Capitolo 38.

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«Papà, non era necessario che tu venissi...»
Lo faccio accomodare nel piccolo salotto di casa mia, dove Hosung si è già messo a suo agio.
«Mi vuoi rimandare indietro dopo tredici ore di volo? Per non contare quelle di scalo, ovviamente. Tua madre era disperata!» gesticola con le mani sotto lo sguardo del mio vicino, confuso.
«Hosung-ssi, lui è mio padre. Papà, lui è Hosung, il mio vicino ficcanaso

Si scambiano un'occhiata intensa, e prima che possa rendermene conto stanno già discutendo in una lingua mista tra l'inglese e qualcos'altro che non riesco a capire.
Non pensavo potesse essere vero, ma a quanto pare Hosung riesce a conquistare proprio tutti, persino mio padre.

«Allora, da quanto tempo sono lì fuori?» mio padre indica i giornalisti e i paparazzi davanti al mio appartamento, pronti a scattare foto o a catturare qualsiasi momento che mi riguardi.
«Non pensavo avrebbero reagito così» ammetto. «Ma a quanto pare mi sbagliavo

Controllo che le tende siano ben sistemate e che la porta sia chiusa, poi trovo del tempo per sistemarmi comoda sul divano.
«Sei sicura di non volere ritornare a casa?» chiede mio padre, inginocchiandosi al mio fianco.
Scuoto la testa.
«Prima vorrei avere notizie da Namjoon. È andato alla sua agenzia per parlare con il suo manager e il presidente questa mattina. Mi chiamerà a momenti» spiego con apparente tranquillità.

Apparente perché in realtà, dentro di me, sto tremando come una foglia. I reporter, le fans, i media e mezza Corea del Sud non fanno altro che creare pressione sulla situazione attuale.
Non solo è difficile da affrontare per me, ma anche per Namjoon. Ci troviamo, infatti, al centro di un vortice senza via d'uscita, in cui né io né lui sappiamo cosa fare o come comportarci.

Mi tolgo gli occhiali da vista e mi passo entrambe le mani sul volto, stanca e provata dalla tensione.
«Hosung-ssi, potresti portarmi un po' d'acqua, per favore?»
Il ragazzo annuisce e sparisce nella piccola cucina, tornando poco dopo con un bicchiere per me e uno per mio padre.
Allungo la mano per prenderlo, ma ricevo in questo istante un messaggio sul telefono, il che mi fa sobbalzare e aumentare il battito.

Controllo lo schermo, sul quale è presente un'unica notifica.

"Ci vediamo stasera, ti mando l'indirizzo."

Guardo prima mio padre, poi il mio vicino. Entrambi mi guardano preoccupati e curiosi di sapere cosa possa contenere quel messaggio.
Mostro, quindi, loro il telefono e si guardano a vicenda.
«Veniamo con te» dice mio padre, per primo.
«Non so cosa abbia detto, ma sono d'accordo con lui» aggiunge Hosung.
«Assolutamente no, è una cosa tra me e lui
Ripeto la stessa cosa anche in coreano, per fare in modo che sia chiaro a tutti e due.
«Io ho la macchina, ti accompagno.»
Mio padre annuisce. «Sono d'accordo
«Papà, non sai nemmeno cos'abbia detto.»
«Sembrava convincente...»

Circa mezz'ora dopo mi ritrovo in auto, nei sedili posteriori, mentre in quelli anteriori mio padre ed Hosung stanno approfondendo la loro amicizia. Alla radio risuonano prepotentemente le note di Fantastic Baby dei Bigbang, e mio padre dimostra il suo entusiasmo muovendosi con furia sul sedile.
Il coreano esclama, durante il ritornello, "Bang bang bang", e mio padre si esalta ancora di più.

Scuoto la testa e mi stampo una mano sulla fronte, esasperata.
In fondo, però, so che lo stanno facendo per tirarmi su di morale, quindi li lascio fare e mi godo questi ultimi attimi prima di scoprire la verità.

Prendo il telefono dalla borsa e controllo l'orario sullo schermo: Namjoon dovrebbe essere già lì.

«Ah, Noona, se dovesse scaricarti prova a difenderti con un calcio rotante! Ti ricordi? Te l'ho fatto vedere quando mi allenavo per il taekwondo!»
«Dobbiamo solo parlare, non credo voglia violentarmi» replico alzando gli occhi al cielo.
«È violenza emotiva, capito? Non c'è nessuna differenza!»

Vedo in lontananza l'edificio grigio descritto nel messaggio di Namjoon, quindi avverto Hosung di guidare in quella direzione.
Il ragazzo annuisce senza dire niente: ha finalmente capito che nulla potrà sollevarmi dalla paura che sto provando in questo momento.
Mio padre, dopo alcuni minuti, si è finalmente addormentato e russa rumorosamente spezzando un po' il silenzio presente nella vettura.

Una volta arrivati, scendo dall'auto e mi avvio, dopo le mille raccomandazioni di Hosung, verso il parcheggio dell'edificio grigio.
Namjoon si trova dietro ad un pilastro di cemento e sta guardando verso l'alto in un gesto di disperazione.
«Namjoon?» lo richiamo.
Mi guarda e il suo sguardo si rattrista subito, poi si avvicina a me e mi porge la collana con l'anello che gli regalai per i nostri cento giorni.
«Allora? Cosa ti hanno detto?» chiedo, con la voce spezzata.
Smette di guardarmi, rivolgendo lo sguardo altrove e non facendo altro che rendermi più nervosa.

«Forse è meglio se non ci vediamo per un po'.»


🤡🤡🤡
Hey hey hey!
Indovinate chi è ancora viva? E perché proprio io?
Scherzi a parte, è stato un parto scrivere questo capitolo, ma mi dispiace avervi fatto aspettare tanto :(
Ciò che mi dispiace ancora di più è che questo è effettivamente l'ultimo (vero) capitolo dei questa storia.
I prossimi saranno i finali! Ci saranno bad endings e happy endings.
Sto anche meditando su un possibile sequel, ma non è niente di certo.
Beh, chiedo ancora scusa e mi dissolvo così!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per aver letto e alla prossima!

P.S.: beh, commenti su Nam in Italia??

*i dialoghi in corsivo sono per differenziare le lingue ;)

Blind Date // Kim NamjoonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora