Capitolo Ventesimo

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Deming non era riuscito a dormire quella notte

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Deming non era riuscito a dormire quella notte. Baowei russava sulla branda accanto alla sua, impedendogli di rilassarsi, e, come se non bastasse, la sua mente lo riportava sempre al pensiero di Meizhen. Per quanto fosse difficile ammetterlo, Deming non riusciva a chiudere occhio a causa sua. Era rimasto supino tutto il tempo, pensando alle sue parole, ai suoi occhi lucidi e al modo in cui si era comportata, interrompendo la loro relazione con il cuore spezzato.

Deming aveva sbagliato tutto con lei.

Il giovane si alzò dalla branda e infilò i pantaloni neri e la casacca rossa. Afferrò la propria spada e inalò un lungo respiro, decidendo che sarebbe andato a palazzo Yonghe nel cuore della notte, costi quel che costi. Non poteva perdere Meizhen, lui la amava e pensare di poter trascorrere tutta la vita lontano da lei lo faceva sentire angosciato.

Deming si aggiustò dunque il cappello sulla testa e uscì dalla caserma, venendo accolto solo dal vento mortifero della notte. Quando calava il sole e non vi erano festeggiamenti, la Città Proibita si spegneva come una candela che aveva brillato troppo a lungo.

Tuttavia, il giovane non temeva il palazzo. Conosceva a memoria quei corridoi rossi, che durante le ore notturne erano attraversati solo da poche guardie di ronda. Deming fece parecchia attenzione ad evitarle, mentre cercava di raggiungere le porte dell'harem, rimaste aperte. La concubina scelta dall'imperatore quella notte non doveva ancora aver fatto ritorno.

Deming si addentrò nel serraglio reale e percorse a passo svelto le porte dei vari palazzi, fino a raggiungere quello designato. Aveva pensato di dover bussare per farsi ricevere, invece, le grandi porte che si affacciavano sul giardino di palazzo Yonghe erano spalancate. Aggrottando le sopracciglia, la guardia si diresse lungo la veranda, che attraversò cercando di regolare i propri respiri. Dalle sue labbra si elevavano delle nuvole di condensa, che lo infastidirono finché non raggiunse le pesanti serrande rivestite di feltro che chiudevano l'entrata alla struttura.

Xun'er era di guardia quella sera e, non appena lo vide, spalancò le labbra e lo raggiunse con una smorfia sul bel viso. «Ru da ge, che cosa ci fai qui all'ora del topo? Qualcuno potrebbe pensare male della Concubina Imperiale Shan, e la colpa sarebbe solo mia! Fa' in fretta e torna alla caserma, va bene?»

«No, non va per niente bene» si impose Deming, incrociando le braccia al petto come a voler far valere la sua posizione. «Voglio vedere Meizhen, adesso. Per favore, chiamala, altrimenti non mi muoverò di un solo passo da palazzo Yonghe.»

Xun'er, invece di arrabbiarsi, impallidì e cominciò a torturarsi gli orli delle larghe maniche color pesca, scuotendo il capo. Pareva che si trovasse in guaio. «Ecco, gugu... lei non è qui, Ru da ge

Deming aggrottò le sopracciglia, non voleva pensare al peggio. Non voleva pensare di aver compiuto un errore talmente grande da costringere Meizhen ad abbandonare la Città Proibita per l'eccessivo dispiacere. «Come sarebbe a dire che non è qui?»

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