5. Lo volevo davvero?

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Maya

Beautiful Monster di NeYo risuonava nella mia stanza al massimo, mentre stavo saltellando a ritmo di musica, scuotendo la testa e cantando a squarciagola. Quel giorno mi sentivo allegra, il che vista la discussione con Justin, mi sembrava abbastanza strano che io mi sentissi serena.

La nostra professoressa di filosofia diceva che l'adolescenza è un periodo che determina la fine dell'infanzia, e segna l'inizio di una nuova fase che dovrebbe prepararci all'età adulta. Una sorta di rito di passaggio che ci porta nel fantastico quanto temuto mondo degli adulti. Dal canto mio, mi sentivo ancora una bambina, mi sentivo libera di poter urlare per le strade, di fare le più grandi cazzate e di vivere la mia vita senza le costrizioni stupide e insensate che gli adulti si mettevano e che, senza successo, cercavano di imporre anche a noi poveri ragazzi. Mi faceva paura, l'idea di crescere, di non poter più vedere le cose con il filtro di un'adolescente. Per i ragazzi, tutto quello che accade durante questa fase, è nuovo e pulito. Crescendo l'essere umano ha il dannato vizio di sporcare le emozioni di bugie, tradimenti, paure infondate. Non volevo diventare grande e trasformare i miei sentimenti in una stupida macchina usata per tornaconto. Avevo la fortuna di poter vivere ogni giorno l'amore vero che c'è tra i miei genitori, ma quando guardavo il mondo dalla finestra, mi rendevo conto che non tutti gli umani sono capaci di amare allo stesso modo.

Saltellai nel letto, per poi correre verso lo specchio e stendere un filo di rossetto di rosso, continuando ad ondeggiare la testa e canticchiare a tutto volume la canzone che era appena partita in riproduzione sullo schermo: Girls Just Want To Have Fun, di Cindy Lauper. Quel giorno avevo voglia di uscire da sola, sedermi su un tavolo al Vanilla e bere il mio adorato milkshake alla fragola. Volevo sentirmi libera. Dalla scuola, dagli amici, dai quasi fidanzati fuori di testa, dalle urla incessanti di mia sorella, da mio fratello e i suoi modi per darmi fastidio, da mia madre e mio padre e le loro domande imbarazzanti. Volevo sentirmi solo Maya, per un pomeriggio. Semplicemente me stessa.

«Mayaaaaaaaa abbassa quella musica!» strillò Jace dalla sua stanza. Sicuramente era chino tra i libri, come al solito. La sua vita girava intorno allo studio, al college e al lavoretto part time che aveva trovato da Starbucks. Mio fratello era passato all'età adulta ancor prima di potersi godere i tanti attesi vent'anni, il che era molto deprimente e monotono. Secondo lui, le responsabilità vere arrivavano dopo i diciotto anni. Io non la penso così. Credo che sia proprio dopo quella tappa vitale, che comincia la vita vera.

Ridacchiai, alzando di più il volume e spogliandomi dei vestiti, per potermi mettere qualcosa di decente per uscire. La porta della stanza si aprì, mostrando mio fratello leggermente imbronciato e contrariato. Si avvicinò alla televisione e la spense, incrociando le braccia. Fine dei balli, Maya. «Che cosa stai facendo?» mi chiese contrariato, mettendosi una mano in faccia.

«Uhm... ascolto musica e ballo. Figo, vero?» chiesi divertita.

Mi guardò male, per poi spalancare gli occhi. «Ma tu sei... in intimo! Rivestiti, Cristo!» urlò, uscendo di fretta dalla stanza. Scoppiai a ridere e presi un pantaloncino di Jeans nero e una maglietta dei Metallica, per poi legare i capelli in una coda e indossare i vestiti, mettendo le calze a rete sotto di essi e abbinarci le converse nere. Look total black, mi piaceva. Mi sentivo bene con i colori scuri sul corpo, più al mio agio. Scesi di sotto, prendendo il telefono e attaccandoci le cuffie, per poi sorridere a mia madre.

«Vado da Vanilla, mamma. Ho voglia di rilassarmi un po' tra quei tavoli. Per le otto sono a casa.» borbottai, uscendo di casa e percorrendo la strada verso la tavola calda.

Il Vanilla era il cuore di Red Hills. Quel locale era stanziato lì da tempi immemori e i più grandi e veri amori erano nati tra quei tavoli, mentre il jukebox suonava la canzone che andava in voga in quegli anni. Entrai silenziosamente, facendo scattare al solito la campanellina e beccandomi un'occhiata benevola da Darleene, la proprietaria. Gestiva questo posto insieme al marito, John, che era uno degli uomini più teneri e bravi in cucina che avessi mai conosciuto. Mi sedetti sullo sgabello, sorridendo appena. «Milkshake alla fragola, eh? Te lo preparo subito. Intanto perché non vai a quel tavolo? Qualcuno si sta sbracciando per farsi notare.» indicò con un cenno un posto dietro di me. Mi voltai confusa, vedendo Kevin che si sbracciava e mi sorrideva enormemente, seduto al tavolo con Jamie, Alex e Jason. Sospirai e saltai giù dallo sgabello, avvicinandomi a loro.

The ticket of destinyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora