23. La mia splendida pazza famiglia

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Maya

La luce accecante mi costrinse a strizzare gli occhi, infastidita da quel barlume che mi colpiva in pieno viso. Mi spostai dal lato opposto al raggio di luce, portando la coperta fin sopra il naso e corrucciando la fronte. Il silenzio che prima regnava nella mia stanza si ruppe con un rumore di passi continui e forti, che mi stavano infastidendo più di quanto io stessa potessi ammettere. Sbuffai, alzando ancora di più il piumone, fino a coprire il mio corpo per intero, così da poter attutire i rumori e qualsiasi altra cosa mi circondasse. Il suono dei passi cessò, rilassai il mio viso e provai ad addentrarmi di nuovo nel mio più profondo sonno. Sentii la coperta scivolarmi dal corpo, mi rannicchiai su me stessa, scossa dai brividi di freddo. «Mh...» mormorai, cercando invano di ricoprirmi per tornare al bellissimo calduccio di poco prima.

La persona che stava infastidendo il mio sonno, però, non demordeva e continuava a tenere stretto quel piumone che non voleva lasciarmi godere. «Maya, tirati su. Devi andare a scuola.» dalla voce, mi resi conto che il mio disturbatore era Jace, mio fratello. Feci una smorfia contrariata e aprii un occhio, mettendo il broncio.

«Non posso rimanere a casa, oggi?» chiesi speranzosa, notando un cipiglio pressoché contrariato comparire nel suo volto. Afferrato il messaggio, mi armai di buona volontà e mi alzai dal letto, evitando di inciampare tra le lenzuola aggrovigliate a causa del mio sonno perennemente agitato. Gli rivolsi un'occhiata contrariata, avanzando verso il grande armadio in legno scuro che occupava gran parte della mia stanza. Jace, dal canto suo, mi guardava con espressione attonita, cercando di capire perché io avessi deciso di fare lo sciopero del silenzio. Aprii le ante del mobile, osservando con espressione perplessa ogni singolo capo presente all'interno di esso. Mi voltai, guardando mio fratello con aria confusa, prima di aprire la bocca per parlare. «Perché cavolo mi stai fissando così? Sono pallida? Verdognola?» chiesi irritata, incrociando le braccia e attendendo una risposta che non tardò ad arrivare.

«Sto solo cercando di capire perché tu sembri essere leggermente arrabbiata con me. Ti sei alzata con la luna storta o hai sognato me che ti facevo un dispetto tremendo?» chiese accigliato, appoggiandosi alla scrivania nera. Osservai la sua schiena riflessa nello specchio, adornato di foto ritraenti me e i miei amici in momenti lieti e spensierati. Rimasi in silenzio per vari minuti, prima di scoppiare in una fragorosa e sentita risata.

Jace, naturalmente, sembrava ancora più confuso di prima e si stava passando una mano sul mento come se quel gesto potesse servire a capirci qualcosa. «Jace, mi sono appena svegliata. Inoltre, essendo mio fratello, dovresti sapere che d'appena sveglia non sono mai stata simpatica, indipendentemente dalla persona che ho davanti.» replicai, cercando di frenare le incontrollabili risate che mi stavano facendo venire il mal di pancia.

Il ragazzo, con estrema riluttanza, annuì. Poi si spostò, incamminandosi verso la porta e appoggiando una mano alla maniglia. «Vestiti pesante. Sta piovendo.» disse, prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle. Storsi il labbro, rivoltandomi verso quella massa di vestiti che occupava il mio armadio da sempre. Faceva freddo, quindi in teoria avrei dovuto indossare degli abiti adibiti per permettere al mio corpo di sentirne il meno possibile. Ma il problema era molto diverso, perché io con gli abiti impacciati tipici di una stagione fredda, non riuscivo proprio a starci. Ciò comportava il dover indossare per la maggior parte del tempo magliettine a maniche corte, e sperare che una misera giacca potesse servire per fermare il gelo tipico di quei periodi. Feci un leggero ma obbligatorio sbuffo, prima di infilarmi dentro l'armadio e valutare cosa indossare per affrontare una giornata scolastica senza alcun problema. Mi ritrovai con un paio di jeans in mano, una maglia nera a maniche corte e una cardigan bianco d'adagiare sulle spalle. Abbinamento per niente alla moda, né perfetto per entrare nei corridoi della Red Hills mano nella mano con una giocatore di football molto ambito. Mordicchiai il labbro e acchiappai un vestito invernale bordeaux scuro, che abbinai agli stivali alti neri e a un cappellino di lana del medesimo colore. Ero riuscita nell'impresa, in parte. Peccato che mi mancava la voglia di andare a scuola, o comunque di fare la qualsiasi cosa che comprendesse il dover oltrepassare l'uscio di casa mia. Mi trasferii in bagno, intenta a prepararmi come meglio potevo per affrontare una giornata in quel carcere. Quando scesi di sotto, notai di come la mia famiglia si fosse bloccata dal suo ordinario trambusto mattutino, rimanendo a fissarmi con la bocca semi-aperta in un'espressione che mostrava puro e semplice stupore. Alzai un sopracciglio e – fingendo categoricamente di non essere al centro dell'attenzione – presi posto nel mio solito punto di destra, accanto a quello del mio adorato padre, che spostò il suo sguardo sulla mia figura, attento. Gli rivolsi mezza occhiata, prima di prendere un waffle e cospargerlo di sciroppo d'acero, per poi ruotare gli occhi alla vista di mia madre che non riusciva a spostare il suo sguardo dalla mia figura, sbigottita.

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