15. Ogni mia sfumatura

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Maya

La pioggia batteva incessante per le strade di Red Hills, costringendo ogni singolo cittadino a rimanere in casa, nel loro zona comfort, al caldo. Era quello il motivo per cui, quel pomeriggio, io e i miei amici avevamo deciso di passare del tempo insieme, sotto il piumone in camera mia a mangiare schifezze e a parlare di tutto. Non sentivo Jamie dal giorno prima, non era venuto a scuola e onestamente non avrei voluto disturbarlo con i miei messaggi. D'altro canto, se avesse avuto voglia di sentirmi, avrebbe potuto benissimo scrivermi lui. Di certo non avrei evitato di rispondergli. Hailey e Jason, quella mattina, avevano finalmente ufficializzato la loro relazione. Non che questo potesse cambiare molto, in realtà, visto che a scuola tutti già sapevano cosa fossero quei due. Era stato comunque bello, vedere Jason che urlava nei corridoi che quella era la sua ragazza e che si sentiva fiero di dirlo a tutto il liceo. Anche Archie si era stupito del gesto, mettendolo nelle classifica delle cose più romantiche fatte alle sue migliori amiche, ovvero noi. Naturalmente, era una classifica solo composta da gesti compiuti per Hailey, perché Justin di romantico non aveva mai avuto nulla. Un po' mi dispiaceva, il fatto che ci eravamo persi del tutto. Forse era una necessità, in effetti. Non nego che lo pensavo ancora, ma non potevo affermare che sarei tornata indietro. Non era nella mia natura e di passi arretrati con lui ne avevo fatti molti. Molto spesso diamo tanto alle persone senza rendercene nemmeno conto, finendo per dare troppo poco a noi stessi. Ci avevo messo l'anima, con lui, senza accorgermi che non la trattava con cura, usandola a suo piacimento.

Ho sempre pensato che noi esseri umani abbiamo un concetto strano di ciò che ci fa del bene. A volte, quando ci capita di incrociare una persona durante il nostro cammino, che poi si rivela essere importante, crediamo che lei rimanga in eterno. Credo che a ognuno di noi sia capitato di avere i cosiddetti paraocchi. Quante volte eravate fermamente convinti che il vostro amico o il vostro fidanzato fosse la persona più buona del mondo? E quante volte poi avete scoperto che in realtà era tutta una menzogna? È capitato a tutti e credo che sia una cosa assolutamente normale. Quando ci affezioniamo a qualcuno, tendiamo sempre di vedere il buono in loro, quando in realtà c'è solo del marcio. Non è essere stupidi, no. È come se il tuo cuore non desse ascolto al tuo cervello, che è la parte più razionale di te, quella che ti fa vedere le cose per come stanno davvero. Noi sappiamo sempre com'è la vera versione dei fatti, ma lasciamo agire ogni volta la parte più ingenua di noi, ovvero il nostro cuore. Ed è per questo che il cervello, quando si accorge che noi siamo risoluti ad ignorarlo, comincia a mandarci dei segnali che ci fanno stare male fisicamente. Così cominciano gli attacchi di panico, se ci pensate. Quello che sentite quando il vostro cuore batte in modo disumano, quando sembra che tu stia per morire all'istante e ti vedi passare i tuoi ultimi attimi di vita, non è malessere fisico. È mentale, è tutto mentale. È lui che ci sta dicendo di reagire, di guardare in faccia la realtà e affrontarla con coraggio, perché solo combattendola riesci a liberartene del tutto. In quel esatto momento in cui tu credi che la tua vita stia per finire a causa di quei malesseri fisici che non hai mai provato, non sta finendo, fidati di me. È il tuo cervello che ti dice di ricominciare a vivere, di farlo meglio e senza quelle relazioni tossiche che ti fanno stare male. È il tuo cervello che sta attirando l'attenzione, che cerca di svegliare il tuo cuore. Non vuole spaventarti, vuole solo chiederti aiuto. E solo ascoltandolo, potrai aiutarlo, salvando anche te stesso.

Ho sofferto molto di attacchi di panico, negli anni scorsi. Mi ricordo che mia madre aveva girato i migliori ospedali, credendo che io avessi dei problemi cardiologici. Nessuno mi credeva, tutti pensavano che io inventassi ogni singolo sintomo, perché nei risultati dei vari test il mio organismo era assolutamente normale. In una delle tante visite, il medico aveva dedotto che io soffrissi di attacchi di panico. La loro unica soluzione era quella di infilarmi delle gocce sotto la lingua, che sarebbero serviti a tranquillizzarmi come si deve. Avevano un sapore amaro, talmente tanto che le ingoiai ancora prima che il medico mi raccomandasse di non farlo. Mi ricordo che il fatto che io le avessi mandati giù nonostante non dovessi farlo, mi aveva fatto preoccupare parecchio e mi chiesi se mi sarebbe successo qualcosa di brutto. Nei giorni a seguire, mi consigliarono di prenderne tre ogni qualvolta che i miei attacchi tornassero a farmi visita. Quelle gocce erano la mia unica fonte di salvezza o più probabilmente, l'inizio della mia distruzione. Avevo cominciato a fare delle visite periodiche dallo psicologo, che cercava di capire la natura della mia patologia mentale. Niente che mi aiutasse, in realtà. La colpa non era della scarsa competenza del medico, ma dal fatto che assumessi quelle dannate gocce ogni volta che l'attacco tornava. Era come se il mio cervello mi dicesse che senza di quelle non sarei riuscita a superare l'attacco di panico, che senza di quelle sarei morta. Per questo, dopo che lo psicologo scoprì che le assumevo, mi ordinò categoricamente di buttarle via. Mi ripeteva sempre che ciò che mi accadeva non era nulla, che io ero più forte di lui e che avrei potuto sconfiggerlo da sola. Ed è tutto vero. Non dico che oggi mi siano passate, non è così. Credo che gli attacchi di panico, quando ne sei un soggetto sofferente, non passino mai. Non sono più frequenti, è vero, ma ogni tanto ritornano. No, non lo fanno quando è un brutto periodo della mia vita. Lo fanno quando sono tranquilla, a ridere con gli amici o a guardare un film. Lo fanno quando meno me lo aspetto, quando non esiste alcun motivo per ritornare. Ho imparato a combatterli, adesso. So di essere più forte. Ma tengo sempre un flacone di ansiolitici nel mio comodino, quelli mi danno la sicurezza che nel caso andasse male, posso aiutarmi con loro. Vorrei poter dire di essermene liberata, ma non è così. La mia patologia mentale c'è sempre, arriva quando credo che tutto nella mia vita stia andando per il verso giusto e mi ricorda che non sono da sola. Mi ricorda che, ogni tanto, lei è ancora più forte di tutte le volte in cui ho cercato di ignorarla. È come se fosse un campanello d'allarme, un segnale che mi attesti che in realtà non è andata via, che rimarrà sempre con me. È come quell'ospite indesiderato che non vedi l'ora che si dilegui, ma che tornerà sempre per ricordarti che nonostante il tuo odio nei suoi confronti, lui continuerà ad infastidirti. In parole povere, è la parte di te che non vuoi mostrare a nessuno, perché nessuno potrà mai capirla.

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