Capitolo 3

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Dana's POV

È passata una settimana dal mio incidente ed io non ho ancora iniziato a cercare un lavoro.
Certo, prima dovrei far guarire la ferita alla fronte, ma intanto potrei iniziare con la mia ricerca.
Odio ammetterlo, ma i miei hanno ragione. Questa potevo risparmiarmela. Il concerto è stato bellissimo, certo, ma sarei potuta andare a vederlo la prossima estate, proprio a Portland.
"Io te lo dico sempre che sei troppo impulsiva, Dana" mi ripete sempre Mandy, la mia migliore amica.

Non dovevo andare a Seattle, vero, ma ormai il danno è fatto.

Esco dalla doccia e mi copro subito con l'accappatoio. Torno in camera mia e vedo Mandy limarsi le unghie.

«Questa mattina in biblioteca ho sentito due tizi parlare del bar.»
«Che bar?», chiedo, aprendo il cassetto della biancheria intima.
«L'unico bar che frequentano quelli del nostro college, Dana.»
«Ah, quel bar.»
«Sì. Ho sentito che stanno cercando personale, perché non ti proponi?»
«Potrei pensarci, grazie.», le sorrido e torno in bagno.

Mi cambio e poi rientro nuovamente nella camera per mettermi dei vestiti comodi. Indosso una tuta grigia e una canottiera nera.

«Stai bene?», chiede la testa color carota seduta sul letto di fronte a me.
«Sì, perché non dovrei?», sorrido infilandomi dei calzini bianchi.
«L'incidente, quel tipo... Sai com'è.»

No, non so com'è.

«Sto bene.», annuisco. «Dov'è il phon?»

Mandy indica un cumulo di vestiti vicino alla scrivania e mi alzo per scovare il phon in mezzo a quel caos di roba. Asciugo i capelli davanti allo specchio, mentre Mandy si cambia il pigiama con dei jeans neri e una maglietta corta bianca.

«Che ore sono?», chiedo pettinando i capelli.
«Mancano dieci alle nove.»
«Okay, andiamo?»
«Sì.»

Ci infiliamo entrambe un paio di Nike Air Force bianche e poi prendiamo l'occorrente per la lezione di filosofia di oggi.

*
«Quanto parla!», sbraita Mandy appena uscite dall'aula. «Hai visto la sua barba grigia? Quanto si muoveva!»
Rido. «Hai ascoltato qualcosa?»
«Ero troppo presa a guardare Cody in seconda fila. L'hai visto? Che carino. Con la permanente è ancora più bello. Tu invece hai preso qualche appunto?»
«Ci ho provato, ma è stato tutto inutile. Ho scritto qualche frase qua e là a caso, ma poi ho iniziato a giocare a tria da sola. Pensa un po', ho vinto!»
«Insomma, mi stai dicendo che dovremo chiedere di nuovo gli appunti a Margot?»
«Sì, ti sto dicendo proprio questo.»
«Ottimo. Penso che Margot entro la fine dell'anno inizierà ad odiarci.»
«Capita.», faccio spallucce.

Camminiamo spalla contro spalla per tutto il campus, fino a quando Mandy non rivede Cody.

«Guarda chi c'è!», strilla sottovoce.
«Leonardo Di Caprio?»
«Dove?», si guarda intorno.
Roteo gli occhi al cielo. «Oh wow, c'è Cody! Vai a salutarlo.»
«Così a caso? Senza un pretesto?»
«Ah ah.», annuisco dandole una leggera spinta in avanti.
«Magari faccio cadere i libri, no?»
«No.»
«Come no?»
«Vai lì e basta. Sei stressante.»
«E tu una rompicazzi. Ho capito, adesso vado. Augurami buona fortuna.»
«In bocca al culo. Oh, ehm, no. Lupo.»

Mandy ride e poi si sistema i capelli. Mi fa segno di aspettarla qui dove sono e io decido di sedermi sui gradini  della scala principale.
La guardo avvicinarsi a Cody e lui le sorride subito. Sorrido anche io e poi tiro fuori il telefono dalla tasca della mia tuta.

«Sei un angelo caduto dal cielo?», dice una voce profonda sopra di me.

Alzo lo sguardo verso l'inizio della scala e vedo un ragazzo in piedi davanti a me con le mani nelle tasche dei jeans scuri. Stringo gli occhi per vederlo meglio, perché il sole mi sta accecando.

«Come, scusa?»
«Con una ferita del genere, devi essere per forza caduta da un'altezza piuttosto elevata.», dice scendendo gli scalini e io riesco a riconoscere il suo viso.
«Niente Paradiso. Uno stupido mi ha fatto sbattere contro un albero, distruggendo l'auto di mio padre e i miei prossimi vent'anni di vita.»

Si siede sul gradino sopra a quello su cui sono seduta io. Io lo guardo, lui mi guarda. Ed è strano guardarci alla luce del giorno. Ha gli occhi verdi.
Mi porge la mano.

«Piacere, lo stupido che ti ha rovinato la vita.»

Nascondo un piccolo sorriso e gli stringo la mano.

«Piacere, l'angelo caduto su un albero.»

Sorride e separa il contatto tra le nostre mani. Si mette a guardare il giardino del campus di fronte a noi ed io mi sento in imbarazzo. Ha i capelli castani, ma questo l'avevo già notato quella notte. Nonostante fossi sotto shock, c'era un lampione lì vicino che mi permetteva di vedere chiaramente le cose intorno a me.
Ma con la luce del sole posso intravedere dei ciuffi color caramello, in mezzo a questa chioma di riccioli.

«Posso esserti d'aiuto?», chiedo dopo qualche secondo di silenzio.
«No.»
«Okay.»

Aspetto che si alzi per andarsene, ma così non fa. E mi chiedo il motivo.

«Perché rimani qui?»
«Mi piace guardare il panorama.»
«Per panorama intendi il culo di Becky o la scollatura di Jill?»
«Perché non entrambe le opzioni?»

Roteo gli occhi al cielo.

«Non sapevo fossi in questo college.»
«Nemmeno io ti avevo mai visto qui in giro.», ammetto.
«Il che è strano, perché una come te la noterei tranquillamente in mezzo a mille ragazze.»
Alzo un sopracciglio. «Senti, è già un bene che io ti stia parlando dopo la battuta dell'angelo caduto dal cielo, sul serio vuoi continuare a conversare con me tramite frasi fatte? Ti risparmio la fatica, puoi anche smetterla.»
«Sei il tipico barboncino che si atteggia come se fosse un pitbull.»
«Tu invece sei il tipico morto di f-»
«Ehi, ma per chi mi hai preso?», mi interrompe.
«Hai capito benissimo.»

Ridacchia un po' e poi si passa una mano tra i capelli scuri. Si volta un altro attimo a guardare le ragazze davanti a noi e poi torna a guardare me. Che bel naso all'insù.

«Ci si vede angioletto. Per tua sfortuna devo scappare.»
«Oh no, come farò?»
«Se senti la mia mancanza prova a simulare un altro incidente, magari sarò lì di nuovo a salvarti.», si alza.
«Preferirei non stare più sulla stessa strada su cui ci sei tu, sai? Sei un pericolo.»
«Non lo sarò per qualche mese, se questo può rincuorarti. Mi hanno tolto la patente.»
«Il minimo.»
«Ehi, ragazzina, sbaglio o ti ho aiutata? Vedi di chiudere il becco.»
«A me non dici di chiudere proprio niente, chiaro?», mi alzo anche io e salgo sul suo stesso gradino.

Noto con molto dispiacere di arrivargli al colletto della maglietta.

Lui ride. «Ma tu per salire in auto ti porti dietro la scala?»
«E tu per guidare... Ti-ti bendi gli occhi?»

Ti bendi gli occhi?
Ma che cazzo sto dicendo.

«Uno a zero per me, Dana. Ritenta, sarai più fortunata.», sorride e scende i due gradini restanti per poi camminare verso chissà dove.
«Ehi tu!», lo chiamo. «Non mi hai detto il tuo nome.»
«Ti interessa saperlo?»
«Devo conoscere i miei nemici.»
«Lo siamo?»
«Mi hai sbattuta contro un albero, credo proprio di sì.»
Sorride ancora, e non so se ho caldo per via del sole o per altri motivi.
«Hunter.»
«Hunter.», ripeto sottovoce.
«Abituati, lo pronuncerai più di quanto ti immagini.»
«Perché?»
«Potrei ronzarti attorno, se solo mi andasse di farlo.»
«E perchè?»
«Quante domande. Ciao angioletto.»

Mi volta le spalle ed io rimango a fissare la sua schiena, gridandole contro di non chiamarmi angioletto.
Perché odio i nomignoli.

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Buongiornoo, come state?
Io sono in videolezione di filosofia e sto morendo di sonno.
Ecco i primi battibecchi tra Hunter e Dana 🥰
Che ne pensate? Vi sta piacendo la storia? Ditemi! E la quarantena come procede? Tra poco finisce... Si spera! Vi auguro una buona giornata ❤️

-Alessia

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