietto sulla panchina su cui eravamo seduti, gli ha fatto una foto, e sta salendo nuovamente sul treno.
-che cosa ci hai scritto là sopra? -
-ti sfido a leggerlo da qui-
-ma non ci vedo fin là! - esclamo strizzando gli occhi in un vano tentativo
-allora rimarrà un segreto- sorride
Mi alzo, determinata a voler andare a leggere il biglietto, ma non faccio in tempo a fare un passo che il treno chiude le porte e comincia a muoversi.
Lui se la ride di gusto, per poi farmi cenno di sedermi nel posto vicino al finestrino.

Passiamo il tempo a chiacchierare, e quando io non riesco a fare a meno di farmi beccare mentre gli faccio una foto(quando mai mi capiterà di nuovo un momento del genere?), lui la prende sul personale e comincia a fare altrettanto, paparazzandomi e dando inizio ad una lotta a colpi di fotografie, ridendo come cretini a qualsiasi faccia oscena venga fuori, e facendomi pregare di smetterla.
All'ennesima volta in cui gira lo schermo del suo telefono verso di me, ricomincio a ridere.
-ancora?- esclamo facendo sussultare uno dei passeggeri vicino a noi, facendo di nuovo ridere Ermal.
Mi zittisco però quando al posto di una mia ennesima faccia orribile vedo la foto del post-it giallo di prima e quello che c'è scritto sopra.

"Non sono mai stato così felice che un treno arrivasse in ritardo.
Ermal"

Mi volto verso il finestrino, sono arrossita di colpo e la cosa mi imbarazza ancora di più.
Deglutisco, facendomi forza per girarmi.
-tutto bene? -
Le guance mi vanno in fiamme, però glielo dico.
-avresti dovuto dirmelo... L'avrei firmata anch'io quell'affermazione-

E dio, il sorriso che fa è indescrivibile.

Romeo e Giulietta non sono mai esistiti.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora