i tuoi.

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aprile 2014


Quando eravamo saliti a Milano c’eravamo divertiti tantissimo. Eravamo andati insieme a quelli del gruppo, c'erano anche Francesco e Peppe ed avevamo conosciuto Gionata.

Sembravate andar d’accordo su tutto ed eravate uniti da una passione comune. Lui inoltre era molto simpatico e mi sembrava un ragazzo apposto, era gentile ed umile.

Durante quella settimana ci divertimmo da pazzi e dormimmo persino insieme, per la prima volta.

Ti ricordi?

Stavamo in hotel, mi avevi stretta e mi avevi detto che tra qualche anno non sarebbe cambiato nulla. Saremmo rimasti uniti. Mi dicesti che da lì a qualche anno avremmo vissuto a Milano tutti insieme, io con te. È un peccato che non sia successo davvero, ci credevo nei piani che facevi e mi sarebbe piaciuto restare al tuo fianco.

Stare in studio con te era stato bellissimo, mi avevi fatta entrare nel tuo piccolo e fragile mondo. Insieme a Francesco, mi avevi spiegato tutti i dettagli e le procedure dietro ad ogni canzone che veniva prodotta e poi, successivamente, pubblicata.

Mi avevi detto che era ciò a cui tenevi di più e che avresti puntato tutto sulla musica perché credevi in te stesso e perché sentivi che era la tua strada.

Ora ce l’hai fatta, era sul serio la tua strada.

Ti ricordi il giorno dopo essere tornati?

“Come mai sei già qui?” ti chiesi, visto che di solito ero la prima ad arrivare.

Quel giorno tutto sembrava strano, avevamo degli orari precisi e tu eri d’anticipo di ben un quarto d’ora. Avevi uno strano sguardo spento e sembravi appesantito dai soliti pensieri.

“Ho litigato con i miei.” mormorasti, per poi chiudere la canna e guardarmi. “Di brutto.”

Il rapporto con i tuoi non era dei migliori. Vi volevate bene, sì, ma tu li avevi sempre fatti dannare ed impazzire in tutti i modi. Eri di sicuro un ragazzo complicato, con tutte le tue insicurezze e fragilità, che manifestavi andando fuori dalle regole, sballandoti il sabato sera e passando giusto la notte a casa.

“Cos’è successo?” domandai, sedendomi al tuo fianco, per poi accarezzarti la schiena.

“Mamma ha scoperto che fumo l’erba e m’ha riempito di ceffoni, era delusa e contrariata.” dicesti, per poi accennare un sorriso e passarmi lo spinello, che accesi con il mio immancabile accendino rosso fuoco. “Le ho detto che continuerò a farlo, sembra essersi rassegnata, almeno al momento.”

“Lù, ti vogliono comunque bene. Non sarà una canna a fargli cambiare idea su di te, dai. Sono arrabbiati e amareggiati perché vogliono il tuo bene.” mormorai, avvicinandomi a te. “È normale che siano un po’ delusi, ma lo accetteranno. D’altro canto non è poi così grave, no?”

“Infatti non lo è. Non possono farmi una storia del genere per una canna.” sbuffasti, per poi appoggiare la testa sulla mia spalla. “Poi mamma ha detto che devo mettere la testa apposto, mi farà iniziare di nuovo scuola o mi iscrive alla privata. Vuole che mi diplomi.”

“Non sarebbe meglio andare alla privata? Non bocciano mai nessuno, potresti prendere subito il diploma, staresti senza problemi e studieresti poco. Prendi 'sto diploma e basta.”

“Non mi va di tornare sui libri.” dicesti, per poi scrollare le spalle. “Sto bene senza.”

“Luca…”

“Lo so.”

“Dai, almeno ti levi il pensiero!” dissi, per poi passare una mano sul tuo volto. “È importante avere un piano B, e poi in questo modo avresti un diploma. Non è una cosa da nulla. Vale poco, ma vale.” mormorai, per poi sporgermi verso di te e guardarti negli occhi. “Ti prego Lù, prendi il diploma una volta per tutte.”

Non riuscivo a vederti mollare. Non era da te. Giurai che in un modo o nell’altro ti avrei obbligato a prendere il diploma. Per me era impensabile che tu abbandonassi una cosa così importante e che lasciassi perdere. Che la scuola non fosse il tuo posto era risaputo, ma non potevi affidarti solamente alla musica.

“Ti prego, dai!”

“Sì, ci vado.” esclamasti, per poi lasciarmi un bacio sulla guancia ed accennare un sorriso. “Solo perché me lo chiedi tu.”

“Bravo.”

“Il problema sono solo i soldi, però.” mormorasti, con lo sguardo basso.

Un altro tarlo che ti tormentava sempre erano i soldi, ma non potevo biasimarti. Nel nostro quartiere nessuno aveva chissà che possibilità economiche, ma per fortuna le nostre famiglie non soffrivano la fame. Certo era che nessuno dei due poteva permettersi una scuola privata, ma sapevo che in qualche modo saresti riuscito a farcela. Trovavi sempre una via di fuga, una maniera per uscire dai guai.

Nonostante tutte le fragilità, ai miei occhi eri forte ed invincibile.

“Troverete un modo, ne sono sicura.” dissi, cercando di tranquillizzarti come potevo. “Tanto hai detto che vuoi fare i contest per darle una mano, no?”

“Sì, certo. In un modo o nell’altro ce la faremo.”

“Per qualsiasi cosa posso darti…”

“Ma figurati.” esclamasti, per poi darmi una gomitata ed accennare un sorriso. “Spero solo di farcela.”

“Ce la farai, come sempre.”

“Solo che ho sempre la continua paura di deluderli, di non essere abbastanza per loro.” sussurrasti, prendendomi per mano, come se cercassi la forza di parlare di ciò che provavi e pensavi. “Credo che non mi sopportino.”

“Sono i tuoi genitori, ti vogliono bene nonostante tutto.” ti dissi, cercando di farti stare tranquillo.

“Solo che tra la scuola, tutte le cazzate che faccio, sto sempre in giro e ‘sta cosa della musica… credo di averli delusi. Si spettavano di più, e non posso dargli torto. Chi vorrebbe un figlio come me?” esclamasti, con le lacrime agli occhi. “Poverini, li sto facendo uscire matti.”

Eri sempre stato insicuro e paranoico, soprattutto quando si trattava dei tuoi genitori. Avevi la costante paura di non essere all’altezza di ciò che si spettavano da te. Tua sorella era sempre stata la studiosa della famiglia ed i tuoi erano fieri di lei.

Volevi davvero piacere e speravi che fossero fieri di te. Magari in quel periodo non lo erano poi così tanto, d’altro canto eri sregolato e ribelle. Ma nonostante tutto ti amavano da morire ed erano fieri del ragazzo forte che eri.

Chissà se anche ora lo sono. Se fossi qui te lo chiederei.

“Non è vero Lù, non sei un figlio cattivo.” dissi, per poi abbracciarti con forza, mentre scoppiavi a piangere tra le mie braccia.

Non te l’ho mai detto, ma mi si spezzava il cuore a vederti così fragile e in difficoltà.

Tu ti ricordi di quella sera?

Lo spavaldo Luca che faceva sempre lo stronzo pianse tra le mie braccia, per la prima, ma non per l’ultima volta.

“Nessuna famiglia è perfetta, poi sanno che hai un cuore d’oro e che tieni a loro. Sei diverso dagli altri, e con questo? Vai bene così!”

“Invece no…”

“Dai, smettila di essere così paranoico. Le persone ti vogliono bene, hai tanta gente che tiene a te. Non svalutarti, mai!” esclamai, mentre ti accarezzavo la schiena.

Spero che tu non l’abbia fatto.

Ricordi? | Capo PlazaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora