Capitolo 3

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[...]La strada è completamente deserta, salvo qualche persona che incontro di tanto in tanto e che non ho nemmeno il coraggio di guardare negli occhi. Non so il perché, ma qualcosa mi dice di tenere lo sguardo basso.

Arrivato al primo incrocio, imbocco un piccolo vialetto che mi porta davanti all'ingresso del Parco Nazionale, sulle cui inferiate sono appese delle camicie, degli stracci e qualsiasi altro oggetto avio il cui colore ricorda i valori del nostro Dipartimento. Sorpassato il cancello, mi ritrovo a passeggiare su un prato di fiori di ortensia e di lupino, per almeno mezzo chilometro. Mentre cammino, ripenso alla voce di mio padre, quando ero ancora un bambino. Gli indicavo le piante e sorridendo gli domandavo come mai non patissero il freddo. Lui, affascinato dalla mia curiosità, riusciva sempre a soddisfare ogni mio quesito. Ora però non ha più tempo da potermi dedicare.

Con questo pensiero raggiungo la parte opposta del parco. Ho il battito del cuore leggermente accelerato e a peggiorare la situazione sono alcuni individui accostati sul marciapiede di fronte a me. Sono vestiti con delle uniformi militari bianche ornate con delle controspalline sulle quali portano i distintivi del grado militare. Queste uniformi sono - molto probabilmente -in sostituzione dell'abbigliamento usato nel softair o nelle vere e proprie esercitazioni militari organizzate dalla Capitale. Comunque, non hanno nulla a che fare con le tute delle guardie del nostro Dipartimento, quindi immagino che quegli uomini siano stati inviati per pattugliare la zona e per verificare che tutti i ragazzi si registrino per la Cerimonia d'Estrazione che avrà luogo tra meno di un'ora.

Dopo un breve momento di paralisi, riprendo a camminare, tenendo un occhio sempre sulle guardie e, soprattutto, sulle MP5 che tengono con entrambe le mani e sulle Revolver o sulle Glock 18 custodite nelle loro fondine. Non sono un esperto di armi, né tanto meno ho mai avuto l'occasione di maneggiarne una, però sono in grado di riconoscere le pistole e i fucili con i quali, 23 anni fa, i Protettori (il nome con cui indichiamo le guardie della Capitale) hanno ucciso migliaia di uomini che hanno osato ribellarsi alla Capitale. I nostri soldati.

Cerco di mostrarmi impassibile mentre cammino. Avanzo, passo dopo passo, davanti alle abitazioni i cui colori sembrano più spenti del solito, come se anche loro sapessero che giorno è oggi. Anche il cielo, coperto da una cortina di nuvole opache, sembrerebbe avere compreso la gravità della situazione e, per tanto, si è vestito dei colori più tristi che possa avere. Provo a non farmi schiacciare da questa atmosfera, ma, a un certo punto, qualcosa mi costringe a trattenere le lacrime. Le urla di una donna, infatti, si diffondono per tutta la strada, suppliche che chiedono pietà per un ragazzo. Mi giro, il tempo di vedere la porta di una casa spalancata, con i cardini fuori posto. Nell'aria risuona una voce stentorea, che ordina alla donna di levarsi e di lasciare fare alla guardia il proprio lavoro. Altre lacrime, altri singhiozzi, prima che il Protettore estragga la pistola dalla sua fondina e spari sul corpo del figlio della povera signora.

E per un attimo, il tempo si congela.

La guardia, uscita da quella casa, è nuovamente sul marciapiede, nella stessa posa che aveva prima che accadesse tutto questo, come se nulla fosse mai successo. I Protettori dovrebbero essere una forza armata di peacekeeping, non dei serial killer pronti ad ammazzare il primo ragazzo che vedono. Eppure non provano pietà per nessuno. Come si fa ad uccidere un giovane davanti agli occhi della madre soltanto perché lei ha provato a proteggerlo, a sottrarlo a un cerimonia crudele e ingiusta? Bisogna essere dei mostri, anzi, molto peggio. Vorrei avere in mano un oggetto contundente per potere tagliare il collo a quell'uomo senza un briciolo di cuore, ma purtroppo devo limitarmi a fare una preghiera per quella povera donna e ad andarmene, prima che al Protettore venga in mente di sparare anche a me.

Accelero il passo: voglio raggiungere la piazza principale il prima possibile, per provare a scordare quello che ho appena visto. Ho il cuore che martella nel petto all'impazzata e non ho la minima idea di come fermare quest'aritmia. Provo a pensare che tra neanche un'ora sarà già tutto finito, che tornerò a casa e riabbraccerò la mia famiglia, ma finisco soltanto con l'immaginare il volto dei miei genitori e di Zoe rigati dalla lacrime perché una guardia mi ha appena sparato. No, non posso pensarci.

Blind - Libro 1 [#Wattys2020] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora