Episodio 7

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Mi sveglio per l'ennesima volta per colpa dell'ennesimo incubo, tutta sudata. L'orario luminoso della mia sveglia digitale segna le 5.30. Ormai, rassegnata dal riprendere sonno, mi avvio verso il bagno a fare una doccia bollente, portando con me un paio di jeans, una felpa nera ed una t-shirt nera. Impiego mezz'ora tra lavarmi, asciugare i capelli e vestirmi, poi decido di andare nel gineceo e ripassare letteratura inglese, per poi rivedere anche la lista del club di lettura e scegliere un libro, anche se non mi ispira nessuno di quelli proposti. Sono le 6.45 quando mio padre si affaccia perplesso e mi chiede se abbia voglia di fare colazione. Gli faccio compagnia, e mi chiede della scuola, delle elezioni, dei miei amici. Non accenno a Timothée, né ho voglia di farlo, anche perché, appena penso a lui, il solito pizzicore si risveglia nella spalla sinistra e si espande, questa volta in maniera più piccola e più rapida. Rimane lì e si cristallizza per tutto il giorno. O quasi.
Sono le 7.15 quando decido di iniziare ad avviarmi a prendere la metro, dato che oggi mio padre ha il turno di lavoro presto. Gli lascio un bacio sulla guancia, poi esco. Nelle scale, incontro Alessandro. Ci salutiamo con un sorriso flebile, chiacchieriamo del più e del meno e mi accompagna fino all'ingresso di scuola, dato che deve andare a fare delle commissioni lì vicino. Scopro che non è così male, che è molto estroverso e che ha delle ambizioni tutte sue e bellissime. Prima di andare, mi invita ad uscire venerdì sera. <Allora? Ti vengo a prendere alle 19.30> mi dice, praticamente a pochi metri dal mio solito gruppetto, che mi guarda stranito. Sorrido. <Dai va bene> rispondo. Mi saluta con due baci sulla guancia, poi attraversa il cortile, la strada e sparisce. Mi avvicino, quindi, agli altri, salutandoli di buon umore, accompagnando il mio buongiorno con uno sbadiglio. Joy e Lucas mi chiedono di altro che non sia Alessandro, mentre Timothée sta zitto, fuma la sua sigaretta e ha una cuffietta nell'orecchio e l'altra penzoloni. Non dice nulla, è ricurvo su se stesso e smanetta il telefono cambiando canzone. La campana ci attira, come sempre, all'interno dell'edificio. Vado al solito armadietto ed afferro il libro di fisica. <Chi era quello?> chiede Timothée, avvicinandosi al suo armadietto e prendendo lo stesso libro. <Un mio vicino di casa> rispondo tranquillamente, chiudendo l'armadietto e frugando nelle mie tasche in cerca di qualche moneta dimenticata per sbaglio. Ovviamente non trovo nulla, così frugo nel portafoglio che pesco dall'armadietto e tiro fuori degli spiccioli. <Vuoi un caffè?> chiedo al ricciolino. Annuisce, seguendomi. Digito la solita composizione numerica al distributore, che, non appena finisce di erogare la bevanda, si blocca con un bip aprendo uno sportellino che contiene il bicchiere con il caffè. Lo porgo al ragazzo, che mi ringrazia. Mischia lo zucchero con la palettina.
Metto i soldi per prendere anche il mio caffè. <Ti ha chiesto di uscire? Cioé proprio un appuntamento?> chiede, prendendo un sorso. Annuisco, sentendo di nuovo il bip ed estraendo il bicchiere. Ci spostiamo nell'aula di fisica. <Venerdì sera dobbiamo finire il progetto di chimica> mi dice gelido. <Hai ragione! Ecco cosa c'era! Perdonami Tim. Appena lo vedo stasera glielo dico> esclamo. Lui sorride flebilmente. <Grazie per avermelo ricordato> gli dico, segnandomi nella mia agenda l'impegno di venerdì. Cerco tra la rubrica del telefono il contatto di Alessandro, senza risultati, così decido di chiedere a mia madre, che subito me lo invia. Gli scrivo delle scuse, poi rinvio l'appuntamento al sabato sera. <Ecco fatto> esclamo, finendo il caffè. Timothée sembra più rilassato. <Quando dovete uscire?> chiede ancora, mentre guarda attentamente la porta per capire se il prof stia arrivando o no. <Sabato> dico. Lui annuisce, di nuovo cupo.
Nel frattempo, ci raggiunge Giulia, tutta contenta, che appena vede Timothée, gli stampa un bacio sulla guancia. Il ragazzo arrossisce, per poi dargliene uno nell'angolo della bocca.
Il solito pizzicore si risveglia nella spalla, ma la macchia non si riespande, si fa sempre più rossa e piena di bollicine bianche, quando sento un rivolo caldo che cade dal naso: sangue. I due mi guardano preoccupati, mentre mi alzo di scatto verso il bagno. Ma il sangue esce copioso, a goccioline spesse e grandi, che macchiano il pavimento: non serve tamponare la narice, non serve tenere la testa all'indietro. Sono passati già 20 minuti e l'emorragia non si ferma. Provo con un fazzoletto e dell'acqua: nulla. Nel frattempo, una bidella è venuta ad aiutarmi come può: mi dice che sa come fare perché anche sua figlia soffre di capillari sensibili. Mi porta del ghiaccio, mi fa dei piccoli tamponi con dei fazzoletti: il sangue scende più veloce, più copioso ed io inizio ad essere stanca, a vedere sfocato. <Ti porto in infermiera> asserisce, prendendomi sotto braccio. <No!> esclamo. <No, sto bene, torno in classe> mormoro. Mi risiedo accanto a Timothée e Giulia, che si tengono per mano. Il sangue continua a scendere ed io a cercare di bloccarlo. Il professore interrompe un paio di volte la lezione per cercare di convincermi ad andare in infermieria, ma mi rifiuto. Appena suona la campana, mi precipito di nuovo in bagno: il sangue è aumentato ancora di più e la macchia è sempre più spessa, come se fosse una bolla. Sospiro, affranta, realizzando che ormai sarò costretta ad andare in infermieria e tornare a casa, spiegare ai miei di Timothée. Respiro, sentendo le lacrime agli occhi. Il sangue sta di nuovo aumentando, ancora ed ancora, ed io non so più che cosa fare. Scoppio a piangere, vedo sfocato e respiro male. Continuo a tamponare il naso con le mani che tremano, poi mi affaccio fuori dal bagno per cercare una traccia di Joy, che sicuramente sarà a chimica avanzata, ma tento comunque ed invece, con mia grande sorpresa, c'è Timothée, il telefono in mano, le dita che volano veloci sui tasti riflessi nel touch screen. Lo blocca di scatto quando mi vede completamente stravolta. <Ancora?> chiede, avvicinandosi. Annuisco debole: vorrei solo addormentarmi e non riesco a vedere bene, ho anche mal di testa. <Che cosa senti?> mi chiede, riportandomi in bagno. <Non puoi stare qui> asserisco flebilmente, mentre mi tiene la testa all'indietro con una mano e con l'altra bagna un fazzoletto che mi avvicina alla narice che sanguina. <Cos'è quella cosa sulla spalla?> dice ancora. <Non lo so Tim, non lo so> piango. Mi guarda dispiaciuto e indeciso su cosa fare. Continua a cercare di bloccare il sangue che, dopo un paio di fazzoletti, si ferma. <Ti aspetto fuori, sciacquati la faccia> mi dice, accarezzandomi i capelli. Annuisco, rinfrescandomi ed uscendo dal bagno.
Usciamo nel cortile, deserto: per fortuna abbiamo un'ora buca. Ci sediamo in un tavolo. Tira fuori un pacchetto di sigarette e me ne porge una: scuoto la testa. Mi corico sul tavolo, distrutta. <Che schifo! Alzati che è sporco> mi ammonisce, facendo un lungo tiro. <Scusa mamma> mormoro, guardandolo male ma anche con uno sguardo divertito. Ricambia con un sorriso.
<Che ti succede? Come mai stai così male? Cambio di stagione?> scuoto la testa e poi mi guardo intorno: siamo quasi ad ottobre e le foglie degli alberi stanno cambiando colore. Un venticello mi incasina i capelli, me li rimetto in ordine e poi mi rigiro verso il ragazzo nuovo, che ormai non è più così nuovo. Sta quasi finendo la sigaretta. <Sono stressata in quest'ultimo periodo, la mia famiglia non è facile da sopportare a volte> sussurro. Lui ridacchia triste e sarcastico. <Ti capisco>. Scuoto la testa. <Ti stai per sposare?> gli domando, diretta, gelida e sul punto di riscoppiare a piangere: Alessandro non è così male ma la vita che mi offre è un inferno: sarebbe come vivere in una gabbia decorata, che rimarrebbe pur sempre una gabbia pur essendo bella, ricca e personalizzata. Timothée per poco non si strozza con il fumo della sigaretta. <Cosa?> sussurra. <Mi vuoi dire che ti devi sposare?> quasi urla. Schiaccia la cicca sul posacenere nel tavolo, per poi mollarla lì. Faccio un cenno affermativo con il capo. <Cazzo> mormora, scompigliandosi i capelli e prendendosi la testa tra le mani, poggiandosi sul tavolo con i gomiti. Sospiro. Alza la testa di scatto. <Quel ragazzo> schiocca le dita davanti a sé. <È il tuo futuro marito vero?> chiede, incredulo. <Quello di stamattina? Dovrebbe> rispondo. <Come hai fatto a capirlo?> domando, girando anche il busto verso di lui, in modo da mettermi completamente difronte a lui. Fa lo stesso. <Si vedeva da come lo guardavi: eri contenta della sua compagnia, sì, ma si vedeva che era una cosa poco spontanea: sembrava che gli dovessi un sacco di rispetto e tantissima gratitudine, non so, come se fossi in debito con lui> risponde. Lo guardo perplessa. <E lui?> domando, curiosa di questa sua interpretazione, dato che ero convinta che stesse pensando ai fatti suoi o a Giulia. <Lui sembra che ti voglia conquistare> dice con una punta di acidità. <E come lo avresti capito?> ripeto. Mi fa ridere, perché sembra geloso. <Da come ti guardava: non lo fa solo per la sua famiglia, si vedeva dal suo sorriso, dalla sua confidenza: sa che ti può avere, avere in suo pugno, tutta per sé> continua, con la stessa acidità. <Ma non sa, in realtà, che non avrà mai te completamente, nessuno può avere qualcuno completamente, tanto meno te> completa. Lo guardo perplesso. Mi guarda negli occhi, le labbra contratte, così come la mascella. Le sue iridi son diventate più scure. Si sposta un ricciolo dal viso. <Perché?> domando. Siamo l'uno ad un soffio dall'altro. Se mi sporgessi poco poco...
<Perché sei solo di te stessa, Eúdore. Sei un'anima libera. Decidi tu anche quando vuoi far credere che lo stiano facendo gli altri, come il giorno che sono arrivato da te: hai scelto di diventare mia amica, non l'ha scelto Giulia, anche se voleva ciò> dice sicuro.
<A proposito, cosa c'è tra te e Giulia?> chiedo. Lui ride. <Nulla, in realtà mi interessa un'altra>

Έúδορε/Timothée Chalamet.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora