Ottobre
Come è potuto accadere? Quando, di preciso, il tempo si è sdoppiato? Potrei indicare delle avvisaglie, ma so che tutto è cominciato in un momento preciso.
E’ pieno autunno, la luce è empia e il freddo mi costringe a coprirmi saldamente con il mio giaccone verde militare. Sono al cimitero, sono venuta per le ceneri.
Bisogna anzitutto pagare delle tasse con un bollettino, in un apposito ufficio comunale situato proprio all’interno del campo santo. C’è un’aria così familiare tra queste mura scrostate, tra i poster di educazione civica promossi da passate amministrazioni. Agli sportelli solo una coppia di anziani rassegnati e un vecchio rissoso. Nulla è concesso a espedienti moderni come i numeretti elettronici o le linee gialle in difesa della privacy. Queste sono relazioni con il pubblico nella loro quintessenza: un vetro spesso tra l’impiegato e l’utente, costretto ad avvicinarsi per farsi capire. Così, a pochi centimetri dall’apposito oblò, si osserva bene dall’altre parte. Su un tavolinetto c’è un vassoio vintage della Coca-Cola pieno di stoviglie: tazze da cappuccino con la schiuma rappresa e i bicchierini di vetro col fondo zuccherato, piattini con briciole glassate di cornetto, bicchieri di caffelatte ostruiti da tovagliolini appallottolati. Allegro è il fischiettio dell’usciere tocco, che non manca di virtuosismi, di un classico motivo popolare di cui non ricordo il titolo. Non mi importa. Mi piace. Vorrei stare qui per un po’, ancora. Quanto tempo? Non so. A lungo. Occuparmi di variazioni del catasto individuando l’impiegata più in gamba, curare stati di famiglia e incollare marche da bollo, seguire casi complicati tipo certificati di apolidi o smemorati che non sanno da dove vengono né dove vanno ma ai quali, per accedere al consesso sociale, è richiesto di sottoscrivere e certificare. Sarebbe bello occuparsene. Invece pago in contanti alla signora dello sportello. Non mi piace che sia lei a darmi il resto, a infilare il bollettino nell’apposita macchinetta vidimatrice. E’ la tipica musona, con gli occhi resi acquosi da larghi sbadigli e la fede troppo stretta sulle dita gonfie. Comunque, chiedo alla signora dove presentare la ricevuta, lei mi dice di uscire dall’ufficio e di girare a sinistra, verso il magazzino.
Fuori c’è un comignolo altro almeno come un campanile. Ne escono volute di fumo bianco, che paiono schermirsi dai giocosi assalti del vento. Poi io e Reece entriamo in magazzino. Non c’è alcun servizio di reception. Da un buio ingresso si passa al cortile. Ci sono un paio di bare impilate su un grosso carrello. Un’addetta con la vecchia divisa verde dei netturbini spazza via dall’asfalto lo strato di sassolini neri che se ne distacca. Sposta il carrello per completare la sua opera sotto le ruote, a cui quelle schegge creano senz’altro dei problemi. Capisco che è lei a occuparsi di tutto.
Lei che inforna. Una ragazza poco più grande di me.
Con i capelli raccolti in un elastico di spugna. Con un sorriso birichino riceve il mio foglietto. Non so proprio spiegarmi quella sua espressione, se non che è un angelo, così distante e al tempo stesso così dentro il mondo. O forse sta solo pensando a qualcos’altro.Esamina la ricevuta e mi lascia lì, senza proferire parola. Mi pare di distinguere un crepitio. Meglio, uno sbuffo e crepitio.
Un raggio giallo balugina nel buio stanzone che si apre proprio accanto a me. Entro.
Osservo la cottura.
Non vedo fiamme nei forni. Sono chiusi da sportelli, ma una forte luce scappa dalle fenditure e cure il freddo di quest’antro. Sono due forni. Uno sopra e uno sotto. E io davanti.
Dopo un paio di minuti la ragazza torna con due barattoli di metallo delle ceneri, a i quali applica con un fil di ferro una targhetta di ottone con nome, cognome, data di nascita e morte.
Per la prima volta vedo i loro nomi impressi uno accanto all’altro.
Mi dirigo verso il giardino, una piccola area con un tappeto di gramigna ben curato su cui svetta una curiosa pedana. E’ simile alla passerella di un porto turistico, ma così, senza acqua che vi scorra intorno e per di più leggermente in salita, assomiglia a quegli accrocchi che si poggiano alle grandi navi per far salire i passeggeri.
Svito i tappi dei barattoli uno a uno e li capovolgo.
La repentina fuoriuscita delle ceneri genera un suono come un respiro.
Non appena le ceneri toccano il suolo, si aziona un vortice d’acqua, del tutto simile a uno sciacquone, che in men che non si dica le rimuove. Poi ridò alla ragazza i barattoli, tenendomi soltanto le targhe d’ottone, mi volto verso Reece - che fino a questo momento non ha proferito parola – e insieme torniamo a casa.
La sera, prima di andare a dormire, prendo le due targhe tra le mani e comincio a sussurrare una preghiera.
Per Michelle Watson e James Preston.
Per mia mamma e mio padre.
Spazio autore
Ben ritrovati giovani lettori, come avete trascorso questa settimana?
Stasera ho dediso di portarvi un capitolo POV Isabelle che ricalca un passo molto commovente del romanzo "le stanze dell'addio" di Yari Selvetella.
Molti non si sarebbero aspettati il fatto che Isabelle sia orfana, ma altrettante persone probabilmente si staranno chiedendo, più che altro, cosa sia successo e quando. Purtroppo, dovrete aspettare ancora un pò.
Come sempre, ci risentiamo mercoledì sera.
Un abbraccio,
Francy
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Blind - Libro 1 [#Wattys2020]
Science FictionTrama: in un futuro post apocalittico ambientato in una società distopica, ogni anno vengono prelevati, tramite una cerimonia d'estrazione, alcuni ragazzi delle zone periferiche per essere scortati nella Capitale, luogo dove verranno a contatto con...