Episodio 33

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Sono le 4 del mattino di un normalissimo sabato quando sento il suono del campanello di casa. <Chi è?> borbotta roco Astianatte. <Dormi, vado io> lo rassicuro, lasciandolo riposare, dato che il giorno avrebbe dovuto lavorare alla caffetteria vicino a casa e poi la notte al ristorante vicino a Central Park.
Controllo lo spioncino, e con mia sorpresa, fuori da casa mia c'è Timothée, ubriaco. Continua imperterrito a suonare il campanello, mentre urla insistentemente il mio nome disperato. È spettinato, ha le guance rosse, gli occhi praticamente chiusi, ciondola e non porta neanche un cappotto, nonostante sia metà febbraio. Decido di aprire la porta, per evitare che prenda freddo e si ammali. <Tim cosa ci fai qui a quest'ora ed in queste condizioni?> chiedo, aiutandolo ad entrare e ad accomodarsi sul divano del salotto. <Perché mi manchi. Tu, io, non siamo più nulla, ma mi manchi> sospira, coricandosi ed appoggiando la testa sulle mie gambe. <Aspetta, ti tolgo le scarpe e ti porto una coperta, torno subito> gli dico. <Non andartene, nooo> inizia a lamentarsi. <Shh! Sto tornando> gli ripeto. Lui annuisce, staccandosi dalla mia gamba. Frugo nell'armadio della camera da letto, dove Astianatte sta dormendo profondamente, e trovo una coperta in pile rossa. In salotto, nel frattempo, il mio ospite si sta guardando intorno. <Bella casa> borbotta. <Grazie> rispondo, togliendogli le scarpe, e facendolo coricare per bene sul divano, poi coprendolo. Successivamente, vado in cucina a prendere dell'acqua, che gli offro e che beve avidamente. <Tim perché ti sei ridotto così?> chiedo, osservandolo ed accorgendomi di quanto sia bello anche così, incasinato e triste. <Mi manchi, ma non posso essere tuo amico> spiega, accoccolandosi a me che nel frattempo mi son coricata accanto a lui. Gli accarezzo i capelli, mentre lui mette una mano sul mio fianco e poi la sposta sulla pancia. <Come sta?> chiede, accarezzandola. <Bene, cresce> rispondo, con un tono di emozione. <Ti stai affezionando a questo bambino?> borbotta, rispostando la mano sul mio fianco. <Sì, è mio figlio, una parte di me> mormoro. Timothée annuisce. <Ho bevuto troppo, non dovevo farlo, e non dovevo venire qui. Scusa> rompe il silenzio. Gli stampo un bacio tra i capelli. <Non fa niente, ora riposa> dico, accarezzandogli una guancia. <Posso darti un bacio?>. Mi sporgo verso di lui senza neanche dargli il tempo di rispondere, facendo scontrare le nostre labbra in un bacio vero, appassionato, disperato. Afferra i lembi della mia maglietta, ma si ferma. <Meglio di no> dice a sé stesso, dandomi un ultimo bacio e poggiando la testa sul mio petto, addormentandosi.
Piango in silenzio, mentre il salotto viene illuminato dalla luce dell'alba.

Έúδορε/Timothée Chalamet.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora