IV

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Mentre me ne stavo li, seduta su una sedia in vimini a sorseggiare la zuppa accompagnata da un pezzo di pane di segale, capii quante cose ignoravo a partire dal motivo per cui tutti erano li. Mentre tutti parlavano e ridevano, seppur stremati, il loro animo era tinto di una pallida euforia conseguenza di quello stare insieme, erano compagni, fratelli, una famiglia; quando il Professore scese con Martìn e venne accolto da risate e da ululati che lo acclamavano nonostante le ore di viaggio li avessero stremati, la banda si sentiva felice e al sicuro se stavano tutti assieme. Guardandoli, guardando i loro volti, quasi dimenticai che ero seduta al tavolo con dei criminali, dei genii del crimine di cui io ignoravo la storia. Avevo paura lo ammetto, insomma non è una cosa che una sedicenne affronta tutti i giorni, e probabilmente avrei fatto fatica a mangiare se non avessi avuto quel vuoto nello stomaco. Tacevo facendo saltare il mio sguardo da una persona all'altra mentre parlavano e mi soffermavo sul bambino che giocava con un pezzo di pane in braccio alla madre che se ne stava appoggiata alla spalla del marito il quale si era appena risvegliato da un breve riposo che era riuscito a rubare. Stoccolma era una bella donna, dai lineamenti sottili e dolci, uno sguardo amorevole e il volto incorniciato dai riccioli dorati, non sembrava una criminale. Ma dal modo in cui si comportavano nessuno di loro lo sembrava per davvero, un uomo di classe come il Professore, una donna seria come Lisbona, un uomo così dolce come Helsinki seppur con un aspetto che forse incuteva timore. Così poi mi ricordai di mia madre, anche lei era una criminale, ero cresciuta in quella realtà e magari non sarà stata la madre modello, ma metteva me prima di qualsiasi cosa. Mi riscossi dai miei pensieri quando il Professore parlò interrompendo le risate stanche "Ragazzi oggi sarà un giorno di riposo, ambientatevi, qui studieremo il piano nei minimi dettagli, vi spiegheremo tutto a tempo debito" disse lanciando un'occhiata a Martìn. Helsinki sbattè un pugno sul tavolo facendomi sobbalzare "ANDIAMO PROFESSORE!" Esclamò ridendo "Dica cosa rapineremo questa volta" il Professore si aggiustò gli occhiali con un dito ridacchiando "Domani ragazzi, oggi prendetevelo come l'ultimo giorno di vacanza" si alzarono dei borbottii contrariati. Nessuno lo sapeva ancora, nessuno sapeva che stavamo andando verso uno dei gironi infernali. La rapina della Banca di Spagna. Il Professore diede un sorso al suo vino bianco "È un grande progetto" disse alzando un indice "Ma noi lo progetteremo nel meno tempo possibile, perché ogni giorno per Rio vuol dire un passo in più verso la morte, verso un mondo dove non trova altro che persone che gli girano le spalle" Guardò la donna dai capelli corti come avrebbe fatto un padre "Siamo qui perché devono capire che la resistenza non va in vacanza, e quando capiranno cosa stanno facendo a uno dei nostri" fece una pausa "Cosa hanno fatto alla nostra gente" disse e vidi un luccichio nei suoi occhi castani che si muovevano repentini dietro alle lenti spesse "La gente ci amerà" concluse e Martìn alzò il calice che brillò sotto il sole che filtrava dalle finestre "A una nuova avventura" disse e gli altri con sorrisi speranzosi si unirono in un coro. Anche io alzai il bicchiere pieno di sidro in quello che per me era un brindisi tinto di dolore e che peccava di quel senso di appartenenza che tutti sentivano.
Il pranzo proseguì ancora per un po' ed ebbi il tempo di gustarmi una bella insalata con degli ortaggi chilometro zero, in men che non si dica sentii l'Italia sulle mie papille gustative. Il Professore continuò a rispondere alle domande dei suoi compagni con interminabili discorsi, e persino lui sorrideva con accanto la sua Lisbona, poi mi sentii presa in causa "Domani arriveranno due nuovo membri Marsiglia e Bogotà" annunciò "Cazzo professore stiamo diventando un fottuto mappamondo" esordì Denver accompagnando la sua uscita ridendo "Tutti sono fondamentali" continuò il Professore "Tutti sono dei tasselli che servono per completare il puzzle, e questo è un puzzle di quelli da mille pezzi" disse posandosi al tavolo con le mani "Marsiglia e Bogotà porteranno le prime armi del nostro arsenale su mia richiesta straordinaria" spostò lo sguardo sulla sua compagna "Lisbona ho bisogno che tu insegni alla ragazzina a usare le armi" in quel momento per poco non soffocai con la mia stessa saliva. Lei si aggiustò la giacca  schiarendosi la voce e il Professore prese di nuovo la parola mentre la gran parte degli sguardi guizzavano da me a lui e da lui a me "Tu sei la più adatta, hai un'impostazione, sei decisa, ti è stato insegnato come usare le armi quando entrasti in polizia" le posò una mano sulla spalla "So che puoi essere all'altezza" le disse con dolcezza mentre lei annuì debolmente posando gli occhi da cerbiatta su di me mentre io mi interrogavo su come ci fosse finita dalla polizia a una banda di criminali. Decisi che era un problema secondario. Tokyo rise "Cazzo Professore insegnare a sparare a una bambina in un monastero, questo è davvero assurdo" disse spalancando le braccia. Avrei voluto ribattere, introdurmi nella conversazione ma non ce la facevo, la voce mi moriva in gola. Martìn ridacchiava, così l'unica persona da cui speravo di avere supporto se la rideva con un calice in mano. Il Professore mise una mano tesa davanti a sè "C'è un bosco a poco più di un chilometro da qui, Giacarta imparerà li, non sospetteranno degli spari normalmente cacciano in quel luogo" Tokyo accavallò le gambe "Il problema non sono gli spari Professore" continuò "il problema è che lei deve imparare, imparare" disse sottolineando il termine come a farlo risuonare estraneo alle sue labbra "Ha diec'anni Professore, ma cosa ti è preso?" Gli domandò assottigliando gli occhi. Così l'euforia di quel pranzo di benvenuto in Toscana, svanì. E io cominciai a sentirmi un problema, fu proprio così che mi sentii all'inizio come la gramigna in un campo fiorito. Lui si sistemò sulla sedia imbarazzato "Tokyo se è qui vuol dire che non è così bambina come credi" lei rise divertita "Non lo credo solo io, non stiamo andando in gita scolastica, potrebbe mandare tutto a puttane" disse avvicinandosi al Professore. Era furente, e il suo viso pallido costellato da piccoli nei era piegato in una smorfia preoccupata, con le labbra rosee e carnose contratte mentre i suoi occhi profondi perforavano il volto del Professore "Tokyo non è il caso di accogliere così un nuovo membro" lei si passò le mani sul volto gettandosi sulla sedia. Tutti tacevano. "Porteremo una minorenne dentro assieme alle mitragliatrici e ai fucili d'assalto, ma che cazzo hai nella testa" mi sentivo andare a fuoco "Tanto vale portare Cincinnati" disse facendo riferimento al bimbo che spensieratamente continuava a ridere sulle gambe della madre "Tokyo forse stai esagerando" intervenne Nairobi e la mora la guardò in cagnesco "Dovremmo dare una possibilità a bambina" disse Helsinki alzando le spalle larghe e accarezzandosi la barba. Il mio battito cominciò a tornare alla normalità "Giacarta è dei nostri" disse Lisbona "Dovrete trattarla come trattereste un vostro pari" continuò e poi spostò lo sguardo su Tokyo "E visto che ci tieni tanto verrai anche tu a sparare con noi Tokyo, così ti occuperai dei progressi di Giacarta personalmente" sorrisi lievemente. Tokyo esordì con un vaffanculo sussurrato prima di acconsentire con un trascinato "Va bene" che fece illuminare il volto del Professore. Stavo diventando una criminale e ancora non sapevo se la cosa mi piacesse o meno.

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