Capitolo 8

103 43 16
                                    

Passano pochi secondi.

Poi la porta del vagone si apre e una guardia mi afferra brutalmente per un polso e mi costringe ad uscire. Oltre a noi due ci sono almeno un'altra ventina di Protettori che tengono sotto scorta Isabelle, Jace e Alyson. L'ambiente intorno a noi è chiuso, vasto. Siamo in una grotta.

Alzo lo sguardo verso il soffitto del covolo, dove sono presenti dei camini ciechi che risalgono per pochi metri. Il soffitto è decorato da edere che pendono fino a sfiorare il pelo dell'acqua, la quale rispecchia questo complesso inquietante e al contempo affascinante. Percorrendo una stretta cengia sulla destra del lago, riusciamo ad inoltrarci per qualche metro all'interno del covolo e dopodiché scendiamo lungo un conoide di ghiaia mista a sabbia. La poca luce naturale che riesce a fendere la prima parte del laghetto scompare, lasciando il posto alla luce artificiale di un impianto elettrico. Proseguendo, passiamo attraverso uno strettissimo passaggio verticale delimitato sia a destra che a sinistra da roccia viva, con delle strane forme di erosione chimica che si presentano come piccole scalfitture. Superato questo passaggio, la condotta si espande. La prima cosa che noto è un grosso masso di conglomerato, proveniente probabilmente da una frana esterna. Scendiamo ancora per qualche metro e poi imbocchiamo un cunicolo. Le pietre recano con sé quel tintinnio d'acqua che fa pensare alla pioggia mentre camminiamo in questo spazio strettissimo. Man mano che procediamo in profondità fa sempre più freddo, tanto che riesco a vedere la condensa del mio respiro.

Ho paura di quello che potrebbe succedere. Sto andando incontro all'ignoto. Vorrei poter stringere ora la mano di Katy e sentire il contatto caldo e rassicurante con la sua pelle. Non voglio abbandonarmi all'idea che tutte le persone che amo non le rivedrò mai più. Non può essere questo il mio destino.

Non può.

L'eco dei passi convulsi dei Protettori si diffonde nel cunicolo, a tratto sordo come un susseguirsi di tonfi pesanti, a tratto liquido e rarefatto come un gocciolio sinistro. Arrivati alla fine dello stretto passaggio, entriamo in una zona grande quanto la piazza centrale del Dipartimento Delta. Da un lato c'è un immobile lago nero dalle profondità insondabili e dall'altro una sponda di marmo. Stalattiti appuntite pendono gocciolanti dal soffitto, mentre dal fondo si ergono stalagmiti simili a pugnali; in alcuni punti si uniscono a formare gonfi pilastri più imponenti dei tronchi secolari delle querce.

Il biancore del fondo calcareo riflette quei fievoli bagliori di luce che provengono dagli ingressi, e dopo qualche secondo riesco a distinguere meglio i contorni di questa vasta caverna istoriata di stalattiti. E, tra queste concrezioni calcaree, riesco a individuare una telecamera montata sul soffitto di questa grotta.

La osservo e lei fa lo stesso con me.

Uno dei Protettori, notando il mio gesto, mi punta una Revolver alla testa, mi strattona il braccio e mi trascina in un altro corridoio buio e stretto, lontano dagli altri. Con lui ci sono soltanto altri 3 Protettori. Mentre camminiamo, continuano a sbraitare parole incomprensibili per me, finché non arriviamo alla fine dello stretto passaggio e allora cala il silenzio. Ci vogliono un paio di secondi perché una delle guardie digiti il codice sul pannello accanto alla porta blindata che si staglia davanti ai nostri occhi. Poi appoggia la mano su uno scanner e si sente un sonoro scatto metallico accompagnato da una luce rossa. Infine, il Protettore gira una manopola al centro e la tira a sé.

La porta si apre.

Il Protettore che mi sta strattonando il braccio molla la presa e affonda la canna della pistola nel mio collo: un invito ad entrare nella stanza. Il tempo di fare due passi in avanti e mi chiude il portone alle spalle, con un tonfo sordo. L'interno è illuminato soltanto da una debole luce verde che accarezza le pareti. Lo spazio è piccolo.

Pian piano cominciano ad accendersi degli schermi intorno a me. Impiego alcuni secondi a capire la panoramica descritta da questi, quindi ordino mentalmente le prospettive delle diverse inquadrature. Inizialmente appare una bandiera con lo stemma dei Walker; il simbolo sventola davanti a me per qualche istante, prima di essere progressivamente sostituito da una ragazzina in un campo che mangiucchia un filo d'erba, sovrastata da un cielo blu senza imperfezioni. L'immagine si stringe sul suo piccolissimo viso. La bambina si toglie il filo d'erba dalla bocca e allunga la mano pienotta verso la telecamera con un sorriso birichino.

Delle braccia avvolgono la piccola con tenerezza, e colei che deve essere la sua giovane mamma o sua sorella, appare allo schermo. Una bella e giovane donna con un vestito sbottonato sul petto e spaccato sugli orli.

D'un tratto, la videocamera si sposta brutalmente indietro per lasciar intravedere il campo in cui la bambina e la mamma si trovano, poi il paese verdeggiante, il continente, e infine il pianeta. Una sfera aggraziata, verde e blu, quasi simile alla Terra come è mostrata nei libri scolastici, circondata dal suo scrigno di stelle brillanti. Poi, un'ombra massiccia appare con un ronzio sordo sotto lo schermo e nasconde il pianeta. Dei riflessi metallici svelano il corpo di un aereo da guerra, con i fianchi decorati dallo stemma della famiglia Reale della Capitale. Nell'immagine, l'ombra ricopre la totalità del pianeta prima di uscire dall'estremità superiore dello schermo. Dietro, la bella sfera bicolore si è trasformata, assumendo sfumature rosse e nere. Una musica tragica si innalza mano a mano che la ripresa fa il percorso inverso, riconducendo a quello che resta di quel pianeta, e offrendo la visione di un cielo soffocato dalle nuvole di cenere e un orizzonte in fiamme.

Gli schiocchi delle armi da fuoco e le grida isteriche si innalzano in sordina, la musica arriva al suo apogeo malinconico quando l'inquadratura scivola verso il fondo, mostrando unicamente le mani della bambina e di sua madre che giacciono a terra, immobili, infangate di un sangue scarlatto sulla loro pelle bianca, cerea. Delle sequenze di immagini cadaveriche si susseguono, accompagnate da uno schiocco secco quando ogni nuova scena fa la sua apparizione. Le immagini di corpi abbandonati, di intere colonie di popolazioni che riempiono le strade trascinando i loro bagagli, di uomini inebetiti che corrono per mettersi al riparo dai bombardamenti con le loro armi tra le mani.

Ora si sente il parlottio di una cabina di pilotaggio i cui cacciatori fanno manovre per volare a rasoterra lungo una corazza nemica, in pieno vuoto spaziale. Un'esplosione silenziosa riempie l'immagine, rimpiazzata rapidamente da uno scintillante "Attenti a quello che dite o fate".

Poi gli schermi si spengono e cala il silenzio.

La rabbia mi sale fino a farmi mancare il fiato. Vorrei gridare, piangere, strapparmi i capelli. Vorrei urlare così forte quanta rabbia ho dentro, troppi i giorni in cui ho detto che domani sarebbe andato tutto bene, troppi i giorni in cui ho mentito a me stesso. La rabbia si mescola a un senso immenso di paura, che mi divora da dentro. Mi inginocchio a terra, i gomiti sul pavimento, la testa tra le mani. Prego. Piango.

Quando esaurisco le lacrime, rialzo la testa e vedo degli saettanti stiletti rossi partire dal retro degli schermi spenti e dirigersi verso un unico obiettivo. Il mio corpo.

Non ho nemmeno il tempo di realizzare cosa sta succedendo che un dolore lancinante mi trafigge il petto.

Pochi secondi e nella stanza aleggia già l'odore del mio sangue.

Spazio autore
Buonasera giovani lettori, cosa mi raccontate di bello? Come è andata la vostra settimana?
Io l'ho passata in parte leggendo dei thriller e devo dire che mi hanno ispirato molto per questo capitolo.
Mi spiace lasciarvi con l'ansia per Reece. Però non preoccupatevi, il prossimo mercoledì scopriremo come continuerà la storia.
Fatemi sapere i vostri pareri.
Ora scappo, che i film di Ridley Scott mi chiamano.
Un abbraccio,
Francy

Blind - Libro 1 [#Wattys2020] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora