18. Fuoristrada

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La diligenza era una vecchia BMW nera, che procedeva sobbalzando del viale.

- La signora Ramsey! - gridò Creirwy, correndo verso di noi. - Alis, presto! Fai sparire la bici e tutto il resto. In garage.

Ma Alis non mosse un muscolo. Continuava a fissare me, perché io non le avevo ancora risposto. Allora, Billy, mi stava dicendo, restando ferma: ti fidi di me e ti fidi di tutte noi?

Io dondolavo come un altalena sul burrone, passando dalla paura più istintiva dell'animale che non vuole essere catturato al desiderio di essere messo al sicuro.

Volevo che qualcuno si prendesse cura di me. Ma potevano essere Alis e Creirwy?

No, mi dissi. Loro avevano altro a cui pensare: la loro vita selvaggia, i loro genitori, il doversi sdoppiare tra due case e due famiglie, avevano da proteggere la loro età dell'oro dal progressivo ritirarsi della foresta.

Non certo occuparsi alla bicicletta di Billy Hoopdriver e di quel tizzone d'inferno del suo cane.

Nessuno si era mai occupato di me, pensai, e nell'istante stesso mi venne da vomitare, perché era esattamente il genere di pensiero che avrebbe fatto mio padre, prima di mettersi a bere.

E io non volevo essere mio padre.

Volevo essere mio nonno: volevo una vita piena di persone, di amici, di storie e di luoghi leggendari, di posti che avevo visto un attimo prima che sparissero per sempre.

Quindi avevo una sola possibilità.

La fissai dritto negli occhi.

Annuii.

- ALIS! - Strillò sua sorella.

Afferrai il manubrio bagnato di Azzurra mentre Alis si caricava lo zaino in spalle e infilava il giubbotto sottobraccio, poi corremmo verso di lei.

- Andate dietro, presto - Ci gridò Creirwy, facendoci scudo mentre giravamo l'angolo e la BMW della signora Ramsey ruggiva in cortile, portandosi il seguito del suo mantello di polvere e gesso.

- Shake, vieni! Subito! - Sussurrai con tono imperioso. Corremmo curvi come per evitare le mitragliatrici dei tedeschi dietro al cottage e, da lì, dentro al garage.

Mi tuffai dentro senza nemmeno pensarci. Ma quando mi sentii chiudere il portone alle spalle, mi tornò la sensazione di essere caduto in trappola.

Dovetti farmi forza per non mandare tutto a monte e scappare.

Dove mi trovavo?

In un piccolo garage polveroso, che ospitava un Defender della Land Rover, verde militare, con il tetto di tela. Era una di quei gloriosi fuoristrada squadrati, squadrato il motore, la griglia sui fanali, le portiere, squadrato persino il vetro del parabrezza. Era parcheggiato in mezzo a scaffalatura di ferro piena di cose ammonticchiate, attrezzi, tosaerba, latte di vernice, l'intero campionario di oggetti di nessuna utilità di cui non ci si riesce più a disfare. La polvere danzava nell mezzelune di luce dei lucernari sopra al portone, si infilava in losanghe dorate nelle venature del portone, trafiggendoci.

- Alis, non posso stare qui - le dissi, mentre giravamo attorno al Defender. Era un D90, pensai, intanto. Un gloriosissimo D90.

Lei appoggiò il viso a una fessura, per guardare fuori.

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