14. Segui le lacrime, disse il poliziotto

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Avevo in testa un percorso molto chiaro, che correva a cavallo del confine tra Inghilterra e Galles e da Hay-on-Wye si inabissava tra verdi colline fino a Brecon. Una volta lì avrei avuto due scelte.

Avevo detto ad Annabelle, che sarei passato da Penderyn, anche se non era del tutto vero che ci volevo passare, perché significava allungare di una ventina di miglia rispetto al sentiero più veloce che poteva portarmi sulla costa. E a quel punto, una volta sulla costa, o traghettare per Kewstoke, o risalirla fino a Bristol, passare il ponte sospeso di Bristol (come aveva fatto la Compagnia a Moria) e scenderla dal lato apposto, fino all'ospizio del nonno.

Ma a cosa fare sulla costa ci avrei pensato il giorno dopo.

Sapevo che Bristol era una grande città e passare di lì poteva essere un rischio, ma se mi fossi messo in strada di nuovo all'alba, potevo contare sul fatto che nessuno guarda davvero chi incontrava, in città.

- Che ne dici, Shackleton? Andiamo a dormire al mare, questa seria? - Gli domandai.

E lui mi sembrò abbastanza contento dell'idea.

Quindi si poteva fare, mi dissi.

Era un tragitto ragionevole, meno di quanto avevo pedalato il primo giorno e più di quanto avevo pedalato il giorno successivo. Se le costole e il gomito reggevano, era okay.

Dalla stradina sterrata di casa Crompton imboccai fiducioso la A438 in direzione sud, per una località segnata come Clyro. Mi piaceva essere tornato in sella. Mi piaceva come girava quella ruota. Come cantava sulla strada.

- Brava, ragazza mia - dissi, lasciandola correre senza mani sulla strada deserta, fiancheggiata di siepi e stradine, di alberi sentinella simili a quelli di cui mi aveva raccontato Richmal, che le farfalle si erano portati via.

Ci infilammo tra due ripidi versanti di pascoli, che non ricordai di aver attraversato con la Morris Minor del signor Richmal e capii di essere già arrivato in territorio sconosciuto. Individuai le pecore di vedetta in cima ai pascoli e le salutai, contento.

Non avevo alcuna intenzione di fare loro un altro scherzo e già alla curva successiva tenni di nuovo la testa bassa sul manubrio, lasciando che l'aria fresca del mattino mi schiaffeggiasse i pensieri.

Avrei preferito non pensare a niente, come a volte mi era già successo, ma invece mi sembrò di pensare al doppio delle cose a cui di solito pensavo, e senza riuscire a tenerne nessuna in testa.

Era come se disseminassi sassolini di pensieri dietro di me, come se avessi avuto paura di non sapere più come tornare indietro. E in qualche angolo del mio cervello, in effetti, mi sentivo come se fossi là fuori da sempre, sulla strada, nei boschi, con le siepi e i pascoli disseminati di mine.

Continuava a venirmi in mente papà, e le cose che avevo detto di lui al signor Richmal. Mi domandavo se avessi fatto bene, o male, se ero stato gentile o se invece mi fossi comportato da sciocco. Ero incuriosito dall'idea di me che gli avevo lasciato e anche da come non riuscivo comunque a immaginarmi papà.

Erano quattro sere che dormivo fuori. Cinque giorni che mancavo da casa e per quanto mi sforzassi non avevo una sola immagine mentale plausibile di come potesse essere lui in quel momento.

Addormentato?

Terrorizzato?

A parlare con la Polizia?

Quando si era accorto che non c'ero più? Quanto era preoccupato? Quanto si sentiva male? Quanto era arrabbiato?

Aveva già chiamato il nonno? Avevano litigato e dato la colpa uno all'altro, come facevano sempre?

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