ADÈ×EUGENE

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ADE’XEUGENE-
Era una giornata come tante altre alla Raimon e Adè era in ritardo come al suo solito.
Si era svegliato tardi, non aveva fatto colazione e si era dimenticato le materie della seconda e terza ora.
La campanella era appena suonata ed Eugene stava per entrare a scuola quando una mano lo fermò.
Il ragazzo con gli occhialini, che per poco non cadeva, si aggrappò alla spalla dell’occhialuto che era in ansia per la verific-
<CHE VERIFICA?!>
Si Adè si era dimenticato anche della verifica che avevano alla prima ora.
Entrarono in classe e si sedettero ai propri posti.
Uno ripassava abbastanza tranquillamente tutti gli argomenti indicati dall’insegnante mentre il secondo si riempiva l’astuccio di bigliettini sperando di prendere la sufficienza.
La campanella suonò ed il prof fece il suo ingresso nell’aula.
Appena diede il via, tutti si chinarono sul compito pronti a mettere per iscritto quello che avevano studiato.

SALTO TEMPORALE
Erano già passate tra ore e il ragazzo con gli occhialini aveva già subito tre ramanzine.
Nessuno capiva come mai quel giorno sembrasse totalmente su un altro pianeta. Di solito, sì non prendeva voti altissimi, ma con l’aiuto della prof e dei compagni riusciva alla fine a comprendere gli argomenti e a raggiungere la sufficienza con un voto di differenza.
Mentre ora, oltre ad avere dimenticato il materiale, cosa che non capitava mai, non riusciva neanche a concentrarsi a lezione.
Era l’ultima ora e il prof aveva corretto le verifiche.
Eugene si stava mangiando le unghie dall’ansia mentre Adè guardava fuori dalla finestra.
<Adè Kèbè> nessuna risposta.
<Adè Kèbè> niente.
L’adulto si alzò e si posizionò davanti al banco dell’alunno.
<Ehm ehm> si schiarì la gola sperando che, questa volta, desse un segno di vita.
<Ah, ehm sì, mi scusi> farfugliò l’altro ancora un po’ nel suo mondo.
<Ecco la tua verifica> rispose l’insegnante lasciando sul banco un foglio con un bel 5- sopra.
Quello si che lo riportò alla realtà.
Aveva appena preso una sufficienza. Non che la cosa gli importasse più di tanto però era seccante.
<Mi dispiace> disse Eugene sedendosi di fianco a lui.
<Fammi indovinare tu hai preso dieci vero?> disse quello con gli occhialini mettendo le mani dietro il collo e dondolandosi un po’ con la sedia.
<Ehm…ecco, sì>
<Immaginavo. Tu sei sempre attento, capisci al volo gli argomenti e hai solo bisogno di ripassare mentre io no. Non riesco a seguire la lezione se dentro ho uno tsunami che mi trascina negli abissi allontanandomi da quello che ho intorno>
Il ‘secchione’ rimase un po’ spaziato da quelle parole. Davvero pensava questo? Cosa intendeva per tsunami? Da quando è così poetico?
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dal suono della campanella.
Anche quella giornata di scuola era finita.
Kèbè prese il suo zaino e si diresse verso il parco. Avevano gli allenamenti con la squadra, ma così distratto sarebbe stato solo d’intralcio.
Nel frattempo, il suo amico aveva osservato tutta la scena da lontano e decise che era meglio lasciarlo sfogare.
Chissà cos’aveva.
Stava pensando a tutte le ipotesi possibili.
Che sua madre si sia ammalata e abbia dovuto prendersi cura di lei e non sia riuscito a studiare? No impossibile, ho visto sua madre l’altro giorno al supermercato.
Che abbia avuto un lutto in famiglia e non ne abbia parlato con nessuno?
Insomma, continuò così fino all’ora dell’allenamento.
Aveva considerato tutte le risposte plausibili tranne una. La più semplice.
I ragazzi cominciarono a giocare. Erano tutti distratti, era strano che Adè mancasse.
E poi arrivò. L’illuminazione.
<E se fosse innamorato?!> rifletté a voce alta.
Quella frase gli aveva fatto male non capiva il perché, insomma, lui era già di per se uno sfigato, cos’avrebbe detto la gente se sapesse che era pure ‘frocio’.
Michael gli passò il pallone e l’occhialuto ci inciampò sopra.
<Ragazzi che ne dite se per oggi la chiudiamo qui?> proposero Riccardo e Arion.
Non avrebbero mai detto una cosa del genere se fosse stato un allenamento come gli altri ma devono essersi resi conto della situazione.

Dopo essersi cambiato, Eugene, prese la solita strada che faceva per andare a casa. Era insolito percorrerla senza quel chiacchierone del suo amico.
Stava camminando tranquillamente, quando notò un pezzo di casa sporgente da una tasca del suo borsone.
-Dove ci siamo incontrati la prima volta? Il tizio con gli occhialini-
Questo era quello che diceva il biglietto.
Eugene dopo esser rimasto a pensare un secondo, iniziò a correre verso il luogo dove vanno sempre a pescare.
A quell’ora doveva essere chiuso ma qualcosa gli diceva che non era così.
Aveva capito chi gli avesse scritto quel biglietto.
Era stato Adè.
Dopo averlo incontrato, scoprì di essere in classe con lui e quando lo vide la prima cosa che disse fu <Tu sei il tizio con gli occhialini di ieri>.
Corse più veloce che poteva e una volta arrivato davanti alla struttura, entrò.
Non c’era nessuno ma era comunque aperto.
-Dove ero seduto oggi a pranzo?-
Era questo che c’era scritto in un biglietto attaccato ad un amo della canna da pesca di Kèbè.
E così partì la caccia al tesoro.
Dal parco alla biblioteca.
Dalla biblioteca al negozio dei suoi genitori ed etc…
Ormai era quasi un’ora che girava per la città.
Aveva perso quasi tutte le speranze ma poi.
-Vai dove ci sono le cose che amo-
Le cose che ama…IL MARE! Pensò Eugene dirigendosi verso la spiaggia ma qualcosa non tornava.
Lui aveva scritto LE cose.
Il mare era una, e l’altra?
Si chiedeva mentre camminava avanti e indietro per quella distesa di sabbia.
Due braccia lo avvolsero da dietro.
Poteva riconoscere ovunque quel calore sprigionato dal corpo dell’altro ragazzo.
Kèbè appoggiò il mento sulla spalla dell’altro, che, nel frattempo, si stava accoccolando al suo petto.
<Chi sono?>
<Adè>
<Non avevo dubbi che avresti capito chi sono>
Intanto Eugene si girò e lo guardò negli occhi.
<Perché mi hai fatto venire qui? E perché dovevo girare mezza città prima di arrivare?>
Il più grande rise.
<Ti ho fatto venire qui per un motivo> (NOOO MA VAA, ok me la smetto)
Disse avvicinandosi ancora un po’ l’altro che stava arrossendo violentemente.
<E-e q-quale sarebbe?> chiese il più piccolo che ormai era diventato un peperone.
<Questo>
Una sola parola.
Un solo gesto.
Mille emozioni.
Adè si fiondò sulle labbra di Eugene che ricambiò il bacio timidamente.
Una volta separati il peperone capì tutto.
Era distratto a causa sua.
<Allora, ti vuoi mettere con me?> chiese Kèbè sfilandosi gli occhialini.
<Quello lo dovresti chiedere prima> ribatté l’altro per poi lasciargli un delicato, dolce, timido bacio sulle labbra.
L’occhialuto chiamò sua madre per chiedergli se Adè poteva rimanere a dormire e così fecero.
Si addormentarono entrambi nel letto di Eugene, mano nella mano, uno abbracciato all’altro.
E con un ultimo sguardo ai bigliettini di carta raccolti il piccolo si addormentò.
FINE
*angolo scleri*
Perdonatemi il ritardo 🥺 non ero riuscita a scriverla ieri.
In ogni caso la prossima POTREBBE poi non so, essere una FudoKido.
Alla prossima
Ale~

♡ONE SHOTS INAZUMA♡ ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora