Capitolo 30

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20 marzo 2018, Salone conferenze, Complesso degli Avengers, Upstate New York

Era già passato un mese da quando si era risvegliato, ma Steve faticava ancora a credere di essere tornato di nuovo indietro dalla sua tomba fatta di ghiaccio, sforzandosi di stare al passo con le varie novità, trovando incredibile quanti cambiamenti potevano verificarsi in un solo anno.

Aveva istituito una vera e propria divisione mentale tra il prima e il dopo, come se la pallottola che gli aveva stroncato il respiro portandolo ad un passo dalla morte avesse ribaltato le carte in tavola, rivoluzionando completamente tutto ciò che lo circondava, facendolo sentire un estraneo nella sua stessa pelle... in realtà per colpa di quella pallottola l'avevano creduto effettivamente morto, anche se quello era un dettaglio su cui non gli piaceva soffermarsi a pensare particolarmente.

L'ultima cosa che ricordava del prima era Sharon in lacrime, terrorizzata per ciò che non sapeva ancora di aver fatto, mentre la sua voce acuta e singhiozzante si mescolava alle sirene dell'ambulanza, perforandogli un timpano intimandogli di restare sveglio... aveva perso conoscenza, quando aveva riaperto gli occhi era notte fonda e suo fratello, al quale aveva dato la caccia per mesi senza successo ancora un anno prima, aveva interrotto il suo turno di guardia cercando di darsi un contegno per trattenere al suo controllo le lacrime di gioia.

James gli aveva spiegato che fino ad una ventina di giorni prima del suo risveglio lo davano per morto, che la sua tomba nell'Artico era stata la sua salvezza e che, se voleva scusarlo, doveva immediatamente informare gli altri. Sospettava che nel tragitto tra l'ala medica e gli alloggi suo fratello si fosse concesso di versare quelle lacrime che aveva trattenuto a stento di fronte a lui, ma Steve non aveva fatto domande in merito e James non aveva avuto motivo di fornire risposte... d'altro canto non aveva avuto tempo di curarsene, nel giro di un quarto d'ora Sharon Carter aveva tentato di ammazzarsi scendendo i gradini saltandoli a due a due, precipitandosi al suo cospetto gettandogli le braccia al collo, arpionandogli le spalle con le unghie e depositandogli un bacio sotto la mandibola. Steve in tutta risposta l'aveva stretta a sé come meglio poteva, con un braccio ancora bloccato da cannule ed aghi di vario genere, mentre i singhiozzi sommessi della sua fidanzata si scontravano contro la sua cassa toracica. Aveva perso il conto di quante volte aveva sentito la voce di Sharon scusarsi per ciò che era stata costretta a fare, ripetendole altrettante volte che ormai non aveva nessunissima importanza, rafforzando la presa sui fianchi della donna e sussurrandole all'orecchio quanto la amasse.

Steve aveva dovuto aspettare le prime luci dell'alba prima di vedere qualche altra anima farsi viva nell'ala medica, silenziosamente grato che gli altri abitanti del Complesso gli avessero concesso qualche altra ora di privacy con Sharon prima di assediarlo per i più disparati motivi, sorridendo a Tony quando aveva varcato la soglia con il vassoio della colazione in mano per lui e la cugina, che dormiva pacifica addossata alla sua metà del corpo libera da elettrodi ed aghi, somministrandogli i farmaci da assimilare a stomaco vuoto per poi scomparire nel suo laboratorio in fondo al corridoio.

Steve ricordava di essersi addormentato mentre imperversava una Guerra Civile alla quale aveva chiesto una tregua prima di vederla effettiva, in un periodo in cui non parlava con metà dei suoi amici e compagni d'armi, destreggiandosi tra le missioni come latitante e ricerche a volte inconcludenti per stanare il Soldato d'Inverno. Al suo risveglio la faida era giunta ad una conclusione da un bel pezzo, Tony e gli altri erano troppo felici di saperlo vivo per non rivolgergli la parola e suo fratello, che nel frattempo ne aveva combinate di tutti i colori portando anche il peso del suo scudo sulle spalle per un bel periodo, si aggirava per il Complesso indisturbato con una copia delle chiavi del suo appartamento a Brooklyn in tasca.

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