XV (POV Isabelle)

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La giornata delle visite era terminata e mancavano poche ore alla cena, ma malgrado le mie proteste Eric mi aveva trascinata in palestra con lui.

Il giorno seguente avrei combattuto contro Jordan, perciò dovevamo assolutamente provare per l'ultima volta tutte le sequenze che mi aveva mostrato in quelle lunghe ore di allenamento.

Adesso, tre ore e innumerevoli proiezioni a terra dopo, mi doleva ogni singolo muscolo ed ero abbastanza sicura di non essere mai stata peggio in vita mia.

- Possiamo andare a mangiare? – chiedo, rimettendomi in piedi e massaggiando la spalla con espressione dolente.

- Niente cena finchè non lo dico io – replica, risistemandosi in posizione di guardia e facendomi cenno di fare altrettanto.

Sbuffo, ma lo assecondo.

Discutere con Eric è inutile, perché quando si mette in testa qualcosa non c'è verso di fargli cambiare idea. È la persona più risoluta e dispotica che abbia mai conosciuto in vita mia, ma devo riconoscere che sottoponendomi ai suoi ritmi serrati sto migliorando in modo netto e rapido.

- Questa sera c'è la torta al cioccolato -, dico alzando maggiormente la guardia, - e se arriviamo in ritardo e non ne trovo nemmeno una fetta sappi che ti riterrò personalmente responsabile. –

- Che tremenda minaccia -, ironizza muovendo un passo in avanti, - mi tremano le ginocchia dalla paura. –

Tenta un attacco frontale, che schivo spostandomi a destra all'ultimo secondo. Provo a replicare fintando un high kick, ma il braccio di Eric mi intercetta e blocca il colpo. Mantiene sollevata in aria la mia gamba, facendomi perdere l'equilibrio e sbattere il sedere a terra.

Lascia la presa e mi osserva dall'alto in basso con ironia.

- Dubito che da lì tu riesca a impensierire qualcuno. –

- Spiritoso -, bofonchio rimettendomi in piedi, - sei veramente un comico nato. –

Provo a contrattaccare, ma le braccia dolenti e la scarsa convinzione hanno la meglio sui miei movimenti e mi rendono lenta e prevedibile.

Eric corruga la fronte, pensieroso, e poi sembra decidere di cambiare strategia per spronarmi a colpirlo meglio che posso.

- Ti rendo il compito più semplice. Se mi proietti a terra anche solo una volta ti permetterò di andare a cena. –

Il mio stomaco brontola da più di un'ora e mezza, ho un disperato bisogno di rifocillarmi e abbandonarmi sulla brandina della camerata, perciò accolgo quella sfida con un'improvvisa punta di determinazione.

Lui è l'unico ostacolo tra me e un po' di meritato riposo. Posso riuscire a ribaltarlo almeno una volta ... devo riuscirci.

Attingo alle ultime energie rimaste e cerco di muovermi più velocemente possibile. Metto a segno una sequenza di colpi dritti e alzo appena il ginocchio sinistro per fintare un calcio frontale al plesso solare. È appena un attimo, poi lo abbasso nuovamente e faccio scattare in avanti il piede destro. Colpisco il piatto del suo piede dominante, quello su cui scarica tutto il peso, e metto le ultime briciole di forza rimaste in quella spazzata.

Eric viene colto di sorpresa, si sbilancia visibilmente, ma è ancora in piedi. Così tento un calcio girato al volto, mandandolo finalmente al tappeto. Mi butto su di lui, mettendomi a cavalcioni sui suoi fianchi, e mi distendo quanto basta per premere il mio avambraccio destro contro la sua trachea.

Rimane a fissarmi con gli occhi leggermente sgranati, mentre prova a continuare a respirare normalmente. Sorrido trionfante continuando a fare pressione, ma è proprio quella piccola arroganza che mi condanna definitivamente.

Le mani di Eric lasciano il mio avambraccio e si serrano sulle mie cosce.

Con un deciso colpo di reni, ribalta la posizione.

Si puntella sui gomiti per non schiacciarmi con il suo peso mentre mi sovrasta, coprendomi abbondantemente con il suo metro e ottantacinque.

Adesso è lui a sorridere compiaciuto.

- Mai distrarsi –, mi soffia a pochi centimetri dal viso, - o dai il tempo al tuo avversario di trovare una via di fuga. –

M'imbroncio mentre lui si alza e mi tende una mano per aiutarmi a fare lo stesso.

L'accetto, ma invece di alzarmi lo tiro nuovamente giù con me. Rotolo su un fianco e lo stringo in un anaconda choke. Stringo un po' di più, quanto basta per convincerlo a battere lentamente contro il pavimento.

Una, due e poi tre volte.

Allento la presa, scivolando via e rialzandomi in piedi.

- Mai distrarsi -, gli ricordo ironica, - e adesso andiamo a cena. C'è una torta al cioccolato che mi aspetta. –

Eric si alza con un movimento fluido, allungando il passo per raggiungermi, e insieme c'incamminiamo lungo il corridoio.

- Non sei stata affatto male – mi dice dopo qualche secondo.

E, detto da lui, equivale all'elogio migliore a cui una persona possa mai aspirare. Gli assesto una piccola spallata giocosa: - Ho imparato dal migliore. –

Sembra una frase fatta, ma so che è la verità. Eric è il miglior lottatore del nostro corso e, sebbene abbia dei metodi d'insegnamento particolarmente rigidi e pesanti, devo ammettere che è riuscito a portarmi in pochissimo tempo a un livello che non avrei mai creduto di poter raggiungere.

- Quinn mi ha detto che domani sera ci sarà una festa per gli iniziati che hanno superato la prima fase del modulo –, dico ad un tratto, - ci andrai? –

Eric rallenta appena, osservandomi dall'alto in basso prima di domandare: - Tu ci vai? –

Annuisco.

Non ho avuto molte occasioni di festeggiare quando ero tra i Candidi. Nessuno dei miei compagni mi ha mai invitata alle loro feste, ma sono certa che quella di domani farebbe impallidire qualsiasi degli eventi organizzati dalle altre Fazioni.

- Allora suppongo di doverci andare anche io – dice alla fine.

Apre la porta della mensa e me la tiene aperta, invitandomi a precederlo. Individuiamo due posti liberi nel tavolo più vicino e, dopo aver attinto al poco cibo rimasto sul buffet, ci sistemiamo lì.

Eric scruta la mia espressione rabbuiata e inclina il capo, perplesso, domandando: - Cosa c'è che non va? –

- La torta al cioccolato. –

Sul buffet sono rimaste solo poche briciole a testimoniare la sua presenza. Come previsto abbiamo fatto troppo tardi e gli Intrepidi l'hanno spazzolata tutta.

Ridacchia davanti al mio broncio e si alza dalla panca.

Lo vedo dirigersi verso il retro della mensa, lì dove c'è il portavivande che collega la sala alla cucina, e parlottare fittamente con uno degli inservienti.

Quando torna al tavolo stringe tra le mani un piattino con una gigantesca fetta di torta. Non riesco a credere ai miei occhi e non ho la minima idea di come abbia fatto a convincere quelli della cucina a mettergliene da parte una fetta, ma il suo gesto mi colpisce nel profondo. Nel suo piccolo, è la cosa più carina che qualcuno abbia fatto per me da un bel po' di tempo.

Mi deposita il piattino davanti e increspa le labbra davanti alla mia espressione adorante.

- Ti avevo promesso della torta se mi avessi proiettato, no? –

- Già, ma come ... -

- Mantengo sempre le mie promesse – si limita a replicare, enigmatico, interrompendo a metà la mia domanda.

Prima che possa continuare a insistere, si rimette seduto e comincia la sua cena. Consapevole che non mi darà mai la risposta che voglio, decido di imitarlo, sorridendo mentre lo osservo di sottecchi.


Like fire and gunpowderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora