Quella mattina non ero decisamente di buonumore: la sera prima la cena era stata un fiasco, avevo litigato pesantemente con i miei e la profetessa aveva avuto una specie di attacco epilettico. Ma andiamo con ordine.
Dopo la fatidica riunione per le nuove elezioni, la macchina di mia madre, alle 18.30 spaccate, mi aspettava fuori da scuola. Lei era molto contenta, io molto distratta. E già qui, partiamo molto male.
A casa, appena metto piede dopo una giornata piena e stressante, un ragazzo di 18 anni si presenta nel divano di casa mia, vestito con una tunica e dei sandali e che mi saluta in greco. Li saluto cordialmente, mentre lui si presenta: è un nostro vicino che non ho mai notato, si chiama Alessandro e tra poco comincerà il college. Faccio finta di essere interessata, mentre lo invito a seguirmi nella mia stanza, in modo che possa poggiare le mie cose. Lui rimane fuori, appoggiato allo stipite della porta, e parla a macchinetta della sua famiglia e della sua vita, dei suoi amici. Annuisco, mentre spengo il telefono e conservo i libri di scuola. <Sei molto ordinata> asserisce. <Grazie, bel complimento> gli dico, per la prima volta sinceramente quella sera.
La cena è noiosa, parlano di quante volte dobbiamo vederci, dei riti purificatori, della dote, del contratto, tra quanto dovrò fare figli. Appena sento quest'ultima cosa, mi sale un conato di vomito. Penso ad Aria, alle mie compagne di scuola che l'anno prossimo saranno al college e io sarò ad allattare bambini. Mi strozzo con la saliva, mentre la profetessa mi guarda. Ad un certo punto, diventa bianca come la tovaglia, indicando la mia spalla sinistra: si sta propagando una macchia rossa, quasi come una bruciatura, che mi provoca un leggero pizzicorio. <La profezia!> esclama. <Fuori!> indica Alessandro. E per una volta la ringrazio mentalmente. I miei sono mortificati, così come (falsamente) io, così come mia nonna, che con in mano la tragedia Euripidea mi guarda come se fosse colpa mia. <Nonna non guardarmi così> mormoro, forse troppo dura. Mi scuso il secondo dopo. Lei annuisce. La profetessa continua ad osservarmi la spalla sinistra: la macchia si sta riducendo e lei tira un sospiro di sollievo. Le tocco una spalle, e lei sorride, come se fosse opera sua la sua sparizione. Io mi chiudo in camera, mi preparo per andare a dormire, quando mia madre irrompe come una fuga. <Signorina non so cosa fosse quella macchia, ma non ci impedirai di darti in moglie a quel bravo ragazzo> grida. Mio padre accorre perplesso. <Ma io non ho fatto nulla. E poi, scusate se mi permetto, ma non me la sento di sposarmi> sbotto, sollevando le coperte. Fanno una faccia inorridita. <Tu sei una donna e da tale ti comporterai!> tuona mia madre. <No! Okay? No! Decido io per me! Mi son rotta le palle di vivere così! Non c'è nessuna profezia!> urlo più forte. Mia mamma si avvicina, assestandomi un bello schiaffo sulla guancia destra, per poi sbattere la porta e chiuderla.
Quella mattina, quindi dicevo, ero stanca, sia per il fatto di aver dormito poco, sia del mio destino. Pensai a mio fratello ad Atene e mi pentii di non essere andata con lui.
Vicino al mio armadietto, Timothée usa il telefono: lo tiene in posizione orizzontale, lo ruota e poi sbuffa. Appena mi nota, fa il suo solito cenno con la mano, che io ricambio con poca voglia, digitando il codice dell'armadietto e passando in rassegna i libri: oggi ho biologia avanzata. Mi sale un conato di vomito, prendendolo e riposandolo all'interno della scatola metallica. <Che fai, mi lasci solo?> mormora, prendendo il suo. <Non-non sto bene, non so se tornare a casa> sussurro, voltandomi verso di lui. Mi prende il libro di biologia dall'armadietto aperto, poi richiudendolo e trascinandomi a prendere un the. Lo ringrazio, per poi avviarmi verso il laboratorio. <Che ti succede?> chiede, non appena ci sediamo al nostro solito posto. Non rispondo. <Hey con me puoi parlare> dice, sorridendo. Gli sorrido di rimando, pensando a come potrebbe reagire se scoprisse tutto. Decido di tacere. <Tim scusa ma non posso dirtelo, magari più avanti> dico sinceramente. Lui annuisce, poggiandomi una mano sulla coscia e disegnandoci dei cerchi immaginari. Mi sorride. Stacca la mano quando arriva la prof.
*****
Il giardino è deserto, ma ancora per poco dato che io e Joy ci stiamo per sedere su un tavolino. Tiro fuori un pacchetto di sigarette nascosto, prendendone una ed accendendola. Mi era mancata. Joy mi guarda preoccupata.
<Non frequenterò il college, ma mi sposerò a breve e sfornerò bambini> sputo incazzata. Lei sussulta. <Falli parlare con qualche prof, sei sprecata> mi dice. Sollevo le spalle. <Sono una donna e da tale devo comportarmi> sentenzio. Lucas ci raggiunge poco dopo, schioccando un bacio rumoroso sulla guancia della mia amica: tempo la fine dell'anno e si mettono insieme.
<Di che parlate?> chiede. <Passerò la mia vita a casa a sfornare bambini> mormoro di nuovo. Più lo dico, più mi viene da piangere. Lucas non sa la faccenda della profezia ma sa dell'estremismo della mia famiglia. <Ma che cazzo> esclama, rubandomi una sigaretta. <Che schifo> continua. Trattengo le lacrime, prendendo un'ultima boccata alla sigaretta e poi buttandola per terra. Nel momento in cui sollevo lo sguardo, escono in cortile Timothée e Giulia che chiacchierano allegramente. I miei due amici mi guardano, ma son talmente concentrata ad immaginare la mia vita con dei bambini, che non li noto subito. Poi il mio sguardo cade su come Giulia ride, parla e scherza, e realizzo che le piace il nuovo arrivato, riccioli bruni, Timothée. Alla mia rabbia della mia vita di merda si aggiunge pure quello. Ma perché? Io e lui siamo solo amici no? No. La macchia della sera prima riappare, questa volta brucia forte. Emetto una specie di rantolo e nel frattempo inizia a sanguinarmi copiosamente il naso. Joy prende tutti i suoi fazzoletti, porgendomeli con scarso successo dato che più cerco di bloccare la fuoriuscita, più esce. Lucas mi prende in braccio, perché non appena tento di alzarmi cado sui miei stessi piedi. Vedo sfocato: vedo Joy che mi tiene di tenere la testa all'indietro, sento le braccia di Lucas che mi sostengono, vedo Timothée che preoccupato si accoda al mio piccolo corteo e Giulia che, perplessa, lo segue con gli occhi. Poi buio.
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Έúδορε/Timothée Chalamet.
FanfictionChi deve morire è già morto; e un morto non è più nulla.-Alcesti, Euripide. Liberamente ispirato dalla tragedia greca.