2. Il mattino prima del mattino

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Due case più giù della nostra c'era quella dei Walker, tre fratelli che Dio solo sapeva come continuavano a fare la grigliata nel giardino, con chissà quale carne dato che né alla Coop, né da Mark a Spencer ne era rimasto un taglio, nemmeno a rovesciare il bancone. Spingevo la bicicletta a mano lungo il marciapiede, come se avessi paura di fare rumore, anche se non c'era nessuno, proprio nessuno, e pensai a quello che aveva detto papà, la domenica, che era già mezzo ubriaco, l'aria puzzava di maiale alla brace, e loro si sentivano dappertutto, anche se tenevi chiuse le finestre. Aveva detto che secondo lui i fratelli si erano mangiati Dermot e Claire della casa dopo, perché erano un bel po' di giorni che loro invece non si vedevano più. E poi aveva insistito per farmi vedere The English Game, dicendomi che era la serie perfetta, ma non resse ai primi quindici minuti. 

Dalla finestra del bagno di Claire e Dermot usciva un filo di luce elettrica e la cosa mi rincuorò, soprattutto per i Walker, ma anche per papà, dato che era comunque l'altro loro vicino di casa.

Filo di luce a parte, mi sembrava di camminare in una strada fantasma, in un quartiere fantasma, tipo quello del libro di Alan Moore che Lukas faceva finta di leggere da più di tre mesi e che mi raccontava ogni mattina quando andavamo a scuola. Una roba incomprensibile di morti e fantasmi, la stessa in cui adesso eravamo dentro per davvero. Per Lukas, Alan Moore era una specie di profeta e per me, a questo punto, solo un grandissimo porta sfiga. 

Mi fermai davanti all'ingresso delle gallerie, proprio dove la facciata di mattoni rossi si sporgeva sulla strada per segnalare l'entrata delle visite guidate, che se non conoscevi il signor Kenneth erano abbastanza una presa in giro, perché ti portavano a vedere solo una minima parte dei corridoi. Invece, se convincevi il signor Kenneth a mettersi il suo berretto da minatore con la luce, potevi scendere per centinaia di metri, giù, giù, e allora sì che cominciavi a chiederti a cosa servisse aver scavato una città sotto alla città, con tutti quei cunicoli di mattoni. Non andavano da nessuna parte, non collegavano con nessun posto, ma si allargavano sotto a tutto Edge Hill, che poi sarebbe il mio quartiere, o forse di più, perché nessuno aveva la minima idea di quanto si estendessero, dato che non esisteva alcun progetto se non quello nella testa del signor Williamson, e molti corridoi erano crollati nel tempo, o erano stati chiusi per ordine della stessa persona che li aveva fatti scavare. Per provare a darsi una spiegazione si diceva che il signor Williamson fosse animato di pura e semplice filantropia, cioè diede un lavoro a centinaia di persone anche se il lavoro non sarebbe servito a niente. E a me piaceva immaginare che fosse davvero così, cioè che se ti metti ad aiutare gli altri senza uno scopo personale, passerai di sicuro alla storia come uno strano.

Presi un lungo sospiro, prima di salire in sella.

In qualche modo sentivo che per poter partire avrei avuto bisogno della benedizione del signor Williamson. L'uomo più assurdo di Liverpool per il viaggio più assurdo della mia vita, questa Liverpool - Kewstoke, che più ci pensavo, più mi sembrava come se stessi partendo da solo per la Parigi - Brest, la prima gara in bicicletta della storia, nel 1891 o giù di lì, nel senso che secondo me tutti quei ciclisti magari sapevano da dove partivano, da Parigi, ma non avevano la minima idea di dove fosse Brest (io ce l'ho solo perché l'ho cercata su Internet e ho letto che è un porto militare della Bretagna, insomma so che anche Brest è sul mare, come il paese dove si è andato a nascondere il nonno). 

Dalla biglietteria, poi, la strada era in leggera discesa, e la partenza mi sarebbe sembrata più facile. Dovevo solo ficcarmi gli auricolari nelle orecchie, premere play e pregare che lo shuffle del vecchio iPod mi mettesse una bella canzone, di quelle che ti aiutano a staccare i piedi per terra, tipo i National, o i Kinks. Ma anche quello era un tiro a gioco con il destino. 

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