Essere o non essere

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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
L'immagine di copertina è stata realizzata per questa storia da Misatona.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
Nessun copyright si intende violato.


- It takes a fool to remain sane -


CAPITOLO 4Essere o non essere



Dieci volte al giorno devi superare te stesso: ciò procura una buona stanchezza ed è papavero per l'anima.
Dieci volte devi riconciliarti con te stesso: perché superarsi è amarezza, e dorme male chi non si è riconciliato.
Dieci verità al giorno devi trovare; altrimenti cerchi la verità anche durante la notte e la tua anima è rimasta affamata.
Dieci volte al giorno devi ridere ed essere sereno: altrimenti di notte lo stomaco ti disturberà, questo padre dell'afflizione.

"Ridere ed essere sereno un cazzo".

Una testa di folti capelli neri si alzò dal libro di filosofia. Con un gesto svogliato e nervoso, Goten gettò la matita che stava usando per sottolineare le seghe mentali in forma scritta che tanto gli piacevano di quell'autore, socchiudendo gli occhi e massaggiandosi poi le palpebre.
Il vociare della mensa, quel giorno, gli sembrò quasi assordante. Avrebbe potuto benissimo alzare le natiche e dirigersi a studiare in biblioteca ma, dopo la notte insonne che aveva trascorso, necessitava in continuazione di un rabbocco di caffè.
Si guardò intorno seccato e, notando che un gruppetto di ragazze al tavolo di fianco stavano parlando sottovoce con lo sguardo puntato su di lui, arrossì impercettibilmente. Probabilmente la sua faccia da fantasma e le occhiaie rasentanti le caviglie erano molto più interessanti degli affari loro.
L'odore di frittura proveniente dal bancone self-service invase le sue narici provocandogli la nausea. Non era da lui, ma oramai da due giorni faticava a toccare cibo e, a causa di ciò, percepiva già i muscoli tirare di meno sotto la sua maglia rossa.
Dopo aver bevuto un sorso lungo e piacevole di caffè amaro - e aver lanciato un'ultima occhiata indecifrabile al gruppo di ragazze pettegole di fianco - egli riprese la matita in mano per tornare a studiare ma, come un uragano, un forte profumo di menta piperita lo travolse. Facendo scricchiolare la sedia in plastica di fronte, l'intruso si sedette senza chiedere alcun permesso. Lo riconobbe anche prima di guardarlo in volto: la sua aura gli aveva appena calpestato la faccia.
«Scusa il ritardo, Goten, avrei dovuto portartelo ieri ma non riuscivo più a trovarlo» disse Trunks.
Poggiò il penultimo modello di un palmare sul tavolo, facendolo poi scivolare più vicino a lui.
«Oh... ehm. Grazie, Trunks! Non so come sdebitarmi» ammise Goten, arrossendo. Non aveva mai avuto un telefono così costoso e così tecnologico in vita sua.
Trunks sbuffò e scacciò l'aria con la mano.
«Ma che sdebitarti! Era in un cassetto a prendere polvere!»
Goten si strinse nelle spalle e si morse la lingua. Non era mai stato invidioso di Trunks, nemmeno da piccolini. Non gli aveva mai dato modo di esserlo, in nessuna occasione aveva ostentato il suo essere abbiente in modo fastidioso o provocatorio e, anzi, aveva sempre utilizzato i fondi di famiglia per cercare di aiutarlo.
Eppure - odiava anche solo pensarlo - in quel momento gli risultò difficile non provare una sorta di rammarico, una sensazione amara proprio sulla punta della lingua. Insomma, lui era costretto a raccoglier rape per tirare a campare, mentre il suo amico poteva permettersi di lasciare in un cassetto un cellulare tanto costoso.
Ma che sciocchezza, del resto! L'azienda della sua famiglia era il prima distributrice di telefoni a livello mondiale, era logico che ne possedesse a bizzeffe.
«Friedrich Nietzsche... sul serio ti piace filosofia?» commentò Trunks incredulo, indicando il libro aperto sotto le mani affusolate dell'amico.
"Sì, sono così complessato".
«Così pare» rispose Goten con un sorrisetto tirato, perfettamente conscio di essere l'unico idiota che apprezzasse una materia così noiosa e, come l'aveva definita Galvin, tirapacchi.
«E ci capisci qualcosa? Ma sei un genio! Cioè, voglio dire... a volte faccio fatica a seguire una logica che non sia sequenziale, statistica, scientifica o matematica» ammise Trunks, sconsolato, ripensando ai drammatici risultati dell'anno precedente. La professoressa Furukawa l'aveva persino preso di mira durante le interrogazioni, un vero incubo!
«Sì. Forse più che geni bisogna essere veramente pazzi per poter comprendere 'sta roba» asserì Goten con completa sincerità, e Trunks rispose al suo sguardo con evidente turbamento.
Non avrebbe mai definito Goten pazzo. Singolare, forse, particolarmente sensibile e riflessivo, quello sì. Taciturno, soprattutto. A tratti gli ricordava persino suo padre Vegeta! Forse l'influenza che aveva esercitato il principe dei saiyan nei suoi confronti stava dando i suoi frutti. Così silenzioso, guardingo, così diverso dal bambino solare di un tempo. Diverso, sì! Diverso era esattamente il termine con cui avrebbe potuto definire quel nuovo Goten che forse non si era mai sforzato di conoscere.
In quegli anni Trunks aveva sempre vissuto talmente affezionato al ricordo di quel bimbetto un po' ingenuo, allegro e tanto di buon cuore che non si era nemmeno reso conto che fosse cambiato. Rideva e scherzava con lui, quando si incontravano combattevano insieme come quando erano dei bambini e come se il tempo non fosse mai passato, ma probabilmente era proprio quello l'errore da lui compiuto, il passaggio sottovalutato. Il tempo era passato eccome, veloce e frenetico. Quel Goten non era più il ragazzino paffuto di una volta. Quel Goten era un estraneo e, suo malgrado, aveva una fottuta paura di conoscerlo, di scoprirlo incompatibile con se stesso.
Si guardarono negli occhi di sfuggita, faticando a mantenere il contatto visivo. Era imbarazzo, quello? E da quando in qua si imbarazzavano a stare insieme? Da quando in qua faticavano a stare seduti allo stesso tavolo esaurendo gli argomenti dopo cinque minuti d'orologio?
No, accidenti. C'era qualcosa di troppo, troppo anormale in tutto quello, e Trunks avrebbe dovuto fare qualcosa per rimediare. Al diavolo la paura! Avrebbe dovuto riavvicinarsi al suo migliore amico in qualche modo, o almeno provarci. Deglutì e cercò il coraggio nei meandri della sua parte irrazionale: talvolta buttarsi verso l'ignoto è l'unico modo per affrontare le proprie ansie.
«Forse hai trovato il modo di sdebitarti» disse Trunks, frantumando il vetro di silenzio che si era erto tra i due mezzi-saiyan.
Goten arricciò il naso. In che senso, sdebitarsi? Gli aveva detto a malapena cinque minuti prima che non avrebbe dovuto far niente!
«Eh?»
«Ti andrebbe di darmi ripetizioni di filosofia?» sputò Trunks, tutto d'un fiato.
Goten si irrigidì.
"Ma sei scemo o cosa?".
Trunks stava chiedendo ripetizioni a lui? Lui che era un anno più piccolo? Forse non aveva capito bene.
«Ma sono al quarto anno! Il tuo programma è diverso!» gli fece notare, sollevando il libro di Nietzsche per sventolarglielo di fronte.
«Sì, ok, questo vale per gli autori. Parlo del pensiero filosofico, della sua logica» specificò Trunks, quasi con ovvietà.
"Mi correggo: quello pazzo sei tu, non io" pensò Goten, poi scosse il capo.
«Trunks, non credo di essere in grado».
«Potresti provarci, però! Al massimo, se non dovesse funzionare, ci rinchiuderemo nella Gravity Room a combattere e faremo finalmente contento mio padre» propose lui con un largo sorriso e, immediatamente, Goten vide quel turbolento bambino di dieci anni. Lo stesso entusiasmo, la stessa propensione per le stronzate - perché quella era evidentemente una stronzata bella e buona - e gli stessi occhi azzurro cielo brillanti ed euforici.
«Mmh» ponderò Goten, cercando una motivazione che fosse valida per rifiutarsi. Che aveva da perdere? Ore di studio per sé, forse, ma effettivamente non c'erano verifiche in vista. Era solo la seconda settimana, avrebbe recuperato lo studio arretrato di sabato. Sempre che suo padre non si fosse volatilizzato di nuovo.
«E dai, Goten, non farti pregare! Hai di meglio da fare dopo la scuola, oggi?» domandò Trunks.
"Controllare che quell'irresponsabile di mio padre abbia lavorato".
«Niente di entusiasmante, in effetti» sbuffò.
«Andata! Ci vediamo dopo, allora!»

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