6. Veglia al confine della notte

116 8 17
                                    

Il cortile della fattoria al crepuscolo spumeggiava di falene. Seguii Annabelle che a sua volta seguiva Emmett lungo il fossato che correva accanto al sentiero e passammo sotto a una grande buddleia viola, infuocata dalla luce radente. Lasciai la bici sul retro della capanna, nascondendola tra ciuffi di cerfoglio selvatico, e pensai che fino a pochi attimi prima non avevo mai saputo che le piante avessero i loro nomi.


Quello che Annabelle aveva chiamato piccolo fienile era in realtà una grande rimessa, una capanna di assi di pino montata su due ruote di ferro, color ambra. Sul davanti della porta pendeva una lampada a petrolio. Sul lato dei campi c'era una piccola tettoia, con due sedie a dondolo sciancate. Dentro, sopra alla porta, era inciso il nome Nash, che doveva essere il loro. C'era un tavolo ricoperto di fogli da disegno e di colori sparpagliati ovunque. Su ogni foglio una macchia fitta di colori violenti, che parevano facce spaventose e non finite, affisse al tavolo con lunghi chiodi o spilli che trapassavano altrettanti insetti morti.

Non dissi niente, e nemmeno lei.

Chinai il capo per entrare. La stanza misurava in tutto tre metri per uno e mezzo.

- È perfetto - dissi.

Il tetto di lamiera risuonava per il vento, e l'unica finestrella che dava sul cortile aveva le tendine di stoffa ormai sbiancate dal sole. Dietro al tavolo, nell'angolo, per terra, c'era una sorta di culla, una cornice di assi riempita da un mucchio di paglia vecchia. Il mio letto.

- Fai attenzione ai tesori di Emmett - mi disse lei.

E indicò alcuni oggetti sparpagliati sul pavimento o negli angoli della stanza: una pietra forata, una piuma di fagiano, radici, un paio di bastoni, ciottoli con venature di mica luccicante e altri capolavori che durante le sue uscite Emmett aveva salvato dall'oblio del bosco.

Ci avrei fatto attenzione, e lo pensavo molto seriamente.

- Lui usa quella quando vuole tenere chiusa la porta da dentro - aggiunse Annabelle, indicandomi un ceppo di legno arrotondato e fluente, che pareva un muso di drago. - Ma non chiuderla troppo bene, altrimenti non riesco a tornare.

E poi corse dietro a suo fratello, che aveva già raggiunto la porta di casa. Rimasi accanto alla porta socchiusa della capanna, dubbioso, poi ci spinsi contro il piccolo ceppo di legno, lasciando una fessura. Non pensavo davvero che Annabelle sarebbe tornata, ma era impossibile saperlo con certezza. Non lo speravo, da quanto mi sentivo stanco. Mi stesi sulla paglia e mi addormentai senza nemmeno accorgermene. 

E dormivo molto profondamente, quando lei mi svegliò. Me ne stavo acquattato sul fondo del mio abisso di stanchezza e, appena misi a fuoco il mondo, fu come se stessi gocciolando.

- Hey - le dissi, stropicciandomi gli occhi.

- Scusa - disse lei. - Avrei fatto ancora un tentativo, e poi ti avrei lasciato dormire.

Annabelle era una grande ombra che occupava buona parte della stanza, e la luce era cambiata. Dondolava da oltre la porta alle sue spalle, e strisciava tra i suoi piedi come una polla di oro liquido.

- Mi ero appisolato - mentii, cercando di allontanare le chiazze di quel sonno viscoso. C'era un trucco, per farlo, ma non volevo schiaffeggiarmi davanti a lei. Il nonno, che lo faceva, quando voleva uscire di casa presto, mi aveva raccontato che Keith Richards dormiva pochissimo, un paio di ore a notte al massimo, e non per via delle droghe, ma perché era così che facevano gli artisti. È lì la differenza, diceva. Tu vivi una volta e loro hanno già tre vite più della tua.

HoopDriverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora