«Giorgio, legga il suo tema.»
Gli ordinò un signore sulla quarantina, mentre si aggiustava gli occhiali, dietro alla cattedra. Giorgio era il migliore di tutta la sua classe a scrivere, forse perchè trovava nella scrittura un amico che nella realtà non poteva avere.
Si alzò e sentendosi occhi che preferiva non addosso, iniziò a leggere, a bassa voce e balbettando.
Succedeva sempre così.
Nei suoi sogni voleva avere quella popolaritá che non poteva avere, per la sua troppa timidezza nella realtà.
Quando finí, si risedette.«Perfetto come sempre.»
Gli sorrise il prof.
In quel momento Giorgio si sentí triste, forse perché le uniche persone che gli sorridevano erano loro: prof, vicini, adulti, e non adolescenti come lui. Non ragazzi.
A merenda come sempre, rimase da solo nel suo banco, mentre tutti si raggruppavano in piccoli gruppi per la classe. Giorgio non era brutto, era un bellissimo ragazzo della sua età, ma veniva guardato storto perché diverso.
Questo era il suo unico problema.
Era diverso negli atteggiamenti e nel modo di pensare. Giorgio era molto più maturo dei suoi compagni sotto molti, troppi campi e proprio il suo essere maturo era il suo problema, perché si faceva domande e complessi che non poteva e non doveva farsi a quell'etá. Ma nessuno gli faceva capire che lui era perfetto, che non aveva bisogno di tutti quei sogni per sentirsi coraggioso o protetto, che non aveva bisogno di sogni per sentirsi bello o parte di un gruppo.
Ed è questo il problema degli adolescenti d'oggi: hanno sempre paura e vengono condizionati da ciò che la maggioranza fa. Questa non è moda, è vergogna. Vergogna di essere se stessi.
La nostra societá, la sua societá, lavora molto sulla vergogna e di certo, un piccolo ragazzino fragile come Giorgio, non avrebbe cambiato le regole.Molti lo ritengono un dono lo scrivere bene o tenere un dialogo, facendo entrare emotivamente una persona in questo.
Ma è la cosa più brutta che ci possa essere.
Si scrive per sfogarsi, ecco perché Giorgio scriveva cose tristi. Perché non poteva sfogarsi con nessuno, e la felicità viene sempre condivisa.
Scrivere emotivamente significa sentire il doppio o il triplo i sentimenti rispetto ad una persona normale. Sentire il triplo significa piangere per un bacio, per un abbraccio o per una carezza.
Sentire il triplo faceva parte di Giorgio. Era un dono, un dono che gli faceva troppo male.Giorgio aprí il suo libro e inizió a leggerlo. Leggere era l'unica cosa che poteva distrarlo da quelle risatine di tutti. Tutti erano in compagnia, tranne lui...
Dopo nemmeno tre secondi lo richiuse. Quel libro non sarebbe bastato. Non sarebbe bastato a soddisfare quel vuoto che aveva dentro, aveva bisogno di qualcuno.
Di una persona.
Basta lettere, basta inchiostro, basta parole. Aveva bisogno di una persona in carne ed ossa. Aveva bisogno di divertirsi e di ridere come tutti i ragazzini della sua età.
Ma non poteva.
Non poteva perché con nessuno si divertiva davvero. Aveva sempre avuto paura di parlare, e perché ora doveva essere diverso?
Perchè Giorgio ora doveva cambiare?
E perché doveva farlo?
Se qualcuno ti vuole, ti vuole così come sei; se ti vuole diverso non ti vuole affatto.Si alzò e andò in bagno. Guardava in basso. Giorgio non voleva attirare l'attenzione con il suo modo di fare, non voleva apparire un depresso, perché lui non si definiva così. Lui non era nemmeno triste... No, lui non lo era. Lui non riusciva ad ammettere a se stesso, di essere troppo triste, troppo complessato.
Entrò nel bagno.
Si mise davanti al lavandino ed iniziò a sciacquarsi le mani. Appena l'acqua venne a contatto con le sue mani, una scossa le fece allontanare, sentendola troppo fredda. Cambiò direzione del rubinetto e iniziò ad uscire dell'acqua un po' più tiepida, ma comunque fredda.
Pensando che più calda di cosí di certo non sarebbe uscita, si sciacquò la faccia per sei volte.
Le aveva contate tutte per mancanza di pensieri, per mancanza di cose da fare.
Lui riteneva le persone che si lamentano di essere stanche dopo un miliardo di cose da fare, ridicole. Lui avrebbe pagato oro per averle.
Lui voleva tornare a casa stanco ma soddisfatto; lui voleva fare qualcosa nella sua vita e non rimanere cosí... senza niente.