Mi allontanai da Helsinki dopo qualche minuto, autocommiserarmi non serviva nonostante lo facessi da una vita. La banda doveva lavorare come gli organi di un corpo, cooperare, perché se qualcosa si fosse fermato tutto sarebbe andato a puttane, magari prima, magari dopo. Mi sorse persino il dubbio che qualcosa si fosse già fermato, come quando qualcuno sbatte da qualche parte e non si accorge che ha cominciato a perdere sangue all'interno, prima piano piano, poi piano, fino a che non svieni, cadi a terra.
Mi sistemai il fucile sulla spalla cercando di controllare il respiro "Mettetevi in fila" gridai agli ostaggi che camminando a passi piccoli, passi di persone spaventate, che sembrano tramortite dalla paura, si mossero tutti "MUOVETEVI!" Intervenne Tokyo, se dovessi riassumere il rapporto di me e Tokyo durante la rapina parlerei degli sguardi che ci scambiavamo, repentini, intensi, facevo difficoltà a capire se fosse arrabbiata con me, contrariata per come imbracciavo l'arma, turbata dalla mia sicurezza o al contrario dalla mia insicurezza, o se quello sguardo che ogni tanto si incastonava coi miei occhi fosse solo un modo di dirmi "Io e te siamo parte della stessa cosa". Non lo capivo, veramente non avevo mai capito Tokyo.
Cominciai a battere una mano sulla coscia "Hop hop hop DAI FORZA IN FILA!" Cercai di essere corretta, di accompagnare chi non ce la faceva dove potevano distendersi su un divano e pensare alla loro paura stando seduti o distesi. Persone come Carla, come la signora con l'alzheimer, persone che non avrebbero retto. Sperai di essere apparsa corretta anche ai loro occhi, ma fino a che avessi avuto un fucile d'assalto agganciato alla spalla dubitai di poter sembrare in qualche modo favorevole a loro.
Sotto nel frattempo stava succedendo il putiferio, si era infuocata una delle micce della banda, Denver, Denver era entrato lì già ardente. E il nostro flipper ne era rimasto in parte vittima, nonostante le vere vittime fossimo noi. Se quella parete non si fosse aperta, se i segreti non fossero stati raggiunti, se quel letamaio non cominciava ad uscire di lì, sarebbe finito tutto.
Un suono sordo, allarme, porte aperte "OKAY METTETE LE MASCHERE METTETELE SU FORZA!" Urlò Stoccolma, stava andando avanti, stava funzionando era successo qualcosa, le porte si erano sbloccate. Scarica di adrenalina, dai piedi alle spalle, di colpo mi ritrovai con i polmoni pieni di ossigeno e i brividi su tutta la pelle.
"SIETE PRONTI? LO SIETE?" Urlai, perché io non lo ero. Gli ostaggi sarebbero dovuti uscire, fare la nostra sfilata mentre lo Stato cominciava ad affondare nella sua stessa merda guardandoci e cominciando a capire che non sarebbe stata una partita facile. Stavamo muovendo le pedine.
La finestra si ruppe, scintille mi passarono davanti agli occhi come un treno ad alta velocità "Porca puttana" sussurrai a denti stretti. Inutile dirvi che la prima cosa a cui pensai fu una bomba, pensai che eravamo stati stupidi a pensare che la polizia non avrebbe approfittato di un momento come questo.
L'aria cominciò a diventare viziata e il fumo cominciò a salire. Pregai che almeno di sotto tutto andasse come doveva andare. "Fumogeni" mi disse Tokyo, come se non fosse abbastanza ovvio, mentre i gemiti e le urla degli ostaggi cominciavano a invadere il corridoio. Anime in pena.
"STATE CALMI È SOLO FUMO" gridò Tokyo cercando di riportarli all'ordine "IN FILA CAZZO NON MUOVETEVI" mi feci largo nel fumo andando a fermare qualche pecorella fuggita al recinto. Sapevano cosa dovevano fare, avevamo garantito che ne sarebbero usciti illesi, era una promessa ma non potevo biasimarli se non ci credevano.
"NON ANCORA" gridai mentre Tokyo si sporgeva verso la finestra "CALMI CALMI" tentò Stoccolma, ma sembrava che a ogni particella di fumo impazzissero di più, la paura aumentasse. Io mi sentivo soffocare, mi domandai se fosse giusto trovarsi in mezzo a una tempesta di urla e fumogeni a sedic'anni.
"ORA" urlò Tokyo scostandosi dalla finestra come se si fosse appena scottata "ORA ORA FORZA" Stoccolma seguì Tokyo abbassandosi la maschera, la imitai aggrappandomi al fucile come si fa con un salvagente "FORZA FORZA ANDATE" li incitai vedendoli scorrere sotto ai miei occhi come un nastro trasportatore. Fui l'ultima ad uscire, dopo averli spinti come fa un pastore col suo gregge, dopo averli incitati a puntare i fucili, uscii io. Mi posizionai appoggiando i fianchi alla ringhiera sentendo il freddo del metallo trapassarmi la tuta, la cassa toracica che si abbassava e alzava in fretta mentre tenevo il fucile alto puntato verso la polizia, di sotto. Sentivo il respiro tornare verso di me a causa della maschera, sentivo caldo eppure l'aria fresca mi dava sollievo. Un sollievo momentaneo.
Aspettavo di vedere uno degli agenti del governatore uscire con i segreti come fossero una ventiquattr'ore piena di documenti barbosi. E poi davanti a me, davanti a Tokyo, a Stoccolma, al Professore...tutto sembrò crollare, o forse tutto crollò davvero per una sola singola variabile. Vidi Denver "Bandiera bianca" gridò affannato, correva con un fazzoletto nella mano, avvolto nella muta rossa e nera "Che cazzo" sussurrai trattenendo il respiro. E non lo mollai fino a che con riluttanza lanciò la valigetta contenente il loro sozzume ai loro piedi. E tutto si fermò permettendogli di rientrare. Non doveva andare così. Aveva rischiato, avevamo rischiato tutti. La speranza era l'unica cosa che ci teneva in piedi, la speranza è un rischio da correre. Forse il rischio dei rischi.
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Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfic/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...