CAPITOLO 9: I FIGLI DELLA LUNA

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Aaron

Quando mi svegliai la luce del sole batteva fioca contro i vetri, le tende non del tutto tirate ne lasciavano entrare una sottile fetta che dava fastidio alla vista. Dovetti battere più volte le palpebre per abituarmi a quell'improvvisa illuminazione prima di accorgermi che non ero solo nella stanza, Nives, seduta su una sedia al bordo del mio letto, stava mezza distesa in avanti col capo reclinato di lato sul materasso, le braccia alzate a reggere la testa e i capelli scuri che le scendevano disordinati dal limitare di esso. Stava dormendo. Mi presi qualche istante per osservare l'espressione distesa del suo volto data da un sonno tranquillo, la carnagione chiara pareva quasi riflettere la luce del sole, in netto contrasto invece con quella chioma dal tono così simile a quel nero tenebra assunto dalle mie sembianze animali. Al pensiero del mio lupo una fitta mi prese all'altezza della pancia, le bende strette attorno all'addome sfregavano la pelle nel punto in cui esse terminavano creando una sensazione non troppo piacevole. Mi mossi un po' tra le lenzuola per cercare di assumere una posizione che desse meno fastidio, a quel movimento però Nives alzò piano la testa.

«Scusa, non volevo svegliarti»

Mi guardò con gli occhi ancora annebbiati dal sonno come se non capisse bene perché si trovasse lì, poi nel giro di un battito di ciglia parve riprendersi «Non fa niente» biascicò in un mezzo sbadiglio «come ti senti?»

«Beh» cominciai non sapendo come proseguire «un pochino meglio forse.» Effettivamente al di là delle bende il pulsare della ferita sembrava essersi attenuato.

«Bene» esclamò lei con un cenno del capo. Dopo quel breve scambio tra noi calò il silenzio interrotto solo dal ticchettio ritmico delle lancette dell'orologio appeso alla parete.

«Non mi aspettavo di trovarti qui al mio risveglio» dissi per riprendere il discorso.

Alla mia considerazione le sue guance arrossirono di colpo e piegò il viso di lato per nasconderle alla mia vista, la sua reazione mi parve così buffa che senza nemmeno preoccuparmi del bruciore sentito solo poco prima scoppiai a ridere di gusto, naturalmente questo non giovò affatto alla mia salute e in breve fui costretto a dare un freno alla mia ilarità, una mano premuta sulla pancia per cercare di diminuire le fitte di dolore. Cercai con l'altro braccio di appoggiarmi alla testiera del letto anche se ad ogni movimento partiva un'altra stilettata. Nives si alzò prontamente dalla sedia e venne a darmi una mano nell'impresa piegandosi su di me per cercare di mettermi dritto, con quel gesto i capelli di lei mi sfiorarono il volto, la punta del mio naso si trovò improvvisamente ad un soffio dalla sua guancia e i sensi mi furono invasi dal suo odore. Chiusi gli occhi e senza pensare allungai il collo e poggiai le labbra sulla guancia di lei, il suo sapore mi pervase e mi sentii tremare. Portai una mano sulla sua guancia, la pelle era più soffice di quanto mi ricordassi, feci scorrere piano le dita su di essa, sull'incurvatura che dal mento scendeva giù lungo il collo, poggiai l'indice sulle labbra. Il suo respiro si era fermato.

«Nives» sussurrai il suo nome con le labbra ancora su di lei, una voce che neanche riconoscevo. La sentii tremare sotto le mie dita e fare l'errore di girare la testa nella mia direzione. Catturai immediatamente le sue labbra con le mie mentre immergevo entrambe le mani nei suoi soffici capelli per tenerle il volto ancora più premuto contro il mio. Nives mosse le labbra contro le mie e rimanemmo così, l'uno contro il fiato caldo dell'altro, per un tempo che mi parve eterno e paradossalmente solo un'effimero soffio di vento.

Lei si staccò da me senza una parola e rimase a guardarmi immobile da quella breve distanza, non avrei saputo dire cosa stesse pensando né cosa stesse vedendo in quel momento in me, forse l'animo animale celato sotto le spoglie umane, in quell'attimo la porta si aprì facendo entrare il medico nella stanza e Nives, senza lasciar trapelare nulla dalla sua espressione, fece come per finire di sistemarmi le coperte.

Le parole dei due mi sfuggivano, confondendosi nell'ambiente come un lontano ronzio, le finestre ancora chiuse a tenerci isolati dal rumore esterno. Ben andò ad aprirle per permettere il ricircolo d'aria, entrarono quindi le voci squillanti di una giornata che era appena cominciata e con loro tornò anche la mia lucidità. Scossi la testa e mi misi una mano fra i capelli scuotendoli per svegliarmi un po' da quell'intorpidimento «Potrei un po' d'acqua?» chiesi con voce roca interrompendo i due.

Mi guardarono con volti sorpresi e Ben mandò Nives a riempirmi un bicchiere mentre lui cominciava ad adoperarsi per cambiarmi le bende. La ragazza tornò poco dopo con un bel bicchiere d'acqua fresca che scolai in un solo colpo, si scusò ed uscì dalla stanza ma prima di andarsene mi lanciò uno sguardo che non fui capace di decifrare.

-*-*-

Nel giro di qualche giorno mi rimisi in sesto, le ferite si rimarginarono velocemente grazie soprattutto alla nostra natura di lupo che ci permetteva una guarigione sorprendentemente rapida, potei quindi togliermi le bende e fui con ciò subito sommerso dai compiti del branco. Non ebbi nemmeno quasi più modo di vedere Nives, non sapevo come se la stesse passando né che cosa le fosse passato per la testa dopo il nostro ultimo incontro e questo in qualche modo mi turbava, per fortuna però lo scorrere frenetico delle mie giornate mi impediva di soffermarmi troppo su pensieri inutili. La sera poi tornavo a casa esausto e mi stendevo direttamente sul letto, mi bastava chiudere gli occhi perché un velo scuro si stendesse su di me e sprofondassi in un sonno senza sogni.

Un giorno come un altro James venne a cercarmi, la faccia tirata e i modi bruschi con cui si precipitò da me mi fece immediatamente capire che il suo messaggio non presagiva niente di buono. Qualcuno era entrato nei territori del branco. Questione di normale routine se non fosse che aveva lasciato delle chiazze di sangue dietro di sé e un odore che non si era mai sentito prima.

Andammo a vedere. Nella nostra forma di lupo ci era più facile seguire le piste e riconoscere gli odori eppure nemmeno in questo modo riuscimmo a distinguerne l'origine. Non apparteneva ad uno di noi, non era nemmeno di un essere umano né di nessun altro animale che avessi mai avuto modo di sentire prima d'ora o forse era tutto questo messo assieme. Sapeva di morte, qualcosa era morto lì e mentre correvo seguendone le tracce dentro di me si faceva sempre più largo un senso d'urgenza, ma c'era dell'altro e la morte era solo la vittima dell'intera faccenda. Trovai, man mano che proseguivo, diversi cadaveri di animali, pupille dilatate, la bocca divaricata in un verso straziato a cui non avrebbero più potuto dare voce, il corpo contorno in una fuga senza fine, qualcuno stava cacciando nelle nostre terre e la vista dell'orrore che si stava lasciando dietro mi riempiva le vene di rabbia e mi faceva accelerare la corsa.

Trovammo un albero, una strisciata di sangue fresco vi stava impressa sopra, io e il mio amico ci guardammo riprendendo un attimo fiato, quello non apparteneva ad un animale anche se non ero nemmeno del tutto sicuro si trattasse di un uomo. Non era l'odore del cacciatore, questo apparteneva ad un ulteriore individuo e dal colore del sangue ancora vivo era passato di lì da poco. Riprendemmo il cammino, corremmo per almeno un altro paio d'ore senza però trovare traccia alcuna di chi poteva aver lasciato quell'impronta dipinta di rosso, verso sera, con la brezza fresca portata dall'avanzare incessante del sole oltre la linea dell'orizzonte, già di per sé mezzo nascosto dalle fronde degli alberi, l'odore stava pian piano scomparendo e così tornammo a casa senza aver scoperto nulla, ma con la netta sensazione che qualcosa stava per accadere, qualcosa che non ci sarebbe piaciuto, o che forse stava già accadendo.

Quella sera mi misi a letto e sognai oggetti carichi di morte.

Luna di AlabastroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora