La dura realtà

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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
L'immagine di copertina è stata realizzata per questa storia da Misatona.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
Nessun copyright si intende violato.


- It takes a fool to remain sane -


CAPITOLO 17
La dura realtà



Limpido. Cristallino. Il nulla e il tutto acquisirono senso in una sola frazione di secondo. Quella scossa elettrica fu come un pugno in pieno stomaco, e Trunks non poté far altro che sussultare e allontanare la propria mano dalla bocca del suo amico.
Quello che era stato un semplice gesto per zittirlo si rivelò un vero e proprio scontro con la propria coscienza. O meglio: il primo appuntamento con un inconscio che mai aveva saputo di possedere.
Sentì le proprie dita bruciare come se le avesse appena sottratte a carboni ardenti, ma ancor di più percepì un fuoco nel petto difficile da non far riaffiorare. Da lì a qualche secondo sarebbe divenuto un mucchietto di cenere per autocombustione spontanea.
Inevitabile. Inevitabile l'immagine che gli si presentò davanti. L'immagine di uno sfioramento di nasi, di occhi neri così vicini, di labbra bramate come ossigeno.
L'aveva dimenticato. Forse non l'aveva mai ricordato, la sua mente aveva cancellato quel ricordo sapientemente per quattro fottuti anni, e ora gli stava presentato il conto più salato della sua vita. Non era un abbaglio, non era uno scherzo della percezione. Era un ricordo puro, autentico, potente come le sensazioni che quella reminiscenza aveva fatto riemergere.
Trunks strabuzzò gli occhi chiari velati dalle lacrime, incatenandoli a quelli dell'amico che, lentamente, fece scemare il sorriso poco sobrio che gli si era dipinto in volto.
Goten lo guardò di rimando con uno squarcio celato a livello del torace. Sperò con tutto il cuore che il turbamento negli occhi di Trunks fosse solo dovuto a quella maledettissima elettricità statica incontrollata, ma era inutile farsi illusioni. Per quale altro motivo – se non quello che avesse appena ricordato tutto – Trunks avrebbe potuto congelarsi in quel modo?
"Cazzo. Cazzo. Cazzo".
Ricordava. Era certo. Era sicuro che ricordasse, oramai era più che evidente. Trunks era una statua di sale. Lui sapeva. Era evidente, ed era altrettanto esplicito il turbamento nell'aura causato dal suo cuore che marciava a tempo di musica.
"E adesso?".
Il castello di carte che aveva sapientemente costruito era crollato, lasciandolo completamente scoperto, nudo. Non ci sarebbe voluto niente per Trunks fare due più due: sapeva che fosse gay, e ora ricordava che si erano quasi scambiati un bacio. Quanto ci sarebbe voluto prima che realizzasse che Goten provasse dei sentimenti per lui? A patto che già non lo avesse sospettato.
E allora che fare? Affrontare il discorso? Rivelarglielo? No, cazzo. Quella cosa avrebbe segnato la fine della loro amicizia. Definitivamente. Non poteva affatto permetterselo.
La soluzione migliore sarebbe stata una e una soltanto: far finta di niente. E togliersi da quella situazione di merda in fretta.
«T-Trunks, il custode se ne è andato. Torniamo alla festa!» balbettò Goten alzandosi di scatto per lasciarsi dietro il gelo.
Trunks deglutì il gigantesco sasso che si era incastrato nella sua gola e rabbrividì. Sì, ottima idea. Doveva andarsene di lì, immediatamente.
«Sì, s-sì lo stavo pensando anche io» si affrettò a rispondere, faticando a rimettersi in piedi. Percepì le gambe molli, le ginocchia tremare, le dita dei piedi insensibili e no, non era affatto a causa dell'alcool.
Si avviarono velocemente attraverso i condotti dell'aria in religioso silenzio, un silenzio così pesante da schiacciargli lo stomaco.
Trunks si sentì sprofondare così tanto da poter annegare nei suoi stessi pensieri, e quasi ci sperò. Mentre Goten, beh... beh lui si maledisse per non aver mai appreso in tanti anni la tecnica del teletrasporto.
Camminarono uno dietro l'altro come condannati al patibolo, raggiungendo in pochi minuti l'atrio principale che dava sui bagni e la palestra. La musica elettronica invase le loro orecchie ma non riuscì a penetrare a sufficienza le loro menti per ripulirle dall'imbarazzo.
Il corridoio era gremito di ragazzi e ragazze in festa intenti a chiacchierare, mentre alcune coppiette appartate negli angoli stavano dando libero sfoggio del loro amore mangiandosi la faccia a vicenda. Cosa che – per inciso – mise ancor più in imbarazzo i due saiyan.
Si diressero in tutta fretta verso l'uscita, quando una voce conosciuta li bloccò appena prima della soglia.
«Ehi! Ma dove diavolo eravate finiti? Vi ho cercati dappertutto!» li ammonì Mai, spazientita, mettendosi entrambe le mani sui fianchi e osservandoli con aria indagatrice.
Una gran fortuna che il mascherone di fondotinta bianco lattiginoso fosse un potente alleato contro il rossore.
Goten si morse il labbro, mentre Trunks percepì il volto bruciare talmente tanto che temette che il fondotinta gli colasse di colpo via dalla faccia. Entrambi, però, non risposero.
«Beh!? Avete perso la lingua?» incalzò la ragazza, stranita dal bizzarro comportamento dei due. «Anzi, non mi importa. Ce ne andiamo? Questa festa fa schifo! Farah e Steven sono già all'Hitoritabi, e anche tutta la compagnia di Theo. Li raggiungiamo?» domandò, speranzosa di ricongiungersi a quel ragazzo con il quale aveva parlato tutta la sera.
Goten abbassò il capo facendosi ricadere dei ciuffi sul volto, cercando nel proprio repertorio qualsiasi scusa accampata a caso per poter andare a casa ma, a grande sorpresa, Trunks lo anticipò.
«Mi è salito un gran mal di testa, a dire il vero. Vi spiace se vi lascio soli? Credo di aver bisogno di andare a letto» rispose tutto d'un fiato, e Goten si sentì morire.
Voleva solo scomparire dalla faccia della Terra e no, non aveva assolutamente voglia di andare all'Hitoritabi con Mai, ma quel bastardo lo aveva anticipato sul tempo e di certo non poteva lasciare che andasse da sola fin lì.
«Oh, peccato. Va beh, nessun problema! Allora andiamo, Goten?» propose Mai con tanto di spallucce, osservando il volto del suo amico contrarsi in un sorriso molto più simile a una smorfia.
Goten annuì lentamente - senza alcuna voglia - alla sua richiesta.
«Perfetto, divertitevi! C-ci vediamo lunedì a scuola! Ciao, ragazzi!» bofonchiò Trunks, lanciando un'ultima incognita occhiata a Goten prima di voltare le spalle e uscire dalla porta scansando le decorazioni a forma di ragnatela.
E Goten, ovviamente, si sentì gelare il sangue nelle vene. Ciò che più temeva si era avverato, proprio quella notte. Il suo peggiore incubo di quelle settimane.
Avevano appena mandato tutto a puttane.

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