Capitolo sei: Daryl Dixon

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Blair
Mi ritrovo in una spiaggia deserta, il mare calmo e limpido bagna il mio corpo mentre il cielo azzurro fa da cornice a questo paradiso terrestre.

"Blair?".

Una semplice parola ed ecco che tutto sparisce ed io spalanco gli occhi ritrovandomi al buio e distesa su un terribile materasso gonfiabile, sbuffo passandomi le mani sul viso.

"Sei sveglia?". Emetto un lamento prima di girarmi sul fianco destro e provare a mettere a fuoco la figura di Glenn distesa sull'altro materasso.

"Cosa succede?". Domando senza nascondere il fastidio che provo in questo momento.

"Mi dispiace averti svegliato, ho sognato che eravamo ad Atlanta ma questa volta non riuscivamo a scappare". Imbrattarsi di sangue e mettersi al collo le budella di una persona morta farebbe venire gli incubi a tutti.

Sposto i capelli dal viso e allungo la mano verso di lui incoraggiandolo a stringerla cosa che fa dopo un'attimo di esitazione.

"Sai, la prima notte in prigione è davvero difficile. Sei spaesata e non fai altro che pensare a ciò che ti ha portato lì dentro".

"Oh... Non immaginavo che tu-".

"Fossi stata in prigione? Bhe dieci anni. Il primo giorno la donna nel lettino sopra il mio mi diede la mano ed io mi addormentai. Hai rischiato di morire quindi è normale che ne risenti". Mormoro avvertendo il frastuono del temporale all'esterno.

Richiudo gli occhi e mi godo il rumore che provoca la pioggia abbattendosi sulla tenda, con il pollice accarezzo il dorso della mano di Glenn e nel frattempo spero di tornare in quel meraviglioso sogno.

Il mattino successivo arriva con fin troppa velocità, dall'esterno provengono le voci delle persone del gruppo.

Lascio andare uno sbadiglio e mentre mi stiracchio urto con la mano un bigliettino, lo prendo notando la firma di Glenn.

"Grazie, amica!".

Sorridendo mi metto seduta sul materassino, prendo una maglietta a maniche corte nera e dei pantaloni di tuta grigi.

Esco dalla tenda venendo colpita dall'aria fresca della mattina, sposto i capelli sulla spalla sinistra prendendo in considerazione l'idea di tagliarli visto che mi arrivano al di sotto del seno.

Ho sempre amato averli lunghi nonostante in prigione tutte mi ripetevano che una rissa avrebbero potuto usarli per avere la meglio su di me, agguantandoli e usandoli per strangolarmi.

Ad essere onesta non avevo dato retta ai deliri delle mie compagne di cella... Fino a quando qualcuno non l'ha fatto sul serio, solo per minacciarmi e così fui costretta a tagliarli ogni mese fino quando Christine e il mio avvocato mi annunciarono di aver ottenuto una riduzione di pena e quindi decisi di farli riallungare.

"Ciao!". Esclamano le bambine di ieri sera che anche questa volta scappano via in imbarazzo, devo chiedere a qualcuno chi sono queste piccolette inquietanti.

Con calma arrivo nella zona centrale del campo trovando la moglie di Ed intenta a stirare dei vestiti, mi fermo ad osservare i suoi tratti delicati, i capelli quasi rasati, il corpo esile e le labbra sottili piegate in una smorfia triste.

"Buongiorno". La saluto e subito i suoi occhi azzurri si puntano su di me, ricambia il mio sorriso avvertendomi di aver lavato e messo ad asciugare i miei vestiti.

"Allora grazie! Comunque mi chiamo Blair". Mi presento visto che ieri sera non ho avuto l'occasione di farlo poiché quel orribile cane di suo marito non le ha lasciato lo spazio neanche per respirare.

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