La notte che precedette la più grande svolta della rapina fu l'unica notte in cui riuscii a stendermi su un divano, chiudere gli occhi e dormire sei ore consecutive. Questo perché ancora non sapevo che cosa l'entrata di Rio avrebbe significato per me. Alla fine pensavo che non sarebbe cambiato nulla, l'unico motivo per cui ero entrata in quel posto era andato in fumo. In pochi giorni tutto era riuscito ad andare in fumo. Tutta la mia vita era come acqua nelle mani, che continua a scivolare tra le dita con deliziosa eleganza innocente.
Lasciai gli ostaggi a Denver, non parlavo con Denver da un po', lo guardai e lo vidi stanco e provato. Dopo giorni mi passò una mano sul capo con fare affettuoso, l'idea di riavere Rio era riuscita a portare tutti in un punto migliore delle nostre montagne russe. L'aria era meno stressata, nessun urlo quella notte. Le fornaci continuavano a gran ritmo sotto gli attenti comandi di Nairobi e nelle mani esperte di Bogotà, io e lui non riprendemmo mai quel fantomatico discorso, nacque e morì lì. Gli ostaggi riposavano sudati abbandonati a terra mentre Denver si riposava cullato dal suono della radio che talvolta friggeva in modo inaspettato interrompendo le canzoni. C'era la calma.
Riuscii a sciacquarmi il corpo e i capelli in uno dei bagni lussuosi della riserva nazionale, il bagno più lussuoso mai provato in tutta la mia vita. Com'è ironico pensare che quel bagno era il migliore che io avessi mai potuto usare, e lo usai in mezzo a una rapina, con i cecchini appostati fuori dalla finestra. Raccolsi i capelli in una coda scomposta godendomi il fresco dell'acqua che si asciugava lentamente sulla pancia e sulle cosce.
Era il mio momento ma ancora non ero riuscita ad imparare che in una rapina non esistono momenti tuoi. Momenti da "dialogo spirituale".
Martìn era stancamente posato sullo stipite della porta e aveva appena lasciato sbattere lievemente il fucile come per segnalare la sua presenza.
"È il bagno delle donne Palermo" dissi distaccata indossando gli orecchini, lui fece guizzare il suo occhio chiaro scoperto da una parte all'altra "Mi sfugge cosa mi impedisce di stare qui" borbottò con arroganza "Il fatto che potresti dare fastidio a qualche donna qui dentro perché beh" alzai le spalle "tu non sei una donna" ribadii appoggiandomi stancamente al lavandino e osservando la sua figura riflessa nello specchio. Lui riprese "Veramente io non vedo nessuno qui..." lo interruppi "Io sono una donna a cui dai fastidio quindi vattene non voglio parlarti" gli dissi e non stavo mentendo. Perché mentire su una cosa di cui mi importava? Non avevo intenzione di stare a sentire le sue scuse o le sue favole della buonanotte. Era la mia notte di sonno. Quel momento in cui per una volta ancora il sorgere e il tramontare del sole erano tornati a scandire la mia vita.
Lui però non se ne andò "Senti Berenice se ti fa sentire meglio puoi odiarmi" cominciò, sussultai a sentire il mio nome, quasi mi sembrava estraneo. Quel posto mi stava rubando l'identità.
"Io volevo solo dirti che" fece una pausa in cui si massaggiò la fronte con le dita "Io c'ero quando sei nata e loro ti hanno voluta più di qualsiasi altra cosa avessero mai voluto, eri il loro desiderio più grande" non risposi, ascoltavo e incassavo ogni colpo "E magari è vero che all'inizio ti ho tenuta con me solo perché tu sei parte di lui, ti guardo e vedo lui vivere in te" si passò le mani sul viso con frustrazione "Era la mia metà Bere, ma ora che ho la fortuna di averti qui non voglio perdere anche te" percepii lo sforzo che aveva fatto per dire una frase che lo spogliava a tal punto, ma non mi importava, come ogni volta che quel tasto veniva toccato i miei occhi divennero lucidi e vi si poteva osservare il riflesso delle luci sfarfallanti del bagno. Presi la parola umettandomi le labbra "Se si amavano e amavano me allora cos'è andato storto?"-"Le storie d'amore finiscono, non fu colpa di nessuno, ma non c'era più ossigeno per quella fiamma" disse con un tono lievemente incrinato. Con nervosismo gettai la saponetta consumata per terra e poi con movimenti repentini indossai tuta e scarponi sopra al mio top sportivo "Non me ne faccio nulla delle tue metafore di merda Martìn" fu strano chiamarlo di nuovo per nome, come facevo quando avevamo vissuto in pace. Deglutii voltandomi verso di lui "A differenza tua io guardo in faccia la realtà e sai cosa vedo?" Mi avvicinai sentendo il mio cuore battere come i colpi di una mitragliatrice "Vedo che mio padre è morto, finito, non c'è più, né in me né altrove" gli portai una mano sulla guancia per farmi guardare in faccia e assaporare tutto l'acerbo della situazione "Fallo per te e comincia ad elaborare questo lutto per quanto possa farti male" lo accarezzai con la mano tremante a causa dei nervi, lui era immobile e sofferente "Smetti di fingere che ti importi di me" lasciai cadere il mio braccio lungo il mio fianco e continuai a guardarlo ancora per qualche secondo, sembrava quasi volesse dire qualcosa, come se provasse a mettere tutto a posto senza trovare le parole giuste. Tutto era andato a pezzi non potevano esserci parole giuste, era riuscito ad avermi in pugno e a portarmi via da qualsiasi chance di vita. Forse solo una preghiera poteva sistemare le cose.
"Ora con permesso andrei a dormire Palermo" gli dissi con sguardo vacuo. In quel momento pensai a come fosse stata travagliata la relazione tra lui e mio padre, provai a immaginare ciò che si potrebbe provare ad amare un uomo che non ti ama allo stesso modo. O magari lo aveva amato altrettanto ma non aveva avuto il coraggio di mandare tutto il resto a puttane. Quanto era stato Martìn per mio padre? Erano stati come Achille e il suo Patroclo? Amanti clandestini?
Fu strano pensarlo, stimavo l'amore come sentimento ma era stato capace di rovinare tutto. Se non fosse stato per l'amore Martìn che avrebbe fatto con me? Forse non esiste risposta. Forse avrei dovuto smettere di interrogarmi. Non esistono universi alternativi. Martìn lo aveva amato più di tutto, e credetti che forse anche mio padre aveva amato lui più di chiunque altro avesse incontrato. Persino mia madre era stata un amore passeggero. Pensai che non si può smettere di amare, semplicemente si arriva ad un punto della vita in cui trovi qualcuno che ami di più, che ti da di più, Martìn aveva trovato ciò con mio padre e per quanto ne sapevo poteva essere così anche per Berlino.
"Buonanotte Bere" mi disse lui scostandosi lievemente, rassegnato, ma poi parlò di nuovo"Tuo padre e tua madre mi mancano molto" ammise mentre tentai di divincolarmi nei corridoi celati dal buio "Già anche a me" dissi ma non riuscii a sembrare vicina a ciò che lui mi aveva appena detto. Non riuscivo più a sembrare nulla. Avrei voluto chiedergli se la promessa di portarmi fuori di lì valeva ancora ma avevo appena rifiutato il suo tentativo di riparazione. Eppure sentivo che il risentimento non era più lo stesso. Me ne andai comunque. Salutai Helsinki con un cenno della testa, ah, come avrei voluto metterlo in guardia su Martìn, eppure alla fine c'era qualcosa che Helsinki ignorava? Forse qualcosa di piccolo, il resto lo conosceva ma non aveva rinunciato ad amare. Continuava imperterrito, soffrendo ma lo faceva comunque.
Vivere e amare, pensai che mio padre fosse stato una di quelle persone. Merita davvero tanto ciò che questo amore ti fa provare.
Abbandonai la testa sul bracciolo del divano di pelle sintetica, faceva caldo ed emanavo l'odore del sapone per le mani. Presi sonno almeno con la consapevolezza che non ero stata un errore di nessuno, ma ero stata desiderata. Avrebbe potuto essere una serata definitivamente peggiore.
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Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfiction/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...