Sapete che basta pochissimo per ciò che una cosa grande vada completamente a puttane?
Un soffio, un granello di polvere.
Una distrazione.
Un solo singolo attimo in cui si perde il contatto con la realtà, la distrazione viene definita come: assenza di pensiero dalla realtà oggettiva, ma a volte sarebbe più comprensibile pensando a un fiammifero che incendia un falò lasciandone solo carboni. Si perde totalmente la consapevolezza di ciò che ti accade intorno, hai un sollievo immediato perché chiudi la porta che ti conduce alla realtà dei fatti. La maggior parte dei grandi errori possono essere una conseguenza di una distrazione, non sentire qualcosa di fondamentale, non vedere quel dettaglio perché troppo presi da qualcosa che, in confronto all'errore che seguirà, è insignificante. Come dimenticare la pentola sul fuoco perché ci si perde a guardare il finale di stagione dell'ultima fiction italiana. Però spesso i problemi sono più grandi di uno stufato bruciato.
Da distrazione a distruzione il passo è breve.
E sapete perché le distrazioni si manifestano così spesso nella nostra vita e noi non esitiamo a buttarci a capofitto verso di loro? La cosa più rara nelle nostre giornate è la felicità e il modo più facile per sentirsi felici e assumere felicità in pillole di distrazione. Questo è l'equivalente della fine di molte cose con un grosso crollo silenzioso.
La mia fine si avvicinava silenziosa, come una pantera sinuosa tra gli alberi, e io non me ne accorsi. I miei ostaggi se ne stavano stesi a terra, i loro nervi crollavano, e cadevano uno ad uno come tessere del domino tirandosi giù a vicenda. I più deboli stavano già crollando. Pianti isterici, labbra tumefatte dai morsi, chi temeva di riaprire gli occhi perché il peggior incubo lo attendeva nella vita reale. Ognuno ha modi diversi di vivere lo stress, la paura, l'insonnia.
Io vivevo la vigilia della fine seduta nel mio angolo, nel nostro posto.
Non c'era nessuno, né Stoccolma, né Denver, Helsinki, Tokyo o chiunque altro. Eravamo io e Rio. Poteva mai quella sembrare la vigilia della fine?
Per me quello era come la merenda che trovano i bambini quando tornano dal parco giochi. Il momento perfetto per dimenticare la realtà oggettiva.
Lo tenevo per mano, con la mia nuca posata alla sua spalla, se stavamo in silenzio sentivo un silenzioso tum tum provenire dal suo cuore, e il suo petto che si alzava quando inspirava. Lo amavo tanto, più di quanto una ragazzina potrebbe dire di amare qualcuno.
Decidemmo di mettere da parte quella realtà di merda per cinque minuti. Ma cinque minuti diventano incredibilmente tanto quando per ucciderti bastano pochi secondi.
Meditavo proprio su quello, sulla morte, e sull'accordo che avrebbero potuto offrirmi mentre mi rigiravo la pistola tra le mie piccole mani affusolate. Avevo bisogno della mia pillola di distrazione.
"Non riesci proprio a smettere di pensarci?" Mi chiese Rio abbassandosi per cercare le mie labbra con le sue. Lo allontanai istintivamente posandogli una mano sul petto "Potrebbero vederci" tentai di dileguarmi per non interrompere le mie riflessioni che di fatto non portavano a nessun tipo di conclusione. Io ero il tipo di persona che non riesce a darsi pace fino a che non sa esattamente cosa farà nel futuro, non ero fatta per vivere il momento, vivevo di progetti e in quel momento non sapevo se il mio progetto di restare nella banca fosse ancora valido.
"Guardami" disse lui portandomi l'indice sotto al mento. Non mi mossi continuai a tracciare i contorni della pistola pensando a quanto avevano da offrirmi e a quanto avevo da perdere. Tutto ciò che avevo era lì tra quelle mura, potevo permettermi di lasciare tutto e di fare la figlia di puttana? Potevo lasciare Rio?
"Guardami Giacarta" mi prese il viso fra le mani, le sue mani mi tenevano come fossi un pezzo di vetro, erano calde e piacevoli. Ci guardammo, ci stavamo già baciando con lo sguardo. Bastarono i suoi occhi e le sue dita che mi mettevano i capelli dietro alle orecchie.
Guardarlo. Bastava guardarlo per avere la mia risposta ma in quanto ad accettarla il discorso era più complicato. Avrei almeno potuto sentire cosa avevano da dire per poi chiudere il telefono in faccia alla polizia maledicendoli e Dio solo sa cos'altro. Con Rio era cambiato tutto, mi ero resa conto di una possibile realtà che mai avevo valutato.
Repentinamente spostai la pistola sulla cassa di legno grezzo che mi stava accanto, la abbandonai lì e spostai le mie mani tra i riccioli del mio Rio. Avevo bisogno di lui e di lui solo, e sperai che spostando l'arma a pochi centimetri da me sarei potuta sentirmi come una ragazzina normale ignorando il fucile dietro alla mia schiena e le munizioni nelle casse su cui eravamo seduti.
Le nostre fronti si toccarono prima delle nostre labbra "Forse dovresti provarci, ti meriti il meglio e se loro possono dartelo" sospese la frase, il suo tono era incrinato. Rio era un'altruista e mi avrebbe lasciata andare se ciò significava farmi stare bene, parlava delle persone nella tenda, di quel continuo dilemma che mi affliggeva. Il Professore mi aveva dato una possibilità concreta. Rio non sapeva che dirmi, fidarmi delle stesse persone che lo avevano torturato notte e giorno?
"La vita ti fotte ogni giorno" trovai che le parole di Denver in quel momento calzassero a pennello "Preferisco venire fottuta qui dentro che li fuori" almeno lì avevo quella che credevo essere la mia storia d'amore, come nei migliori romanzi.
Sorrise, sorrise perché capì che io lo tenevo in considerazione nel mio dopo, che senza di lui non volevo ci fosse un dopo. Quanto mi piaceva vederlo sorridere, succedeva così di rado. Così lo baciai. La mi mente si fermò per un infinito secondo di pausa prima che i pensieri riprendessero a girare vorticosamente. Le mani, le mani mi pulsavano e formicolavano e per un attimo ebbi la capacità di immaginarmi come un'altra persona. Lo baciai e lui mi baciò, una, due e magari tre volte. Che vedessero gli ostaggi, che vedesse chiunque, noi eravamo quello ed eravamo qualcosa di bello, di straordinario. Per me lo era.
Era un necessitarsi a vicenda il nostro. Lasciarlo non era nei miei piani, e non lo sarebbe mai stato.
"Come fa a non importarti di chi sono figlia?" Gli chiesi non appena separammo le nostre labbra e mi abbandonai sulla sua spalla in un abbraccio non stretto ma che mi infondeva sicurezza e calore. Un abbraccio da innamorati.
"Come fai a pensare che possa importarmi?" Mi chiese lui stringendomi di più per quello che fu forse nemmeno un secondo "Non ti ricordi nemmeno chi fosse tuo padre ed è vero magari fra noi non scorreva buon sangue, ma io l'ho conosciuto per cinque mesi" borbottò "Cosa sono cinque mesi?" Continuò alzando le spalle, sospirai, le parole di Tokyo su mio padre mi avevano ferita più di quanto non avrebbero dovuto.
"Ora tutto il mondo sa di chi sono figlia quando fino a ieri non lo sapevo neanche io" ridacchiai con le lacrime che mi luccicavano nella parte inferiore dell'occhio "Tutto il mondo pensa che io sia una traditrice, una minorenne rovinata dai soldi" alzai le spalle "Forse è quello che sono e le persone o provano disprezzo o provano pietà per gente come me" non volevo che provassero nessuna delle due cose ma alla fine era ciò che in certi momenti io stessa provavo verso me stessa. Feci in modo di trovarci di nuovo faccia a faccia e notai che stava sorridendo "Io invece trovo che tu vada bene così come sei" per me significò tanto ciò che mi disse e riuscii a sorridere asciugandomi le lacrime con il polsino della tuta "Sei bellissima" mi sussurrò. Era ciò che desideravo da una vita intera, una vita intera passata ad aspettarlo e io nemmeno lo sapevo. Quando provi qualcosa come ciò che io provavo per Rio non ti importa di essere ricambiato. Già il fatto di riuscire a provarlo era un motivo per cui essere felice.
In quel momento in cui riuscii a sentirmi sulle nuvole in realtà mi trovavo a un passo dalla rovina e la cosa peggiore delle brutte cose è che arrivano in silenzio. Fanno talmente poco rumore che in quel momento riuscire a sentire il caos che arrivava sarebbe stato impossibile. Il lato brutto delle brutte cose è che non hai tempo per prepararti. Se non hai tempo di prepararti all'arrivo di qualcosa di distruttivo segue un'inevitabile perdita.
"Sei bellissimo" ribattei dopo pochi secondi passati ad accarezzargli il viso. Assomigliava alla libertà la sensazione che provavo in quel momento.
STAI LEGGENDO
Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfiction/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...