9- La paura di perderti

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Era sera inoltrata, aveva il cellulare modalità aereo e camminava senza una meta precisa.
La canzone degli Aerosmith a palla nelle cuffie gli donava una serie di emozioni che lo scuotevano fin nelle viscere, ma non riusciva a farne a meno.
Da quando Millard era entrato nella sua vita, pezzo dopo pezzo il suo mondo si era sgretolato.
Il suo amore per Russ si stava a poco a poco eclissando e lui si sentiva estremamente in colpa per questo.
Russ gli aveva sempre dato tutto.
Gli aveva affidato il proprio cuore, l'aveva accolto nella propria quotidianità, gli aveva mostrato cosa volesse dire tenere ad una persona... e allora perché gli doleva il cuore così tanto in presenza di Millard? Per quale motivo moriva dalla voglia di baciarlo, moriva dalla voglia di scoprire ogni sfumatura della sua vita, di trascorrere quanto più tempo possibile con lui?
Una lacrima gli rigò la guancia pensando all'ultima conversazione che avevano avuto.
Il moro era stato chiaro: non voleva avere niente a che fare con lui.
L'aveva baciato più volte e aveva chiamato tutto "Cosa da niente", l'aveva trattato come un moccioso davanti ai suoi amici al pub, l'aveva quasi deriso di fronte a tutti, umiliandolo... e nonostante questo non riusciva a toglierselo dalla testa.

Avrebbe tanto voluto un abbraccio in quel momento, ma non se la sentiva di correre da Russ... Russ che era sempre disponibile per lui e che non gli negava mai niente, Russ che sicuramente non meritava la sua ipocrisia.
Si sedette su una panchina ammirando gli ultimi chiarori della giornata che venivano inghiottiti dalla notte.
Le luci della metropoli all'orizzonte e i rumori attenuati dalla lontananza quietarono un po' il suo tumulto interiore.
Si domandò cosa sarebbe stato del suo futuro.
Si sentiva insoddisfatto...eppure visto da un occhio esterno, la sua vita poteva essere considerata perfetta.
Si prese la testa fra le mani e chiuse per un istante gli occhi, gli faceva un gran male e aveva anche cominciato a vorticare.

All'improvviso perse i sensi.

Alzò piano le palpebre , cercando di ricordare cosa fosse successo...
"Hey ragazzino" si sentì chiamare da una voce rauca e sconosciuta.
Quasi saltò dal divano mettendo immediatamente a fuoco la stanza e l'uomo che gli aveva rivolto la parola.

Una paura tremenda lo fece tremare.

Dove era finito?

"Hey guardami" disse l'uomo con i capelli rossi e una barba molto folta dello stesso colore a coprirgli il viso.

Shiloh indietreggiò fino a cozzare contro un mobile, muovendo gli occhi per cercare una possibile via di fuga.
Gli occhioni azzurri erano sgranati all'inverosimile, il labbro tremolante e il respiro gli si era fermato in gola.

"Ragazzino ascolta. Non voglio farti del male. Ti ho trovato mezz'ora fa svenuto su una panchina e ti ho portato qui.
Avevi il cellulare scarico, quindi mi sono permesso di prendere la sim dal tuo cellulare e chiamare dal mio.
Stanno venendo a prenderti."

Mentre cercava di tranquillizzarlo un bambino di pochi mesi si avvicinò al papà tendendo le braccine per farsi prendere e l'uomo lo assecondò riservandogli un bacio e un sorriso dolce.
Questa scena parve tranquillizzare Shiloh, che comunque continuò a mantenersi vigile.
"Sei più tranquillo?" Gli chiese ancora l'uomo. "Non sono un malintenzionato... questo è il mio bambino. Stavo tornando dall'ospedale dopo aver accompagnato mia moglie per il turno notturno e ti ho visto inerme su quella panchina. Mi sono anche leggermente spaventato" accennò un sorriso tra i folti baffi.
"La-la ringrazio" disse Shiloh tornando a respirare normale.
Il bambino intanto mugolò qualche versetto sconnesso e si tese verso il ragazzo.
"Mi avvicino, non avere paura. Io sono Peter e il mio piccolo si chiama Lucas" disse facendo qualche passo verso di Lui. Shiloh fece lo stesso prendendo poi la manina del bambino che urlò eccitato.
"Ciao piccolino" mormorò con gli occhi liquidi. "Io sono Shiloh" e gli sorrise.
"Come mai eri lì?" Domando l'uomo con apprensione.
Shiloh lo osservò e ingoiò più volte il groppo che gli si era formato in gola.
"N-non lo so... I-io..." non fece in tempo a terminare che sentirono suonare il campanello.
L'uomo lasciò il bambino sul divano e chiese chi fosse per poi aprire la porta.
Sulla soglia c'era un Russ preoccupatissimo che dopo un cenno del capo del proprietario dell'abitazione si precipitò dentro prendendo il biondo tra le braccia. Lo strinse fortissimo.
"Shiloh, che spavento amore" gli prese il volto tra le mani.
"Perché l'hai fatto piccolo?" gli diede un bacio sulle labbra e lo strinse ancora al petto, ricambiato dal minore che si lasciò andare ad un pianto liberatorio.

Nel frattempo sentiva delle voci poco distanti, voltò di poco lo sguardo e vide Peter parlare con Millard.
Il cuore gli balzò dal petto.
Anche Millard si voltò e i loro occhi si incatenarono.
Aveva gli occhiali da vista che non riuscivano comunque a mascherare il nervosismo e la severità che provava il moro in quel momento.
"Ma che cazzo ti dice il cervello? Ragazzino idiota" gli urlò contro ad un tratto.
"Millard e che cazzo. È sconvolto, non lo vedi? Un po' di tatto" sbraitò a sua volta Russ contro il cugino.
Millard indurì lo sguardo punto sul vivo.
"No amore, Millard ha ragione. Mi dispiace così tanto" disse flebile Shiloh. Quella frase detta con così tanto dispiacere fece sciogliere anche Millard che girò le spalle e ringraziò l'uomo per poi dirigersi verso la macchina.

Ringraziarono ancora Peter per la sua gentilezza e disponibilità, il quale riservò una carezza a Shiloh, dopodiché presero posto nei sedili posteriori della macchina. Millard avviò il motore e procedettero verso casa.

A casa c'erano proprio tutti.
La nonna super preoccupata che non appena vide il nipote varcare la soglia scoppiò in lacrime seguita a ruota da Dora.
Ricky al telefono che rassicurava i genitori del biondo che erano dall'altra parte del globo.
Millard che da quando l'aveva visto aveva fumato 100mila sigarette per il nervoso.
Russ che quasi piangeva per la paura gli fosse successo qualcosa...

Si sentì uno schifo.
Scoppiò nuovamente a piangere abbracciando Dora che lo rimproverò bonariamente bagnandolo con le lacrime.

Quella situazione sarebbe potuta finire molto male per colpa della sua scelleratezza. Si era lasciato sopraffare dalle emozioni, dal malessere di quei giorni, dai sentimenti in contrasto che lo opprimevano e aveva spento il buon senso.

Salutò tutti con un nodo allo stomaco. Voleva solo lavarsi e riposare.

Prima che chiudesse il battente però, Millard fece qualche passo indietro rientrando in casa e inaspettatamente avvolse tra le braccia il biondo.
Shiloh si aggrappò con tutto se stesso a quelle braccia forti.
Si strinse al suo corpo, respirò il suo odore affondando il naso nell'incavo del collo del più grande alzandosi sulle punte addossandosi ancora di più.
Millard lo confortò, gli diede tutto se stesso senza sapere il perché di quel gesto. Ricambiò con la stessa intensità.
In quell'abbraccio ci mise tutto quello che sentiva, tutta le ansie, le paure, i batticuore, la voglia che aveva di lui.
"Devo parlarti Shiloh" gli soffiò vicinissimo al viso con quell'accento che mandava fuori di testa il minore. "Non la passi liscia, adesso vai, riposati, ma torneremo sull'argomento" concluse più serio.
"Non ho bisogno della paternale Mill" sussurrò Shi "vorrei restassi con me" si lasciò sfuggire in un miagolio impercettibile.
Millard gli baciò castamente l'angolo della bella bocca e uscì dalla porta per evitare di mandare ancora una volta i suoi buoni propositi al diavolo.
"Domenica sera ti aspetto al pub" disse sulla soglia della porta stando di spalle "riposati e non fare altre cazzate piccolo" concluse prendendo il casco e indossandolo.

Shiloh lo vide sfrecciare in sella alla sua moto, dopo qualche secondo chiuse la porta e si diresse verso il bagno.

Era davvero davvero esausto.

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Angolo me: Fatemi sapere cosa ne pensate. Mi farebbe molto piacere.

Spero vi stia piacendo questa storia, a presto.
Giusena xx.


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