Capitolo 014/410

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Nel breve tragitto tra la loro panchina e l'appartamento di Gaia Martina aveva sentito l'ansia crescere fino a bloccarle il respiro. Si era dovuta fermare un attimo, come per dare tempo ai propri pensieri di ritrovare un loro ordine e al suo cuore di tornare a battere ad un ritmo regolare. Aveva cercato di occupare quelle poche centinaia di metri preparandosi un discorso per quando si fosse ritrovata con lei occhi negli occhi, strano come non riuscisse a tramutare i propri pensieri in frasi di senso compiuto, quando in realtà quel discorso glielo aveva già ripetuto mentalmente almeno un centinaio di volte da quando l'aveva conosciuta.

Glielo aveva confessato dopo il suo primo blackout in hotel, quando invece di urlarle contro come facevano tutti, l'aveva presa da parte e aveva cercato di spiegarle con assoluta calma che non valeva la pena essere sempre arrabbiata col mondo, che doveva incanalare le proprie energie nella sua arte non lasciandosi distrarre dal contorno. In quel momento, mentre la guardava negli occhi trovandoci tutta la forza per non gettare il suo sogno all'aria, la stava già supplicando di non arrendersi mai con lei.

Glielo aveva sussurrato tra i capelli la prima volta che avevano dormito abbracciate perché il ritmo del suo respiro sulla pelle era diventato la miglior buonanotte che le avessero mai dedicato.

Glielo aveva urlato in faccia più e più volte, mascherato da incomprensioni, frasi non dette, gesti dettati dal nervosismo. Perché se ogni volta ritornava sui suoi passi con lo sguardo basso e delle scuse sincere come offerta di pace era perché senza di lei si sentiva completa solo a metà.

Glielo aveva impresso sulla pelle ad ogni abbraccio in cui si erano mescolate le anime, perché in quell'abbraccio ogni singolo lembo di pelle le stava chiedendo di non abbandonarla.

Glielo aveva messo per iscritto in ogni canzone, perché il suo amore permeava ogni frase, ogni accordo, ogni sfumatura della sua voce.

Adesso doveva solo raccogliere tutto il coraggio e dirglielo chiaramente, una volta per tutte.

Fece un respiro profondo e proseguì verso casa di Gaia, questa volta impaziente di arrivare il prima possibile, aveva bisogno di sapere che stesse bene, di asciugarle le lacrime, di farle capire che nel bene o nel male lei ci sarebbe sempre stata. Perché G era la sua persona e il suo bene sarebbe venuto sempre prima di tutto e tutti, anche del suo.

Ci siamo Martina, datti una calmata che rischi che il cuore ti esploda alla prima rampa di scale.

Si trovava davanti alla porta della ragazza, la mano sul campanello, un ultimo respiro prima di premere il pulsante.

1...2...3...4...5 secondi

Quanto bisogna attendere prima di ricevere una risposta, e soprattutto perché questi pochi secondi iniziano a sembrare un'eternità?

Provò a suonare ancora una volta, forse G era un bagno o stava dormendo e non aveva sentito il campanello.

1...2...3...4...5 secondi

Ancora nulla, iniziava a preoccuparsi, e se si fosse accorta di lei dalla finestra, dal suo profumo, o dal frastuono assordante dei suoi pensieri e non avesse alcuna intenzione di aprirle?
Suonò ancora una volta, questa volta soffermandosi più a lungo.

"Paola ti prego, ti ho già detto che non voglio vedere nessuno oggi..."

Spero proprio che tu voglia vedere almeno me G.

"GG sono io"

Ti prego parlami che questo silenzio sta diventando assordante.

"Marti?"

La voce spezzata, la sento, anche filtrata da una porta e da tutti i nostri casini.

Sento i passi avvicinarsi alla porta, ma non ti decidi ad aprire. So a cosa stai pensando, conosco tutte le tue paranoie ad una ad una tanto da poterle chiamare per nome. So che hai la mano sulla maniglia, ma che hai paura di aprire questa porta perché significherebbe affrontare me e tutti i discorsi che in questi mesi non abbiamo fatto altro che rimandare per la paura di perderci.

Nocche rotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora