Bogotà si mosse verso il nostro arsenale, seguito da Denver e da Stoccolma che lanciò uno sguardo languido a Tokyo scusandosi, ma nessuna scusa avrebbe potuto spegnere la miccia di una come Tokyo. Stava provando la stessa sensazione che io conoscevo bene, tutto intorno a lei tremava, un terremoto magnitudo cinque. Vide plasmarsi davanti ai suoi occhi la possibilità che Rio non entrasse, che per punizione ci avrebbero portato allo stremo senza darci ciò che desideravamo. Ci avrebbero trattati come dei cani randagi in un canile.
Mi morsi l'interno delle guance e a malincuore seguii Nairobi verso il tavolo dell'arsenale sotto quel che rimaneva dello sguardo soddisfatto di Palermo. Sfiorai con la mia mano quella di Tokyo mentre Nairobi cercava di risollevarla dal baratro con tono rassicurante, mi sembrava di averla pugnalata alle spalle, dopo che lei aveva cercato di difendermi io non la stavo aiutando a non affogare. Non le stavo tendendo nessuna mano.
"Mi dispiace Tokyo, non è ancora tutto perduto" le dissi con un tono che suonava colpevole, perché infondo, la colpa in parte era mia. Quanto poteva valere una frase così detta da me?
Per quanto potessimo essere una squadra, chi aveva premuto il pedale dell'acceleratore fino a quasi schiantarsi ero stata io. I suoi occhi erano lucidi di lacrime acerbe, premature, il collo le brillava di sudore e le mani le tremavano mentre sfiorava il fucile che portava agganciato alla spalla. La sua storia d'amore non stava andando verso un lieto fine, e quando si parla d'amore non ce lo si aspetta mai, eppure il lieto fine lo hanno solo le principesse negli stupidi film della Disney. E talvolta nemmeno lì.
Arrivai al tavolo e Palermo mi fermò mettendomi una mano sul polso, con decisione "Sappi che ho apprezzato il tuo moto di altruismo" borbottò "Ammesso che fosse altruismo e non un modo di pararti il culo" mi liberai dalla sua presa con fare stizzito "Volevo smettere di creare problemi, liberarti dal peso del tuo fottuto bagaglio emotivo" risi nervosa mordicchiandomi la lingua e passando le dita affusolate e magre sulle armi che mi si presentavano davanti. Era come dare una Lamborghini a un bambino, non avrei saputo che farmene di armi come quelle.
Lui fece una risatina che appassì subito "Ringrazia che qui dentro in qualche modo ci tengano a te" lo disse come se per lui contassi ben poco. Come se fossi dentro nell'interesse degli altri, non nel suo. Stronzate. Così non risposi, cercai di trovare l'arma più maneggevole e meno letale. Una che si adattasse bene al mio fisico gracile, una che sperai di non dover usare. Nairobi mi aiutò mettendomi tra le braccia un fucile d'assalto elettrico e passandomi successivamente la mano sui capelli con un'occhiata materna.
Cercai negli angoli più remoti della mia testa la sicurezza idonea ad imbracciare una bestia simile, ma mi fu difficile. Infondo io non avevo mai voluto fare del male a nessuno, e mai pensavo che l'avrei fatto, eppure in quel momento, come quando si soffia su un castello fatto con le carte, partendo dall'alto tutto crolla con un tonfo silenzioso, ogni cosa meticolosamente programmata si rivela un enorme flop. Era stato tutto un continuo e unico flop.
A partire da quella che sarebbe dovuta essere la ricerca di mio padre, poi il litigio con Martìn, la brama di consegnarmi, la paura di farlo, la paura di non averlo fatto, cercare di rimediare agli sbagli fatti è come cercare di riparare un bicchiere di cristallo con la colla attack. Un fallimento clamoroso. Cercare di riparare i danni causati da errori di questo calibro sarebbe solo un ulteriore passo verso la forca dell'umiliazione.
"Bogotà tieni d'occhio la ragazzina non vorrei che avesse qualche altra bella idea" borbottò Palermo passandomi un pollice sullo zigomo frettolosamente con un sorriso melenso, lo zigomo che ormai aveva assunto un colorito violaceo tendente al verdognolo, fu un movimento sbrigativo, come tutti quei contatti minimi che avevamo avuto nelle ultime ore. Tutti quei contatti fugaci che erano seguiti allo scoppio della granata che ci aveva mutilati. Tentava di parlarmi senza riuscire nell'impresa di mettere da parte l'orgoglio e viveva immerso in questa angoscia costante di avermi persa, di aver deluso Andrés, di aver perso la sua occasione. E io invece, io avrei voluto riavere ciò che non avevamo più, avrei voluto tornare ad avere contatti meno fugaci con un Martìn che ormai non c'era più, era stato ridotto a brandelli dalla bestia che era il dolore.
Così lui si nascondeva nel buio e io lo cercavo senza accendere la torcia.
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Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfiction/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...