"Giacarta disinvolta okay?" Manila mi sistemò i capelli in una coda alta mentre lei si aggiustava il rossetto, saremmo entrate assieme io e lei. Finti ostaggi. La differenza stava che poi io mi sarei rivelata per la stronza rapinatrice che li ha ingannati mentre lei avrebbe dovuto mantenere la copertura il più a lungo possibile, la sua maschera non aveva il permesso di cadere.
Erano stati due giorni in cui andavo avanti nella vita a tentoni, gattonavo nell'incertezza, nelle mie mille domande e nella mia delusione. Avevo provato, avevo provato ad alleggerirmi il cuore parlando con Nairobi ma era qualcosa di troppo mio, qualcosa che mi scatenava talmente tanto dolore e smarrimento da non riuscire a dirlo ad alta voce così le avevo raccontato che Palermo mi aveva voltato le spalle. Con poche parole coincise. Un concetto semplice e chiaro. Cercavo di ignorare il problema solo perché non volevo soffrire di più di quanto avevo sofferto quando la verità si era spogliata nuda davanti a me. Si chiama "sindrome del Titanic", ignorare i segni prodromici di fallimento perché dall'altra parte c'è uno stato d'animo migliore privo di ansia e di angoscia che ti garantisce un precario benessere. La mia vita lievitava in una finzione continua dove l'unico provvedimento che avevo preso era quello di smettere di considerare Martìn. Il genere di provvedimento che avrebbe preso una bambina di diec'anni in crisi con la migliore amica.
Mi fingevo sicura di me. Mi aggiustai il colletto della camicetta, la giacca, e guardandomi nello specchio così truccata e pettinata, sembravo una Donna. Mi aggiustai l'auricolare e il microfono attaccato al colletto della camicia ornata da dei brillanti palesemente finti. Poi con cura sistemai la borsetta, la chiusi, e poi la strinsi con la mano destra fino a far sbiancare le nocche "Dieci minuti" mi fece presente Manila controllando di non aver lasciato nulla di potenzialmente pericoloso nella stanza di quel motel. Io e lei avevamo dormito separate dagli altri, lei era la nostra infiltrata e io sarei stata troppo piccola per fingermi un soldato così avremmo vissuto come persone normali o quasi fino a che esattamente dieci minuti prima che il professore cominciasse a seminare il caos noi saremmo uscite. E poi avremmo fatto ingresso nel nostro personale girone dell'inferno indossando dei travestimenti.
Si era dimostrata una compagna di viaggio non troppo espansiva eppure piuttosto eccentrica. Bella, sicura di sé, una di quelle che vogliono avere sempre la situazione in pugno eppure non la hanno mai. Potevo dire che era il genere di persona che avrei stimato.
Mi sedetti sul letto mentre lei si appoggiò al mobile pericolante e gonfio d'umidità "Agitata?" Mi domandò "Sono stata meglio" ammisi "Io...io non so cosa aspettarmi" dissi nervosa e lei si strofinò le mani nelle mani "L'unica cosa che devi tenere a mente è mantenere la calma" grandioso, aveva scoperto l'acqua calda. Me lo diceva eppure lei era la prima ad avere i sudori freddi. La ringraziai comunque con un sorriso tirato. Mi sistemai gli occhiali da sole in cima alla testa e scambiammo ancora qualche parola stentata, la paura era la protagonista in quella stanza, noi eravamo solo di contorno. Andai in bagno e bevvi dell'acqua scoccando uno sguardo a Madrid che imponente si stagliava davanti a me. Per un attimo ebbi l'apparenza di cadere, di avere un cedimento e di lasciarmi andare a quello che avevo rifiutato di accettare, ma mi sbagliavo. Non lasciai che cadesse tutto clamorosamente, tutto continuava ad andare alla grande. Proprio così, alla grande. Stavo rifiutando la vita stessa ma andava bene così.
"Okay Giacarta due minuti, andiamo" disse Manila calandosi nel ruolo di cittadina spagnola indaffarata nella vita di tutti i giorni e aggiustandosi la borsetta sulla spalla. Così uscimmo, cercai di assumere una postura sicura, una camminata e un' espressione tale da sembrare una donna sicura di sé stessa, magari anche una di quelle ricche che si fanno mantenere. Manila mi avvolse le spalle con un braccio e così davanti a tutti diventammo due giovani donne, belle e indaffarate. Avrei voluto essere da tutt'altra parte. Rimpiangevo l'idea di una famiglia affidataria che prepara i frullati mentre i cani giocano nel giardino.
Marsiglia ci aspettava di sotto in un' auto rubata, con l'atteggiamento di un autista stufo di portare in giro gente agiata che profuma dell'ultima aroma Chanel.
"Stiamo uscendo" dissi per farmi sentire da Palermo e dal Professore che se ne stavano in ascolto collegati sulla mia stessa frequenza "Bene, ricordate entrate separatamente o potrebbero scambiare Manila per una di noi se mai scoprissero che tu sei una dei rapinatori" la parola rapinatori mi fece eco nella testa turbandomi, annuii sedendomi sul sedile posteriore dell'auto e guardando Madrid attraverso le lenti degli occhiali da sole "D'accordo Professore" non ero ancora entrata e la tensione già era alle stelle. Stavo cercando di fidarmi di un uomo che non aveva fatto altro che mentirmi per mesi, voi che avreste fatto? Io non avevo scelta per cui contai sul fatto che ci tenesse a farmi restare viva e mi fidai.
Per tutti gli attimi che precedevano l'ingresso alla banca cercai di assumere un atteggiamento sofisticato, elegante, facendo finta di non essere tesa. Che tutto quello che stava succedendo era perfettamente prevedibile. Ma non era vero, beh dopotutto era tutto così finto che una bugia in più non avrebbe fatto male a nessuno.
Manila entrò e io rimasi nell'auto per qualche minuto, quando sarebbero cominciati a precipitare i soldi sarei entrata, sgattaiolando nel caos, cercando di bypassare i controlli all'ingresso. Avevo il cuore in gola.
"Giacarta" era il Professore che friggeva nel mio orecchio come una mosca fastidiosa "Come stai?" Domandò dopo qualche istante di pausa, valutai di non rispondere "Sto bene" dissi con distacco attivando il ricettore audio sotto al colletto e mi misi il lucida labbra guardandomi nello specchietto dell'auto "Sei pronta?" Mi domandò, non era il momento di fare il padre premuroso così risposi "Sono pronta, chiudo" e disattivai la microspia.
Quando la gioia e l'euforia raggiunsero uno dei passanti che casualmente si ritrovò con centinaia di euro che lo travolgevano io stavo già scalando la scalinata della banca. Il cuore mi batteva così forte che in quel momento avrei potuto vomitare ma sorrisi e continuai a calarmi in quello che era il mio ruolo.
A poco a poco ci fu il caos, lo ricordo bene. La gente urlava, si faceva male pur di arraffare i soldi e le urla e l'euforia raggiunsero l'interno della banca e la raggiunsero ancor di più quando il volto del Professore comparse su tutti gli schermi del centro di Madrid. Combatteremo. Disse proprio così, e mentre tutti i componenti della sicurezza andavano verso la loro personale trappola per topi io riuscii a entrare, superai i controlli che furono fatti superficialmente mentre la sicurezza comunicava con sguardi carichi di panico senza prestare attenzione a cosa ci fosse o a cosa non ci fosse davanti a sé. Scambiai uno sguardo rapido con Manila che recitava la sua parte in modo impeccabile e cominciai ad accettare l'idea che lo spettacolo fosse iniziato.
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Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfic/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...