4. Barboni di gran lusso

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La guerra tra forze dell'ordine e ciclisti è roba antica, primordiale, fin da quando nel 1893 Tessie Reynolds, sedici anni, era saltata su una bici da uomo e si era fatta in otto ore tutta la strada da Brighton a Londra con indosso un bel paio di pantaloni a campana fissati al ginocchio. Apriti cielo: ad aspettarla c'era la Polizia. E credo anche che sia ancora lì ad aspettare perché, subito dopo quella ragazzina, si misero a pedalare altre centinaia di Tessie che come lei non ne potevano più di corsetti, gonne, sottogonne e collari vari.

L'avevo cercata su Internet dopo che avevo visto la sua foto in bianco e nero sopra al volantino che papà aveva portato a casa con la maglietta delle femministe. Aveva il cappellino, un'aria da non rompetemi troppo i coglioni e sotto c'era la frase di non so più chi che diceva che aveva fatto più la bicicletta per la liberazione delle donne, di tutti gli altri movimenti messi insieme. Non so se fosse vero, ma a me Tessie aveva acceso comunque una lampadina, anzi, aveva acceso quella lampadina. Se c'era riuscita lei a sedici anni e in quelle circostanze, perché non potevo farlo io cento e ventisette anni dopo con una bici immensamente migliore della sua? Lei aveva pedalato sopra a una di quelle che chiamavano scuotiossa, per quanto fossero più simili a un ferro da stiro che a una moderna bici, e non certo su strade asfaltate come avrei fatto io per buona parte del percorso.

Insomma, se aveva liberato lei, una bicicletta poteva liberare anche me.

E quindi mi parve particolarmente crudele che a fermarsi quel pomeriggio fosse proprio una donna, una poliziotta. 

Mi gettai a terra prima che avesse finito la manovra e guardai con orrore la carrozzeria bianca con le strisce gialle e blu mentre si accostava lentamente alla mia bici, le lettere sulla portiera ben visibili, POLICE, come quelle del gruppo con cui Sting aveva tormentato la generazione di mio padre.

Gordon Matthew Thomas, pensai, dato che era quello il suo vero nome. Doveva fare il maestro di scuola, e poi invece, all'ultimo momento, aveva imbroccato il contratto giusto. E così noi ci eravamo dovuti tutti sciroppare Roxanne, avrebbe aggiunto il nonno.

Cercai di guardare meglio la poliziotta attraverso i rami. Aveva i capelli rossi, raccolti a coda e stava parlando con qualcuno. Dato che ormai c'ero, la battezzai Roxanne.

Quando spense il motore, e aprì la portiera, sentii che aveva una bella voce, come quella di Alicia Vikander in Lara Croft. E così la ribattezzai anche Lara.

- Non ne ho idea di chi l'abbia lasciata qui, Tom - disse, e mi sembrò già piuttosto spazientita. - È per questo che mi sono fermata, no?


Notai che la macchina aveva il parafango davanti ammaccato di brutto, proprio sopra ai lampeggianti, come se fosse appena uscita da un inseguimento. O l'avesse parcheggiata male da Costa, quando lei era andata a prendersi un caffè alle macchinette automatiche.

Era piuttosto alta, piuttosto muscolosa, piuttosto bella. O forse era la divisa nera, con tutte quelle tasche, a farmela sembrare così.

Restai immobile, cercando di fiatare il meno possibile e pregai che il giaccone di Deliveroo di Joe potesse in qualche modo mimetizzarsi tra i mille verdi del bosco intorno a me.

- Sembra abbastanza nuova, sì - disse Lara Roxanne. - È una mountain bike, celeste.


E no, cazzo, pensai allora, deluso. Non è celeste, non vedi? È azzurra. Anche il più scarso dei raider ti potrebbe spiegare che se vuoi farti un telaio celeste devi aver comprato una bici italiana.

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