CAPITOLO 32 - LA BUSTA ROSA

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Bella

Ero appena rientrata a casa e ancora pensavo alla sgradevole sorpresa che avevo avuto da John a pranzo. La mia mente non riusciva a liberarsi da quel pensiero. Sapevo che la sera sarei uscita con Noa, ma anche quell'idea non mi creava conforto.

Ero sempre stata una romantica, guardavo da sola film d'amore strappalacrime e piangevo. Li guardavo senza John perché sapevo che a lui non sarebbero piaciuti.

Dopo aver messo a letto Asia, soprattutto nei mesi invernali, in quelle sere in cui John lavorava ancora dopo cena, mi mettevo sul divano con una tisana calda e una coperta avvolgente a guardare film d'amore.

Le lacrime mi sgorgavano sul viso. Era un pianto liberatorio, ma perlopiù emozionato, delle emozioni dell'amore che non provavo con John.

Mi immedesimavo in quelle storie, dove l'amore era così puro, autentico, intenso e appassionato.

Mentre ora sentivo solo un nodo alla gola a ripercorrere quella conversazione. L'unica cosa che aveva saputo dirmi nella nostra breve chiacchierata era di aver affidato a una agenzia immobiliare la vendita della mia casa e farmela passare come una bella notizia.

Con il trascorrere delle ore la mia rabbia si era trasformata in stupore e poi in sconforto. Oltre a non sentire il suo amore, ora mi sentivo affranta, delusa e amareggiata dal suo comportamento.

Ero salita in camera e mi ero sdraiata sul letto, ancora pensierosa. Finché il mio sguardo cadde sul baule. Avevo inserito velocemente dentro le lettere di zia Margherita e non mi ero accorta che lo spessore della corrispondenza, in quella disposizione, non faceva ben chiudere il baule. Lo riaprì lentamente e ritrovai le lettere così come le avevo riposte.

Iniziai a sistemarle verticalmente di modo che i bordi combaciassero e si creasse una pila ordinata, che avrei legato con un elastico, quando notai una busta rosa.

Era da parte della zia. Come mai era ancora qui? Nel mittente c'era Margherita e un indirizzo di New York e nel destinatario Zorba con il suo solito indirizzo in Grecia, una casella postale di Atene.

La busta non era affrancata, probabilmente non era stata mai spedita. Incuriosita la aprì. Anche la carta da lettera era rosa.

Era uno scritto breve, ma pieno di significato, diceva: "Zorba amore mio è nata, è una bambina. L'ho chiamata Iris. È anche un nome greco, oltre ad essere il nome di un fiore stupendo e coloratissimo. È bellissima. Spero riuscirai a vederla quanto prima. Ritornerò presto in Sicilia insieme a Rosaria. Diremo che lei è la madre, sai come vanno lì le cose. Una forestiera con una figlia sarà ben accolta, mentre se fosse figlia di una donna madre compasana, con un padre sconosciuto, sarebbe rifiutata da tutti e dalla mia stessa famiglia. Vivremo tutte assieme nella mia casa."

La lettera mi era caduta di mano. Iris era mia cugina. Avevo gli occhi lucidi, pensavo a mia zia a quanto era stata dura la sua vita, a tutto quello che aveva dovuto nascondere per amore della figlia. D'un tratto mi venne in mente della casa. Se Iris era figlia di mia zia, la casa non era mia, ma sua.

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