03 aprile 2014, Washington Hospital Center, Washington DC
Sharon non sapeva quantizzare quanto tempo aveva sprecato a fissare inutilmente la porta di quella stanza, ma era ormai convinta di aver messo radici nel corridoio. Gli infermieri le sfilano accanto correndo da un reparto all'altro, solo qualche temerario distratto trovava il coraggio di chiederle che paziente stesse cercando e lei si era ritrovata a puntare lo sguardo contro la porta concedendo una tacita risposta.
Era lì da talmente tanto tempo che attirava solo lo sguardo di qualche curioso di passaggio, ma preferiva sorvolare, combattuta sul da farsi.
Continuava imperterrita a fissare la porta, in piedi e appoggiata contro il muro, la spalla indolenzita dal peso della borsa e la giacca di pelle ancora sottobraccio... aspetta non sa bene cosa, forse un ordine o un intervento divino, la sicurezza con cui aveva raggiunto l'ospedale era evaporata nel momento esatto in cui era giunto il momento di aprire quella porta.
Una volta staccato il turno alla CIA, aveva trovato una chiamata persa e un messaggio da parte di Tony, nell'SMS la avvisava che Rogers era fuori pericolo e che Sam gli stava facendo da balia fino a quando non si fosse risvegliato dall'anestesia, aggiungendo il nome dell'ospedale e il numero della camera. Si era sentito in dovere di specificare in un post-scriptum che aveva giocato d'anticipo, conscio che lei non gli avrebbe mai chiesto certe informazioni.
Aveva sorvolato sulla frecciatina andata a segno, aveva gettato il cellulare nella borsa afferrando le chiavi dell'auto, più che intenzionata a guidare fino all'ospedale assecondando quella decisione presa d'impulso, per poi ritrovarsi impalata davanti alla porta della camera in attesa.
Arrivata a quel punto cosa avrebbe dovuto fare?
Si era finta la sua vicina di casa per più di un anno e mezzo, era in pieno diritto di fargli visita all'ospedale... ma come ci si comporta di preciso se tale vicina di casa si era rivelata un agente sotto copertura? Come ci si comporta se, in meno di due giorni dalla scoperta, si erano ritrovati entrambi senza lavoro ed uno dei due era costretto su un letto d'ospedale, dopo aver sventato l'annegamento, con le ossa rotte e quattro proiettili in corpo? Come avrebbe dovuto comportarsi Sharon Carter, che di Steve Rogers sapeva praticamente tutto, nei confronti di quest'ultimo che di lei sapeva a malapena il nome, qualche generalità e tante notizie false?
Si stava arrovellando il cervello da ore, ma non trovando soluzione aveva mandato al diavolo l'etica, la morale e tutti i buoni propositi, si era fatta coraggio ed aveva aperto la porta.
Il Capitano Rogers, che fino a quel momento stava puntando lo sguardo annoiato verso il televisore, aveva abbandonato la sua intensa attività di zapping rivolgendole lo sguardo.
Sharon era riuscita a scorgere il cambiamento nelle iridi azzurre, il passaggio dalla sorpresa di vederla, al risentimento mal celato quando il suo cervello aveva associato la sua persona alla marea di bugie che rappresentava.
-Ehi. -si ritrova a dire, accennando un mezzo saluto con la mano e un microscopico sorriso. -Vengo in pace.
-Fury teme che mi alzi dal letto e mi butti dalla finestra? - la nota d'astio nella voce rende fallimentare il tentativo di porle la domanda con tono ironico.
Sharon non lo biasima, è conscia di meritarsi quel trattamento, ben consapevole che l'unico motivo per cui Steve non le ha già chiesto di andarsene è per via della sua indole di ascoltare tutte le versioni dei fatti prima di giudicare... un mezzo saluto tra i corridoi del Triskelion non poteva considerarsi un chiarimento.
-Non sono qui per ordine di Fury. - Lo sguardo di Steve la esorta a continuare. -Sono qui per scusarmi... credo.
-Per avermi spiato?
-Tra le altre cose.
Sharon non sa spiegarsi il motivo, ma quella microscopica ammissione di colpa dà ufficialmente il via al fiume di parole che non aveva potuto dirgli e serbava da un anno e mezzo. La discussione si era protratta oltre ai convenevoli e alle domande formali, circa i tempi di guarigione accelerati e il prurito alle garze che coprivano i fori di proiettile, ritrovandosi a sgranocchiare insieme le merendine prese alle macchinette automatiche nel corridoio, seduta sulla poltroncina di fianco al letto con i piedi puntati all'angolo del materasso.
Aveva aggiornato Steve sull'udienza a Washington, sulle informazioni segrete dello SHIELD diventate virali su internet, sull'approccio poco ortodosso di Natasha nell'affrontare il processo e sul come, proprio a causa di quel polverone innalzato sotto giuramento, erano riusciti a trascinare Tony in tribunale per placare il dibattito, ridendo all'idea di Tony Stark intento ad affrontare una discussione diplomatica senza dare spettacolo e ricadere nell'egocentrismo.
-Parli di Tony come se lo conoscessi di persona.
Era stata una considerazione casuale ed innocente, ma Sharon era stata punta sul vivo, ritrovandosi a pensare alla cortina di fumo su cui si aggiravano ancora le informazioni che Steve aveva sul suo conto.
-Si può considerare come una sorta di cugino adottivo, siamo cresciuti insieme... - lo sguardo confuso di Steve le fa sorgere il dubbio che raccontare proprio tutta la verità non sia una grandiosa idea, ma ormai non può più tirarsi indietro, decisa ad arrivare fino alla fine del racconto. -... allo SHIELD non lo sa quasi nessuno, è già abbastanza complicato gestire la situazione senza che si sappia in giro che zia Peggy è la sua madrina di battesimo[1]...
Conclude la frase con nonchalance, cercando inutilmente di mascherare la tensione che ha nascosto dietro quelle parole, lo sguardo basito di Steve che la inchioda sul posto impedendole di fuggire.
-Zia Peggy?
-Da parte di papà. -Ignora il perché abbia ritenuto necessario specificare il grado di parentela, l'assenza di una qualsiasi reazione la impensierisce, rimanendo spiazzata nel vedere Steve soffocare una mezza risata.
-Scusami... non posso fare a meno di immaginare te e Tony da piccoli sotto lo stesso tetto, deve averti reso l'infanzia un inferno.
Sharon si scopre a ridere, confessando che le tirate di trecce e i dispetti fossero all'ordine del giorno, insieme alle strigliate della zia e occasionalmente quelle di Howard.
-Peggy lo sa che mi hai tenuto d'occhio tutti questi mesi?
Si aspettava quella domanda.
Mentre cerca di elaborare una risposta coerente, tenta inutilmente di eclissare il ricordo dell'ultima visita a zia Peg, della sua difficoltà nel riconoscere entrambi i nipoti. Tenta di non riportare alla mente le conversazioni al telefono con Tony, nelle quali quest'ultimo le riferiva con tono spento che negli ultimi tempi la zia lo scambiava troppo spesso per Howard... sul come a volte non li riconosceva proprio e sorrideva scusandosi, dicendo loro che certe informazioni erano confidenziali.
-Ha già abbastanza segreti Steve, non volevo che tu ne diventassi un altro.
Non è esattamente la verità, ma la accetta come tale... le fa uno strano effetto quando, al momento di salutarsi, Steve la chiama per nome.
Sharon non ricorda quand'è stata l'ultima volta che qualcuno l'ha chiamata semplicemente per nome, senza quell' "agente" e quel cognome ingombrante a seguito.
È una sensazione piacevole... crede di poterci fare l'abitudine.
STAI LEGGENDO
Till the end of the line
FanfictionDal capitolo 8: Devono aver urtato i cameramen perché viene perso il segnale, quando i televisori si risintonizzano segue un chiacchiericcio confuso che si placa con la notizia che nessuno voleva sentire... e i televisori esplodono, non si parla d'a...