Epilogo

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Canton, 1757

Ventitreesimo anno del regno di Qianlong

Il Fiume delle Perle era limpido durante l'autunno e Longfeng amava immergerci le mani nonostante Xun'er continuasse a sgridarlo, chiedendogli di non sporgersi troppo, altrimenti sarebbe caduto. Il bambino rispondeva con un sorriso e furbesco e le schizzava l'acqua sulle gonne di broccato, facendola urlare. Il suo era un atteggiamento poco conforme al figlio di un principe.

Anche se, ormai, Wentian non poteva più definirsi tale.

Il principe Haoran era morto cinque anni prima, nella Città Proibita, e spogliato di ogni onore e titolo, l'uomo si era dedicato alla vita di un cittadino abbiente nella città portuale di Canton.

Tuttavia, l'uomo non avrebbe certo rinunciato alle comodità, possedeva abbastanza oro da farselo bastare per una vita, e Meizhen era stata accorta il giorno in cui erano fuggiti, caricando gli scrigni sopravvissuti all'incendio su di un palanchino, prima di partire lontano dalla capitale.

Da quando la Città Proibita si era fatta simile a un ricordo, sua moglie stava meglio. Wentian, in piedi sotto la veranda, la osservava in tralice. Meizhen si era accomodata su una sedia a dondolo, indosso portava un qipao azzurro, decorato di giallo sugli orli delle maniche e della gonna. I capelli neri erano avvolti in una crocchia bassa, fermata con due spilloni di giada, dai lobi invece pendevano degli orecchini più modesti, ma pur sempre eleganti. Fra le braccia, invece, stringeva la nuova arrivata.

«Non dirmi che vuoi unirmi a tuo fratello" la prese in girò Meizhen, mentre la bambina teneva i gradi occhi neri puntati sulla figura di Longfeng che, da quando aveva imparato a camminare, non faceva altro che correre a destra e a manca per la dimora Hui. Era quella il nuovo cognome che Wentian aveva assunto, per evitare di essere scoperto dalle spie dell'imperatore.

La bambina, che aveva da poco compiuto quattro anni, guardò la madre e le sorrise, aprendo la bocca per dare voce alle sue protese impacciate. «Non ci andrò, altrimenti fuqin si vergognerà di me! Penserà che non sono ubbidiente.»

Wentian rise e sedette su uno sgabello al fianco della moglie, chiudendo il ventaglio e posando un gomito sul ginocchio, fasciato da una veste verde che gli sfiorava le caviglie. «Zhaohua, puoi anche andare a giocare con tuo fratello, ma bada che non ti bagni il vestito. Sai quanto mi è costato?»

La bambina sorrise quando il padre le sferrò un buffetto sul mento. «Allora cercherò di non sporcarlo nemmeno rotolandomi sull'erbetta, lo prometto!» esclamò, voltandosi poi a guardare la madre. «Muqin, ora che fuqin è d'accordo, posso andare?»

Meizhen annuì, carezzandole la schiena, e la seguì con lo sguardo nel momento in cui scese dalle sue gonne, correndo via dalla veranda. Zhaohua chiamò a gran voce il nome del fratello, il quale, nel vederla, si abbassò per coglierle una margherita da un cespuglio.

«Entrambi si vogliono bene e non litigano quasi mai» sospirò Meizhen, posando le spalle sullo schienale, per dondolarsi. «Longfeng è un buon fratello maggiore.»

«Sì, perché ti somiglia. Ha il tuo stesso spirito» constatò Wentian, posando una mano sulla sua, per lasciar intrecciare le loro dita. «Spero che anche Zhaohua ti somigli, in futuro. Nonostante sia molto piccola, è gentile con tutti.»

«Non solo io posseggo delle virtù» gli ricordò Meizhen, avvicinandosi al suo viso per accarezzargli una guancia. «Longfeng è sempre spensierato, come ti mostravi tu, d'altra parte.»

«Hai detto bene, mi mostravo" sospirò Wentian, prendendole una mano per baciarla sul palmo. «Da quando sono qui, invece, lo sono davvero. Non penso di essermi mai sentito così bene in vita mia.»

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