Capitolo 2.

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Louis tremava su quel treno. Quasi gli veniva da ridere.
Che tipo strano Louis, gli veniva da ridere in un momento come quello, ma dopotutto, cosa poteva farci se una donna non riusciva a soffiarsi il naso perché la velocità del treno che faceva quasi dei sobbalzi, non le permetteva di avvicinarsi il fazzoletto?
Ma presto quella scena divertente fu sostituita da un picchiettio alle sue spalle. Louis si girò e vi trovò un tenero bambino, che con un orsetto in mano, lo guardava con un’espressione da cucciolo bastonato.
Louis aggrottò la fronte, poi gli sorrise. Si abbassò all’altezza del bimbo e lo guardò bene nel viso.

“Cosa c’è, piccoletto?” chiese Louis, il quale si stava già beando di accarezzare le guance di quel bambino che sembravano due grandi bignè alla crema.

“Hai visto la mia mamma?” rispose il piccolo con una domanda, rimanendo impassibile alle carezze di Louis.

Louis sospirò. Doveva immaginarselo.
Ora non solo doveva stare in piedi con una valigia in mano su un treno velocissimo, ma avrebbe anche dovuto cercare la mamma di un bimbo dagli occhi color cielo, proprio come quelli suoi.
A Louis non piacevano i suoi occhi, avrebbe sempre voluto avere gli occhi verdi.
Gli piaceva il verde. Gli faceva pensare ai prati, e alla speranza.
Louis e speranza erano più o meno la stessa persona, erano un tutt’uno, si poteva dire.
Verde speranza.
Era quello il colore preferito di Louis: Il verde speranza.

“Eccola!” esclamò il bambino, correndo verso un’altra direzione. Louis, sommerso dai suoi pensieri, non ci fece neanche caso, ma poi si voltò e vedi il bimbo stretto tra le braccia della madre.
E allora si, in quel momento, anche Louis voleva un abbraccio da parte della sua mamma.

La madre del bimbo gli sorrise e lo ringraziò con un “grazie” mimato con le labbra.
Ma Louis non fece niente, Louis gli chiese semplicemente cosa avesse quel bambino.
E per una volta, Louis si sorbì un grazie che non meritava.
A lui quelle cose davano fastidio. Odiava quando qualcuno gli diceva grazie anche quando non ce ne era bisogno. L’ho già detto, Louis era un tipo strano.


Passarono molte ore prima che il treno si fermasse. Quest’ultimo emise un altro fischio, ma questa volta Louis non ci fece caso, perché non appena scese dal treno con la sua valigia, vide la neve.
Ecco un’altra cosa che Louis amava: La neve.
Aveva un colore candido, bianco, bellissimo.
Louis voleva avere la pelle come la neve, chiara e candida, ma purtroppo, Louis aveva una carnagione olivastra, tipico da chi viene dalla California.
Si guardò attorno, mentre il treno si allontanava.
Si affrettò ad uscire dalla stazione e fu lì che lo vide, in lontananza: Il big ben.
Sorrise ampiamente e iniziò ad incamminarsi verso, oh, Louis non sapeva dove andare.
Così, durante il suo cammino, fermò una carrozza e chiese al cocchiere di portarlo al palazzo di Styles.
Il cocchiere lo guardò sorpreso, poi annuì e fece partire la carrozza.

“Cosa vai a fare al palazzo della famiglia Styles, ragazzo?” chiese il cocchiere, continuando a trainare la sua carrozza verso chissà dove.

Louis cosa doveva andare a fare al palazzo di Styles? Non lo sapeva.
Così, preso dal panico e l’imbarazzo, decise di dire al cocchiere che sarebbe andato ad istruire il figlio con delle lezioni private. Il cocchiere scoppiò a ridere, e Louis arrossì. Che aveva detto di sbagliato?

“Il figlio più piccolo ha 20 anni.” Disse il cocchiere, riprendendosi dalla sua giocosa risata.
Ok, Louis aveva decisamente fatto una figuraccia.

