Eight

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Il corridoio era brulicante della maggior parte di gente che mi detesta, ed io sorrisi ad ognuna di loro.

Andai verso il mio armadietto, stufa già delle lezioni.

Era ancora mercoledì e non vedevo l'ora venisse il benedetto fine settimana, pregato da tutte le scuole di tutto il mondo.

Ma, nel mio caso, alcune cose non cambiavano neanche il venerdì, e una di queste era la presenza di Lauren Jauregui. Me la trovavo ovunque ormai: sotto casa, alle feste, e ovviamente a scuola. Non mi sarei sorpresa di trovarmela in camera, o persino in bagno.

«Camila!» Alzai gli occhi al cielo, appoggiando la mia fronte contro l'armadietto, disperata. Chiusi gli occhi, cercando di togliere la sua voce fastidiosa dai miei pensieri.

«Dimmi, mia cara palla al piede.» Risposi e lei fece una smorfia, per poi avvicinarmi a lei.

Mi abbracciò, per poi scompigliarmi i capelli.

«Non fare così piccola, lo so che mi ami.» Disse ed io feci un verso di disappunto, totalmente disappunto.

«Come le felpe in piena estate, come amo la figlia dei miei vicini, ed io la odio.» Lei mi guardò, confuso.

«Ma sono io la figlia dei vicini.» Mormorò ed io le diedi una carezza in testa, confortandola falsamente.

«Esatto.» Cercai di andarmene da lei ma mi prese il polso, e mi girò di nuovo verso di lei.

Certe volte la ammiro: ce ne vuole di pazienza per rompere le palle ogni giorno dell'anno.

«Jauregui, devi smetterla di toccarmi così tante volte in un giorno. E poi, cosa vuoi ancora?» Mi guardò con occhi dolci ed io quasi la guardai confusa, non abituata a questo sguardo.

Aveva degli occhi davvero stupendi, di quel verde tra lo smeraldo e l'acqua marina, freddi ma che ti incendiavano allo stesso tempo. Non so come descriverli, ma di certo non erano banali occhi.

«Mi dispiace per ieri sera.» A quel punto la guardai ancora più confusa.
«Per cosa, esattamente?» Mise una mano tra i capelli ed io mi girai attorno nervosa, cercando di notare se la gente ci guardava o meno.

Non volevo che la gente sapesse di questo noi, perché io non ero veramente a favore. Anzi, non lo ero per niente, e mi faceva rabbia che mi vedessero con la ragazza tutta perfetta e popolare della scuola, mentre io ero quella misteriosa e troppo pericolosa per avvicinare qualcuno lì dentro. O almeno, questo credevano da queste parti.

«Non intendevo dirti, anche se indirettamente, che il mio scopo è di entrarti nei pantaloni.» Mormorò, ed io ridacchiai.

«Anche se non fosse vera quest'affermazione, non ci avevo fatto caso ieri sera. Sai, ero ubriaca marcia e c'era la musica dentro il locale ed io non capivo niente.» Si morse il labbro ed io per qualche istante mi soffermai sulle sue labbra, e pensai che fossero davvero soffici alla vista.

Che lo fossero state veramente? In quel momento non potevo saperlo.

«Quindi mi perdoni?» Scossi la testa.

«Che io ti parli, non vuol dire che non sappia che tu voglia veramente fottermi. Lo vuoi, lo vuoi profondamente ma io sarò sempre una stronza, come sempre del resto.» Lei sbuffò, per poi avvicinarsi a me così tanto che i nostri nasi si toccavano.

Trattenni il respiro, ed era già la seconda volta che succedeva. Mi lasciava senza fiato, come in trappola. Non mi piaceva questa sensazione, era come essere perda e non predatore. Come essere animale da caccia e non cacciatore, come essere una gazzella con un leone. E nella vita, di solito io ero il dominatore.

«Lo vuoi capire che a me piaci, sul serio? Non voglio solo questo, io voglio di più. Voglio che un giorno tu sia la mia ragazza per davvero, e non per una scommessa.» Lo guardai, dritto negli occhi.

Sapeva chi ero io, sapeva quello che era in grado di fare e quello che non potevo fare. E una delle cose che non era nel repertorio al momento, era amare. Non sapevo amare, almeno non come voleva lui. Ero solo un pezzo di ghiaccio, che non si sarebbe di certo sciolto così in fretta, con un fiammifero come lei.

«Non chiedere cose che non puoi avere, Jauregui.»

Black Mail //Camren Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora