Conoscete la calma piatta? Quella calma caratterizzata dal mare che è piatto come una tavola, dove non c'è un alito di vento, dove non succede nulla di rilevante. Il silenzio è il rumore più forte che è solito sentire e te ne stai li sulla tua barca a fissare il cielo che a poco a poco si riempie di cumulonembi pronti a scatenare una pioggia battente. In casa mia era così, c'era la bonaccia assoluta, non c'era un fiato, non un rumore che sovrastasse la musica del piano di sotto. Una canzone italiana di quelle che mia madre amava ascoltare, romantiche, diceva che le ricordavano mio padre. Ero ancora ignara che quel giorno tutta la mia vita sarebbe cambiata, lo ero quando ero distesa sul letto della mia camera e scuotevo le mie gambe pallide nell'aria e lo ero quando mi accorsi che erano le nove di sera e non c'era ancora il profumo della cena dal piano di sotto. Così scesi rapidamente le scale zampettando scalza (mia mamma odiava quando non mettevo le ciabatte e si lamentava degli aloni che lasciavo sul marmo), la musica si faceva più forte andando verso il salotto "Ma'!" Chiamai diverse volte cominciando a canticchiare la melodia fino a che il mondo non mi cadde sulle spalle con un tonfo. Un tonfo silenzioso che non era stato udito da nessuno, come quando la musica parte troppo forte nelle cuffie e all'improvviso e solo tu ti spaventi. La mamma era stesa a terra con i capelli biondi sparsi sul tappeto persiano, pallida con le labbra cianotiche, respirava affannosamente e i suoi affanni erano coperti da una canzone di Battiato. Il respiro in quel momento mi si fermò in gola, non sapevo che fare, chiamare l'ambulanza e far finire in galera mia madre? Quanta possibilità aveva di sopravvivere? Era ladra da una vita, era ladra da quando aveva solo otto anni, aveva rapinato di tutto ed era sopravvissuta a cose ben peggiori di un ictus o quel che le era successo, mi sbagliavo. Ma quando Dio decide che è la tua ora spesso tu non puoi fare nulla.
Mi inginocchiai accanto a lei prendendo il suo viso fra le mani "Mami" sussurrai avvicinandomi al suo viso, lei deglutì a fatica "Berenice" sussurrò e mi accarezzò la guancia con la sua mano sottile per asciugarmi la lacrima. Sapevo che sarebbe successo, mia madre ultimamente ci era andata pesante con l'alcool e il resto, aveva causato un guasto nel suo corpo, non sempre i soldi fanno la felicità, mia mamma era euforica solo quando riusciva a scappare con il bottino e a tornare nelle sperdute campagne della Sicilia. Erano i momenti migliori che avevamo vissuto, e lei ricordava spesso con amarezza le rapine che aveva fatto quand'ero in fasce, prima che mio padre se ne andasse. Non avevo mai saputo perché mio padre ci aveva lasciate e a dire il vero l'unico ricordo che avevo di lui era una banconota stropicciata in un album di foto mio e di mia madre, in ogni caso mia madre si riteneva colpevole della sua fuga e quello le dava il tormento.
Però in quel momento non era tempo di pensare, aveva polso, era debole però il cuore batteva ancora "Mamma cosa devo fare? Devo chiamare qualcuno?" Lei scosse la testa "Va bene" sussurrò, non sembrava turbata "Mamma..." dissi con voce incrinata guardandola per pregarle di afferrare la vita e di restarci aggrappata "Mamma fatti salvare poi troverò il modo di tirarti fuori dal carcere" Lei cominciò a respirare sempre più affannosamente mentre Umberto Tozzi risuonava nella stanza "Io" si fermò mettendosi una mano sul petto "Va bene così Bere" mi disse, faceva difficoltà a parlare, gli occhi le si rivoltavano all'insù e sbavava. Era un agnellino che era stato ferito da un cacciatore, dalla morte che se ne andava in giro con un fucile da caccia. Le accarezzai i capelli biondi striati di argento e le strinsi le mani fredde "Mamma" ripetei, in quel momento tutto intorno a me si stava sgretolando. Credevo che la mia vita avesse perso tutto il senso, io non avevo un piano B, quella che faceva i piani era sempre stata la mamma. In quel momento vederla scivolare davanti ai miei occhi mi faceva male da morire, male come un colpo sparato in mezzo alle scapole, non riuscivo a fermare le lacrime e i singhiozzi e non riuscivo a pensare al futuro. Perché senza di lei per me non esisteva futuro. Stava giocando una partita a scacchi con la morte e stava perdendo "Bere" sussurrò mentre le lacrime le luccicavano sugli zigomi e l'ennesima canzone italiana risuonava nel salotto del casale "La banconota" bisbigliò e si bloccò in preda a uno spasmo, poi continuò "Chiama il numero sulla banconota" la guardai confusa e piangendo continuando ad accarezzare i suoi capelli "Non sei sola Bere" fu l'ultima cosa che disse prima che la morte facesse scacco matto. Una parte di me morii con lei nel soggiorno in quel giorno di novembre.
L'ansia mi assalii, cosa avrei fatto con ciò che era rimasto della mamma, e i soldi? Non potevo restare li, non potevo lasciarla li.
Urlai fortissimo, mi scorticai la gola e picchiai forte per terra per dare sfogo alla mia frustrazione poi mi passai le mani sul viso "Cazzo cazzo cazzo" dissi e mi alzai. Spaccai lo stereo, lo gettai a terra con forza e rabbia e poi salii di sopra. La banconota. Chissà se papà si sarebbe reso utile almeno ora che la mamma era morta, se quell'unica cosa sua avrebbe potuto salvarmi, salvarci. Aprii l'album delle fotografie che si trovava nella scrivania di mia madre "Bingo" sussurrai sfilando la banconota dall'involucro delle foto. Era una normale banconota da cinquanta euro, stropicciata, ma quando la voltai notai che c'era scritto un numero di telefono con la penna, era stato scritto frettolosamente. Il numero di cui parlava mamma. Tremavo tutta, feci cadere qualsiasi cosa mentre cercavo il telefono per le emergenze comprato al mercato nero. Non lo trovavo, non sapevo dove fosse. Urlai dalla frustrazione e pensai alla mamma distesa nel salotto con la morte negli occhi. Poi capii e corsi in cantina dove tenevamo i vini, era li nascosto fra una bottiglia e l'altra.
Era un telefono di un modello vecchio che non usava più nessuno se non i vecchi degli ospizi. Da quel momento la mia vita fu una corsa continua. Tornai di sopra freneticamente con la banconota e il telefono stretti nella mano sinistra. Trovai il mio borsone che usavo per scappare da una casa all'altra con mia madre, ci gettai dentro i vestiti e qualche mazzetta di soldi di quelli che mamma nascondeva nel materasso per me, per le emergenze nel caso in cui l'avessero presa. Io non avevo un piano B ma mamma lo aveva sempre avuto. Non sapevo se quello che stavo per fare era una cosa che una rapinatrice avrebbe fatto. Ero figlia di due ladri ma ancora non avevo capito come ragionassero. Presi una calibro quarantacinque dall'armadio di mia madre e la infilai tra la pelle e i pantaloni, sotto la felpa. Non avevo idea di come si usasse ma se fosse servito avrei imparato. L'ultima cosa che presi fu l'acqua e una confezione di noodles istantanei. Poi tornai in salotto dove mia madre giaceva scomposta.
Mi tremavano le mani e respiravo con affanno. Prima di chiamare il numero della banconota dovevo sistemare la mamma, lei non meritava di restare a decomporsi in salotto era stata una ladra non hitler. Aprii il telefono e chiamai la polizia, ci misero sette secondi a rispondere e a chiedermi quale fosse la mia emergenza "Mia madre è morta" dissi con voce rotta "Ho bisogno che qualcuno mi aiuti" l'agente mi tranquillizzò e mi chiese dove fossi, con il cuore in gola risposi, "Va bene" disse l'agente "Puoi dirmi come ti chiami e come si chiama tua madre?" Feci un bel respiro "Sono Berenice Muccio e mia madre si chiamava Aurora Muccio" dopo aver pronunciato quei nomi spensi immediatamente il telefono e dopo aver baciato la fronte a mia madre uscii e cominciai a correre verso i campi nel buio della sera percorsa dai brividi.
Corsi a lungo mentre l'umidità della sera mi si distendeva sugli zigomi e i miei capelli diventavano sempre più intrigati sotto al cappuccio. Faceva freddo. Quando credevo di essere abbastanza lontana per prendermi quindici secondi di pausa mi fermai alla luce di un lampione e con le dita intorpidite copiai il numero dalla banconota che poi stropicciai e misi in tasca, avvicinai il telefono all'orecchio sbattendo il piede a terra nervosa. Furono più di quindici secondi, richiamai forse venti volte, magari venticinque. Nessuno rispondeva, se quel numero era di mio padre le mie aspettative su di lui erano sempre state giuste. Un bastardo, un padre inesistente. Corsi ancora qualche metro prima di riprovare per la quarantesima volta "Dai papà ti prego" bisbigliai nell'oscurità della notte e se davvero lassù c'è qualcuno in quel momento decise di assistermi "Si?" Rispose una voce maschile dall'altro capo del telefono, deglutii e aspettai qualche secondo "Pronto?" Sollecitò "Sei...sei mio padre?" Non fu un bel modo di iniziare la conversazione, per niente. Sospirai attendendo una risposta "E tu sei? Comunque ne dubito non sono il tipo da avere dei figli, io non credo" lo interruppi con il cuore che mi ballava in gola "Io sono Berenice Muccio" attesi una risposta che tardò ad arrivare "Non so chi tu sia, ma mia madre si fidava di te a quanto pare, lei è morta e forse ho fatto una cazzata ho chiamato la polizia io non lo so ero nel panico" continuai "Un momento" mi fermò il mio interlocutore "Che cazzo hai nella testa? Chiamare la polizia? Sei figlia di una ladra o di una bibliotecaria?" Bingo conosceva mia madre. Deglutii "Io non lo so, ora mi stanno cercando intercetteranno il cellulare ho bisogno che tu mi aiuti" Avrei voluto fargli mille domande, su mia madre, mio padre, su chi lui fosse. Ma non c'era tempo. Lo sentii mugolare dall'altro capo del telefono "Per favore" lo supplicai "Non so cosa dovrei fare" avevo paura ed ero estremamente affannata "Ci sei?" Domandai "Sono qui, dove sei ora?" Ringraziai il cielo, non ero mai stata più sollevata "Nei pressi di Agrigento"-"È importante che mi ascolti" fece una pausa "Cerca di arrivare alla stazione di Agrigento bassa pensi di riuscirci senza essere presa?"-"Si penso di farcela" il cuore mi sfondava il petto "Li ti aspetterà un mio conoscente con una jeep nera, sul retro della stazione, non parla italiano quindi sali e basta e digli che sei la ragazza che ha chiamato Martìn" mi appuntai mentalmente tutte le informazioni. Cercavo di dimenticare che mia madre era morta neanche un'ora prima e che la polizia mi stava cercando, ma più ci provavo più era difficile. Sospirò "Sarai da me entro questa notte" e una volta li avrei solo dovuto cercare mio padre. "okay" balbettai "Tu sei Martìn?" Domandai "Sono io" disse con tono stanco "Grazie" mormorai tremando per il freddo e la paura "Ora corri" disse "Lascia il telefono, distruggi la scheda, elimina qualsiasi traccia" e detto questo chiuse la chiamata. In quel momento tutto stava cambiando nella mia vita, stavo provando cose che non avrei mai voluto provare, ammiravo mia madre e ciò che faceva ma io non avrei mai pensato di diventare una di quelle che vanno in giro incappucciate scampando alla polizia, non mi riconoscevo più.
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Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfiction/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...