1.20 - Pronti al Lancio

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Il settimo piano del Dipartimento si snodava in un lungo labirinto di stanze, immerse in un'atmosfera sterile e a tratti alienante. Ogni camera era stata progettata per una specifica funzione, ossia preparare i due automi per il loro imminente viaggio.

Dall'alto dei corridoi, la sala di controllo centrale dominava l'intero spazio su un piano sopraelevato. Vista da fuori, si presentava come un lungo specchio che avvolgeva il perimetro delle stanze. Al di là delle sue superfici riflettenti, i tecnici potevano monitorare ogni fase delle operazioni del tutto indisturbati.

Un addetto alla sicurezza seguiva gli automi nel loro percorso dal sistema di videosorveglianza. La sua voce limpida e autorevole risuonava attraverso il microfono, mentre ripeteva alcune raccomandazioni lasciate scritte dal Vertice.

«Punto primo: lo scopo della missione è di neutralizzare No. 5 e riportare indietro il suo corpo, vivo o morto che sia.»

Arrivati nella sala della manutenzione, gli specialisti presenti si misero subito all'opera. Dopo averli separati in due stanzini differenti, attaccarono sulla loro pelle una serie di elettrodi capaci di sondare all'interno dei loro corpi senza dover aprire nulla. Avviarono quindi un'analisi dettagliata per individuare eventuali guasti fisici o logici nei loro sistemi.

«Sono stati trovati problemi nel suo processore, per caso?» No. 89 approfittò di quella pausa per indagare sul conto di No. 2, ora che sapeva che lei era dall'altra parte della stanza. Riusciva a vedere la sua silhouette seduta sul bancone attraverso il vetro opaco del pannello che li separava. Sperava che le persone più vicine a Matthew potessero fornirgli qualche informazione in più sui comportamenti strani della sua compagna, considerando quanto gli umani fossero più chiacchieroni degli automi sulle questioni interne.

«A parte il solito difetto, si intende.»

«Quale difetto?» Strizzò le palpebre il tecnico davanti a una grossa lente di ingrandimento a realtà aumentata, concentrato a esaminare da vicino i danni e identificare i collegamenti da ripristinare. Si serviva di particolari strumenti di precisione, come pinzette microscopiche e saldatrici laser, per riattaccare tutti i collegamenti recisi al polso fratturato. Ogni movimento era calcolato al millesimo, poiché anche il più piccolo errore avrebbe potuto compromettere il funzionamento dei sofisticati circuiti della mano.

«Non era il chip della parola a essere danneggiato?»

L'umano sollevò la testa e spinse gli occhiali sul naso. «Ah, quel difetto...» Si alzò dallo sgabello e occupò di staccare con cura gli elettrodi dalla nuca di No. 89. «Non dovrei dirtelo, ma in realtà la tua amica non ha nulla che non va a livello hardware.» Gli passò la giacca della divisa per permettergli di rivestirsi. «Parla solo con chi le va a genio. A quanto pare, soltanto tu e il Vertice le state simpatici.»

«Perché continuate a dire che ha un guasto, se non è così?»

Si prese un momento di pausa, prima di fornire una risposta completa. Girò attorno al tavolo di lavoro al centro della sala. «Più si continua a raccontare una bugia, più quella diventerà la verità, prima o poi.» Sfilò i guanti in lattice e li gettò in un cestino lì vicino. «Il segreto del potere sta nel decidere cosa è vero o è falso, cosa è giusto o è sbagliato, in ogni forma di governo. Soprattutto, in quelli più democratici.»

«Ma perché nascondere al Consiglio una cosa del genere?» No. 89 mosse le dita della mano riparata per controllare che tutto fosse tornato a funzionare. Continuava lo stesso a tenerlo d'occhio, mentre gli poneva domande su domande. Il suo discorso aveva preso una piega piuttosto vaga e intricata. «Che differenza c'è tra il Dipartimento e i dissidenti, a questo punto?»

«Sembra quasi di ascoltare le lacrime di coccodrillo del ricciolino.» Sghignazzò di gusto il tecnico, occupato a riporre le strumentazioni di diagnostica nei vari armadietti del laboratorio. «Giocherebbe a scacchi con le pedine della dama, pur di non offendere i benpensanti che siedono al Consiglio. Pedine trasparenti e tutte uguali, naturalmente.»

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