Capitolo 5

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Da quel momento i ricordi si fanno ancora più confusi. Provo a richiamare alla memoria altre immagini, ma è tutto così inintelligibile. So che un giorno mi buttai giù dal letto rovesciando l’asta porta flebo che cadde con uno schianto e rotolai a terra sopraffatto dal panico. Gli infermieri cercavano di tranquillizzarmi, mi dicevano che quello che era accaduto era solo un incubo, frutto di una commozione celebrale. Non so cosa stesse succedendo di preciso e il perché stessi impazzendo. Mentre gli infermieri mi sistemavano sul letto, uno degli operatori sanitari mi tamponò la fronte con un asciugamano fresco e poi mi fece una puntura sul braccio con una siringa ipodermica. In poco tempo riuscii a rilassarmi e avvertii gli arti diventare più pesanti. L’infermiera che mi aveva fatto l’iniezione mi sistemò le coperte con cura, mentre un’altra appendeva un secondo flacone di soluzione salina e ricollegava la cannula endovenosa. E mentre pian piano mi ritrovavo a non avere più preoccupazioni, mi addormentai.

E’ ancora una volta la voce del Presidente a riportarmi alla realtà. Smetto di riesumare i miei ricordi e cerco di concentrarmi sui suoi movimenti, per provare a dimenticare quello che ho appena rivissuto. Lo vedo riaffondare per l’ultima volta la mano nell’ampolla dei ragazzi, riestrarre l’ultimo e maledetto bigliettino di carta e avvicinarselo fino a che i suoi occhiali con la montatura da corno quasi lo sfiorano. In alto, sulla guglia del Palazzo Centrale, decine di colombe cominciano a tubare all’unisono, come a volere coprire le parole del Presidente. E mentre tutto questo accade, non riesco a non pensare a come ogni anno la Capitale provi a rinnovare l’oltraggio alla dignità umana con questa schifosa Cerimonia. Vorrei potere guardare in faccia uno a uno i Protettori e ricordargli cosa hanno fatto 23 anni fa, durante la famosa Notte dei diamanti; gli assalti e gli atti di violenza nei confronti degli abitanti dei Dipartimenti come “rappresaglia” per la rivolta del 26 marzo contro le autorità Capitoline cominciarono il primo giorno di autunno. Già a partire dal tardo pomeriggio del 23 settembre ci furono pogrom in alcune località dei Dipartimenti Alfa e Beta, per poi passare, nell’arco di due giorni, alla distruzione dei principali monumenti dei Dipartimenti Gamma e Delta. Già un anno prima della Notte dei diamanti le autorità Capitoline indicavano nella confisca dei nostri beni la strada per coprire il debito dello Stato e si preparavano all’obiettivo del genocidio. Addirittura, sulle prime, i maggiori burocratici Capitolini furono apparentemente colti di sorpresa dalle dimensioni del pogrom istigato da  Dietwin, il ministro penitenziario per la mobilizzazione della guerra totale e generale delle Forze Armate della Capitale.

 E tutto questo perché? Per quale motivo?

 Torno a guardare i ragazzi davanti a me. Vedo nei loro volti la paura di essere chiamati, la stessa che fino a un minuto fa provavo anch’io. Alcuni stanno cercando molto probabilmente di cacciare quello sterile filo di pensieri provocati dalla paura, ma so bene come loro che non ci riusciranno finché non sapranno per certo che non saranno loro ad essere chiamati. 

Dalla mia posizione riesco a vedere tutta la piazza, fino ai vialoni laterali fiancheggiati da ginkgo e pietre di arenaria bruna dove le luci dei bar e dei ristoranti sono spente. Eppure, nonostante abbia un’ampia visuale, non riesco a trovare Katy. Per un attimo, soltanto per un piccolo istante, sono colto da una paura ottenebrante. E se lei non si fosse registrata, se fosse rimasta a casa e i Protettori l’avessero trovata?

Dio, fai che Katy stia bene. Ho bisogno di lei.

Gli occhi mi si riempiono di lacrime.

Poi, da qualche recesso della mia mente emergono delle parole, una frase che le avevo ripetuto mille volte prima che tutto questo accadesse; le avevo giurato che sarebbe andato tutto bene, che io non l’avrei lasciata per alcun motivo. Eppure, non sono riuscito a mantenere la promessa. Vorrei potere tornare indietro nel tempo.

 Già mi mancano le serate dove ci sedavamo sul cordone del marciapiede a parlare di tutto quel che volevamo, dove non esisteva nessun altro mondo all’infuori di noi. Mi manca ogni minuto trascorso con lei.

E proprio quando sembra che niente possa andare peggio di così, che qualcosa mi coglie di sorpresa.

 Onde leggere; brividi crescenti; centinaia di minuscoli impulsi fluiscono a formare un corpo unico, compatto, che mi colpisce proprio nel mezzo, tra le viscere e i ventricoli, da dove nasce la scossa, la quale s’irradia fino a raggiungere l’amperaggio perfetto; e finalmente vedo il suo sguardo, vedo il dolore prendere il sopravvento e sgorgare in lacrime silenziose. Sento il suo urlo di disperazione, è afono, lei grida, lei grida, ma nessuno la sente a parte me.

 Qualcuno le stringe la mano. Sembra in uno stato paralitico, non riesce più a muoversi, non sembra nemmeno respirare. Ha lo sguardo fisso nel vuoto.

 Scusami, penso guardando negli occhi Katy, mentre il nome di suo fratello continua a riecheggiare nelle mia mente.

 Scusami per averti mentito.

Spazio autore
Buonasera giovani lettori. Come state? Spero di non avervi rovinato la serata con questo capitolo molto crudo.
Ora che la cerimonia è finita, chissà cosa ci aspetta.
Voi avete delle idee?
Mentre leggo i vostri commenti, vado a farmi una tazza di kefir con granola, altrimenti il mio stomaco non smette più di lagnare.
Ci vediamo come sempre il prossimo mercoledì sera.
Un abbraccio,
Francy

Blind - Libro 1 [#Wattys2020] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora