trentasette.

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Stringimi e poi resta con me

Lui lo sapeva? Che Luna lo paragonava ai libri, quelli belli intendo, quelli che raccontano il finale da favola, il per sempre, ma poi si era convinta che il per sempre poteva essere solo di lui e non suo. Ma poi ci aveva creduto e lo voleva davvero, ogni minuto della sua esistenza accanto a lei per vincerla questa vita, la vita vera quella fatta di pazzie. Era come essere sospesa su una parte instabile di un cornicione a tanti metri di altezza dove bastava solo correre da lui e cadere di sotto insieme. Ma quelle emozioni ora le capiva bene e quella confusione adesso le piaceva da matti. Lui la smuoveva come un uragano, e lei, proprio come un uragano era capace di distruggersi da sola e restare con un cumulo di polvere e macerie senza trovare scampo, e questo l'aveva portata fino ad ora a vivere in un perenne freddo inverno gelido che copriva il suo cuore. Poi aveva incontrato lui ed era diventato il suo sole.
In un remoto angolo della sua mente lei continuava a pensare che non le doveva sorridere così che non doveva essere così ingenuo perchè non se lo meritava quel sorriso eppure per qualche inspiegabile ragione lei non riusciva a lasciarlo andare. E più lui sorrideva e più dio ci poteva impazzire per quel sorriso. Se lui sorrideva in quel modo assurdo lei si sarebbe innamorata come una matta di lui, e quella notte sotto quel cielo nero come carbone liquido illuminato da una polvere di stelle che brillavano come se fossero state sotto incantesimo, Luna e Tyler avvolti in quel buio che ti attirava come una calamita erano legati con un filo invisibile ma potente i loro sguardi non facevano rumore ma erano una rivoluzione. Ma in fondo era proprio questo il punto, quel fuoco di farla amare davvero ce l'aveva solo lui, lo vedeva in tutti gli occhi del mondo, che si scontravano con lei, sentiva il suo profumo in ogni angolo di mondo tra centomila profumi, sentiva la sua risata tra centomila risate. Sotto il bagliore leggero della luna che si scontrava con quelle coperte leggere Luna riusciva solo a pensare che aveva aspettato troppo e nessuno di loro poteva sapere che cosa poteva regalargli il domani e forse il bello era proprio non saperlo ma poterlo vivere insieme. Lui le entrava dentro fino alle ossa, e le scorreva nelle vene al posto del sangue, con lui il cuore batteva senza sosta. Lui non era uno dei tanti, no, lui era il primo fra tanti. Scaraventiamo cose, persone, parole. Scaraventiamo noi stessi nella speranza di trovarci. Scaraventiamo il nostro cuore sopra i muri per guardare cosa c'è dentro, scaraventiamo i nostri occhi per aprirli alla bellezza, la bellezza di un bambino, la bellezza di un'emozione, la bellezza di una notte d'estate. Scaraventiamo sangue quando soffriamo, scaraventiamo orgoglio quando perdiamo. Scaraventiamo paura e urliamo contro il cielo per poter diventare coraggiosi e scaraventiamo anche l'amore per far in modo che quello venga fuori e ci travolga. È come un barattolo di colore rovesciato su una tela bianca, l'amore, l'unica cosa al mondo per cui combattiamo ogni giorno, l'unica cosa che riesce a farci respirare e di farci sentire persi, e sentirsi persi dentro qualcuno è bello, non sai come uscire, non sai come sei entrato ma non ti importa. Sai di essere li, intrappolato dentro dove il mondo smette di girare e le lancette dell'orologio smettono il loro ticchettio. Li proprio li nell'unico posto dove riusciamo ad essere deboli e invincibili. Li proprio li dove di notte, sul nostro letto, tra le braccia di chi ci ha rubato il cuore. Quando lo aveva visto per la prima volta aveva avuto una scossa. Lui le aveva detto ciao e lei aveva risposto dopo un pò e non sapeva che quando qualcuno arriva nella tua vita per sconvolgerla ti dice solo ciao. Quella scossa non era altro che consapevolezza che lui le avrebbe cambiato la vita e lei l'avrebbe cambiata a lui. Al primo ciao lei non lo poteva sapere che un pò l'avrebbe cambiata, che l'avrebbe resa più coraggiosa meno paranoica ma solo un pò più capita, mica lo sapeva che avrebbe tenuto dentro i suoi occhi sempre come stelle dentro un cielo e un pò coperte dalla nebbia. Al primo ciao detto sottovoce lei mica lo sapeva che il tempo da quel giorno non li avrebbe più sfiorati, che non avrebbero più sentito che passava anche se invece passava pure un sacco veloce, che anche il lunedì sarebbe diventato domenica e che sarebbe stata primavera sempre dentro a tutti i loro inverni ogni istante, mica lo sapeva che le avrebbe fatto luce dentro al buio, che i suoi fantasmi li avrebbe stretti a se più forti per farli sentire meno soli, e l'avrebbe lasciata lì ad aspettarlo ogni volta, ogni momento come se vivere iniziasse sempre dove finiva lui. Mica lo sapeva, al primo ciao un pò impacciato che tutto quello che sapeva da quell'istante non lo avrebbe più saputo, che avrebbe conosciuto insieme a lui la rabbia, il dolore e il rumore e la meraviglia di svegliarsi e sapere che avrebbe visto i suoi occhi e tutto il mondo avrebbe preso a girare nel verso giusto. Il primo ciao detto incerto non poteva sapere che l'amore esisteva e che all'improvviso le sarebbe caduto dagli occhi direttamente dai suoi sorrisi estremi, come un oceano tra i capelli. Quando lo aveva visto la prima volta era stato come ritrovare quella parte mancante di se che aveva perso forse quando aveva messo piede al mondo, e si domandava se lui si fosse mai sentito solo al mondo, diviso a metà come se gli mancasse qualcosa. Si ricordava di una volta che le era stato detto da un'anziana bibliotecaria che un bambino nascendo crede di essere nient'altro che un prolungamento di sua madre. Quando ce l'ha accanto si sente onnipotente e invece quando lei non c'è avverte come un vuoto dentro. E lei era sola e anche continuando a camminare si ritrovava ad inciampare ogni due per tre. Si diceva tutto bene intendeva tutto male e chi non sa dire quello che sente rimane chiuso per sempre dentro se stesso. Lui si era mai sentito solo al mondo? Come se avesse qualcosa di irrisolto, si era mai sentito incompleto? La prima volta che lo aveva incontrato erano finiti tutti e due li a quella festa quasi per gioco. La musica era debole quasi fatto apposta per permettere ai loro respiri di scontrarsi, le luci di alternavano e lei approfittava del momento in cui si coloravano di viola per guardare il suo volto nascosto da quel ciuffo troppo lungo di capelli scuri. E anche li sulla spiaggia con i capelli spettinati dal vento e la sabbia umida appiccicata addosso, aveva capito che non è poi così importante ciò che si dice se poi intanto i tuoi occhi stanno gridando altro. Poi usciti da quella bolla lo aveva perso, salutato, ma ricordava il mare che lui le aveva dato, perchè poi alla fine ogni cosa bella comincia sempre dal mare. Non credeva alla magia dei colpi di fulmine, credeva però alla voglia che un'istante dopo che lui era sparito nel buio, lo rivedeva ancora.
Poi lo aveva rivisto a casa di Dylan e avevano deciso di fare una passeggiata in centro ma non di tenersi per mano, eppure era successo. Aveva addosso un maglione nero di quelli che lei adorava e non riusciva a spiegarsi di come faceva a farla sentire così, ridendo un sacco. Così però lui aveva capito che lei sapeva mascherare le sue incertezze dietro ad un sorriso, eppure non lo sapevano ancora.
Si accontentavano entrambi delle piccole cose: lui del suo lavoro in giro per il mondo due volte si e una no, delle centomila delusioni incastrate tra le palpebre, dei baci senza senso che gli rimanevano addosso e che non ti scavano dentro. Lei dei suoi libri e tutte le foto di paesaggi mozzafiato che teneva attaccate accanto alla finestra, dei mille problemi senza soluzione che poi l'aveva ad un palmo dai suoi occhi. Avevano iniziato a farsi compagnia appartenendosi. Poi a quell'incontro ne erano susseguiti altri, troppi per non iniziare a sognarli quegli occhi. Lui però forse le avrebbe detto di andare piano e lei gli avrebbe risposto che se non corri non vivi davvero. Lei sapeva ridere come chi sapeva correre troppo, e sulle guance fossette come cicatrici profonde con la voglia di scavarci dentro. Quando lui l'aveva vista fragile e si era sentito completamente inutile, e si erano rivisti una due tre volte e tante altre ancora ed era solo l'inizio. O forse era solo un gioco mettersi in gioco. Potersi sfiorare, sussurrarsi all'orecchio di continuare ad accarezzargli i capelli tenendo gli occhi chiusi. Era solo un gioco l'idea nell'aria che c'era di salvarsi nel silenzio, ma poi un gioco fino a che punto? Se avesse potuto gli avrebbe regalato il silenzio così che lui poteva ascoltarla e sentire così i battiti del suo cuore che potevano dire più di mille parole. E a lui glielo aveva mai detto nessuno ti voglio regalare il silenzio? Lui sapeva sempre cosa dire e lei sapeva ascoltare che come sempre ascoltava troppo e parlava poco. Era certa che loro si fossero già conosciuti in un'altra vita, e in un'altra vita avevano concordato che si sarebbero rincontrati quella sera, con la stessa giacca di pelle nera addosso, nera come il cielo che si distendeva dietro di loro, come quello che a volte vedeva attorno a se. Forse erano agli antipodi forse fin troppo simili di quello che pensavano. Si erano riconosciuti subito, perchè quando giochi o vinci o perdi, e loro avevano vinto entrambi. Persino quando litigavano e lei cercava di scappare da lui sapendo lo stesso che lui l'avrebbe raggiunta in ogni caso. Per altre aveva provato quello che pensava fosse amore che lo faceva stare bene, e lei gli chiese con lei invece cosa fosse. Lui le aveva risposto sussurrando che con lei era diverso. Lei non era il tipo di persona da rimanere senza parole eppure lui ci riusciva sempre, lasciando che le parole che non riusciva a dire le si depositassero addosso prendendosi il loro tempo per essere assorbite e capirle a pieno. Non capiva però che diverso non era brutto ma speciale. Lui era ossigeno puro e quando ci entri in un vortice simile lo fai velocemente quasi senza pensarci, ti ci tuffi e basta. I loro respiri scontrati erano la melodia più dolce del mondo, ma erano diversi da tutti gli altri, erano come due auto in corsa, trovando le risposte a tutte le domande rimaste in sospeso in quei due anni, come se avessero appena risolto un cruciverba che fino a poco prima era senza una soluzione logica. Era come se stessero guidando un auto da corsa su una strada a sfondo chiuso più veloce del vento e più passionale di un peccato. Era come conoscere così bene qualcosa di cui in realtà non si sapeva nulla, come se l'ultimo petalo di una rosa rossa si fosse staccato e quello che non si vedeva o che appariva nascosto, si fosse rivelato in una certezza assoluta e meravigliosa. C'era un qualcosa tra di loro di così scontato come il sole che sorge ad oriente e così vecchia come il tempo ma che racchiudeva qualcosa di speciale per entrambi. La possibilità di aiutare quel filo che durante gli anni li aveva uniti e tenuti legati indissolubilmente anche contro la loro volontà. Loro erano come il mare in tempesta, lei era il suo oceano calmo durante quella tempesta. Era sua onda anomala, la più alta sopra tutte le altre onde dell'oceano.
Come l'amore era lui per lei.
Come l'amore era lei per lui.

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