“Oh, non lo so…Il servo, penso.” Disse Louis, abbassando lo sguardo. Il cocchiere non disse più una parola.

Dopo una buona mezz’oretta, il cocchiere si fermò difronte l’enorme ingresso del palazzo della famiglia Styles e diede la buona fortuna a Louis.
Quest’ultimo, che essendo molto timido, fece un cenno con il capo al cocchiere per ringraziarlo.
Louis alzò lo sguardo. Il palazzo copriva il cielo dal punto in cui era messo lui.
Dove si trovava Louis? Lui non sapeva quasi nulla.
Esitò, ma poi si decise a bussare, attendendo.
Dopo neanche un minuto, la porta fu aperta e una ragazza mi accolse con un sorriso stampato sulle labbra.


“Ciao forestiero!” esclamò la ragazza, la quale era vestita con una divisa beige. Aveva una strana coda di cavallo, ma sembrava simpatica.
Louis alzò un sopracciglio al saluto della ragazza.


“Io non sono un forestiero. Io sono Louis.” Rispose il ragazzo, con un tono quasi seccato. La ragazza gli sorrise e gli fece una sottospecie d’inchino. “Io sono Eleanor.” Disse la ragazza, con un sorriso stampato in volto. “Piacere di conoscerti.”


“Piacere mio.” Rispose Louis, ricambiando il sorriso. Quella ragazza gli stava già simpatica, si, sicuramente. Eleanor chiuse la porta d’ingresso e fece cenno a Louis di seguirlo.
Lo portò nella sua camera.
Louis sgranò leggermente gli occhi.
Quella stanza era grigia. A Louis non piaceva il grigio. Il grigio era il colore del cielo il giorno del terremoto.

“Questa è la mia camera?” chiese Louis, con un tono confuso, alla ragazza.
Eleanor gli sorrise e annuì.
Louis si chiedeva perché caspita quella ragazza sorrideva sempre.
La stanza faceva letteralmente cagare e lei sorrideva.
Era ovvio.

“Si, ti piace? Vuoi una mela?” Eleanor porse una mela a Louis, il quale, più che stranito, si pose mentalmente un’altra domanda: Da dove cavolo arrivava quella mela? Quando è successo? Come è successo? Cosa c’entra una mela con la stanza?

In realtà la domanda non era una, erano ben quattro.


“Si, grazie.” Rispose Louis.

A Louis piacevano le mele. Gli piacevano soprattutto il loro colore.
Rosso.
A Louis piaceva il rosso, tranne quando si trattava di sangue.
Il rosso gli faceva pensare alle labbra della madre. Anche Louis voleva avere le labbra rosse, quelle che alla vista, viene voglia di morderle e succhiarle per un tempo che sembra infinito, proprio come le mele, appunto. Attenzione, Louis non voleva baciare sua madre, non fraintendiamo, ma se avesse avuto le labbra rosse, gli sarebbe piaciuto se qualcuno le avesse morse e succhiate. O Viceversa.

Louis posò la valigia e si sedette sul suo letto, il quale non era poi così scomodo.
Diede un morso alla mela offerta da Eleanor e si girò verso quest’ultima, la quale aveva preso posto accanto al suo.


“Da dove vieni, Louis?” chiese Eleanor, con un tono abbastanza curioso.

“San Francisco.”

Eleanor sorrise, per l’ennesima volta e annuì, per l’ennesima volta.
Che ragazza monotona, pensò Louis.
Sarebbe stata più carina se avesse saputo fare i rumori con le ascelle.

“E tu?” chiese Louis, dando un altro morso alla sua succosa mela.

“Io sono di Boston.”

Un’altra americana. In quel momento Louis, sentì di nuovo la sua amatissima speranza dentro di se.
Dopotutto, non sarebbe stato solo. Era un buon inizio.

Slave - Larry Stylinson Fanfiction.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora