Ciò che avevo con Rio era qualcosa che mai avevo avuto prima. Qualunque cosa fossimo fu tutto ciò che mi teneva a galla in quel momento. Ogni contatto persino il più fugace, le sue dita sulla mia pelle, e le sue labbra, bruciano ancora su di me, ardono ricordandomi gli unici attimi in cui mi sentivo in grado di gestire qualcosa. Due adolescenti innamorati non erano mai stati più maturi e più innamorati di come lo eravamo noi. O almeno di come lo ero io, perché tutt'ora mi piace pensare che io mi fossi innamorata per la prima volta così: d'improvviso. Non avevo deciso, era successo e basta, un po' come morire, succede e tu nemmeno te ne accorgi e poi o sei salvo o sei dannato.
Eravamo entrambi così fragili, ma lui riusciva a rendermi più forte di quanto non fossi mai stata. Mi arricchiva senza accorgersene ed era uno dei suoi più grandi pregi. Furono i miei attimi di gloria in quelle mura. Nonostante gli ostaggi, nonostante Martìn, nonostante tutta quella merda. Riuscii a rendermi conto che io non valevo meno di nessuno, che ero pari a tutti gli altri e tutto semplicemente grazie al mio dolce Rio.
Vivere una storia d'amore durante una rapina non era mai stato nelle mie aspettative, ma a dire il vero nemmeno la rapina era mai stata una di queste. Nulla di ciò che stavo vivendo era mai stato nei miei programmi, perché i programmi alla fine vanno sempre a puttane. E soldi e amore sono degli ottimi motivi per mandare a puttane qualsiasi cosa. Forse non ero poi così diversa dal tipo di persona che era stato mio padre, una persona la cui vita essenzialmente ruotava attorno all'amore e ai soldi.
In realtà la vita di tutto il mondo ruota attorno ad amore e soldi, ci sono persone che si innamorano per soldi e persone che perdono soldi per amore, perché gli umani sono patetici, meschini e finiscono per inciampare nell'ipocrisia, ma un'ipocrisia che non fa scalpore perché alla fine finiscono per essere tutti uguali.
Ecco, la mia vita e quella dei miei compagni non era come la vita di quei poveri ostaggi stesi li a marcire sul marmo fatta di amori che nascono davanti ad un caffè e soldi della busta paga, ciò che avevamo noi era un amore vissuto di petto, impetuoso, ricco di fervore e preso così come viene dove non c'è tempo per l'appuntamento al bar di quartiere , e poi ci sono i soldi, tanti soldi, soldi che solo gente come noi poteva volere: professionisti e amanti dell'arte del crimine, che era ciò che pur non volendolo ero diventata.Nairobi mi fece presente numerose volte la rottura che Tokyo e Rio avevano appena affrontato, ma io mi resi conto solo quando mi ritrovai a un palmo di naso da Tokyo che il motivo per cui Nairobi si era ostinata a ripeterlo così tante volte non era per ricordarmi la fragilità di Rio. Ma quella di Tokyo.
Nairobi non aveva mai temuto le scelte di Rio, ma la reazioni che queste scelte avrebbero provocato. Tokyo era una bomba, una bomba che esplodeva e ripartiva in continuazione, senza fine. Viveva nell'esagerazione, viveva prendendo decisioni di pancia. Viveva con la paura di non vivere abbastanza ciò che andava vissuto, con la paura di perdere, con l'ansia di restituire il dolore che lei provava. Tokyo era una leonessa, agiva secondo il suo istinto portandoti a chiederti se lei avesse sbagliato o se tu eri sul punto di sbagliare più di quanto non avesse fatto lei. Non seppi nemmeno se dire di biasimarla nel momento in cui me la trovai a pochi centimetri, con il suo respiro che batteva sul mio collo, e la sua mano intorno al mio polso. Infondo io come avrei reagito se mai avessi subito una perdita come quella che aveva subito lei?
Rio si era allontanato con quel sorriso innocente e gli zigomi arrossati per colpa delle lacrime salmastre che aveva soffocato contro la mia spalla. Era andato a prendere un tramezzino ai distributori automatici, come avremmo fatto in un liceo durante l'intervallo. Era così bello eppure così sfiancante avere la capacità di immaginare ciò che saremmo stati se non avessimo sbagliato rendendoci criminali ricercati.
Così rimasi da sola con Tokyo nel mezzo dei corridoi sofisticati dall'odore nauseabondo di formaldeide che ormai associavo in modo irreversibile alla paura, alla pressione, a una felicità celata. Temevo che, proprio come una vera leonessa, mi avrebbe sbranata pur di proteggere il suo cucciolo.
"Tokyo" dissi in un sospiro cominciando a sudare in mezzo alle scapole "Devo dare il cambio a Stoccolma sarà stanca" tentai come una stupida di dileguarmi da quello che sembrava un irreversibile omicidio. La gelosia, il dolore, sono i moventi più quotati.
"Che ti piace di lui?" Me lo sussurrò all'orecchio come se le pareti stessero in ascolto, era il suo solito tono tinto di un'amarezza insolita, soffriva anche lei.
"Di che stai parlando Tokyo?" non mi riusciva bene mentire, tutte le volte che avevo provato a mentire si era rivelato un enorme flop il cui unico risultato era stato quello di mettermi in imbarazzo facendomi sembrare una cacasotto egoista. Non volevo accadesse di nuovo.
"Ah Giacarta" sospirò lei allontanandosi di qualche passo per girarmi intorno. Eravamo sudate e lei emanava l'odore soffocante dell'alcol che era andato a disidratarle le pareti della bocca. Tutte le bottiglie del governatore che lei aveva bevuto nella speranza che cancellassero tutto. Riponiamo così tanta fiducia nell'alcol, e in quel momento sentivo di avere bisogno di un bicchiere ghiacciato di qualcosa di amaro che mi incendiasse l'esofago. Era quasi esilarante pensare che Tokyo soffrisse così tanto per la fine di una relazione e che stessimo per litigare proprio per una questione che in quelle circostanze sembrava così futile.
"Di che sto parlando? Non fare la stupida" mi disse giocherellando con il velcro della fondina "Non faccio la stupida" dissi sulla difensiva, con lei bisognava stare sempre sulla difensiva, qualsiasi conversazione con Tokyo era costituita da un attacco e una conseguente difesa.
"Allora?" Riprese "Io mi sono innamorata del sorriso, quel sorriso da bambino" bisbigliò sfiorandomi il labbro inferiore con il pollice. Mi sentivo paralizzata. Avrei voluto sparire, ma l'unico posto in cui sarei voluta andare era fuori di lì e sfortunatamente era un'idea a dir poco irrealizzabile.
"E poi i suoi ricci dove passi le dita" continuò, si fermò a pensare e notai che gli occhi le si inumidirono. I ricordi fanno male. "Ah facevamo certe scopate, ogni volta era la scopata del secolo e tu? Dimmi" fece una pausa afferrandomi il mento per far si che la guardassi negli occhi resi torbidi dall'alcol e dal sonno "Scopate? Scopate bene?" Per un attimo mi sentii incapace di proseguire su qualsiasi strada. Pensai di dirle tutto di reagire come una ragazzina sciocca, ma ero davvero pronta a rinunciare a tutto solo per paura di Tokyo? Che differenza avrebbe fatto qualcuno in più che li dentro mi odiava?
"Penso che non siano affari tuoi" avevo appena sparato il mio unico colpo in canna. Lei rise portandosi una mano al volto, era una risata tirata e volutamente esagerata "Uh che paura" mi prese in giro lasciandomi il viso "Pensi di risultare autoritaria?" Mi chiese "Avanti non ti fidi di me? Una conversazione così" alzò le spalle "Da amiche" disse afferrandomi il colletto della tuta. Mi maneggiava come fossi un fottuto pupazzo dello spettacolo di marionette del quartiere.
Mi rosicchiai l'interno delle guance lasciando che il fucile mi dondolasse vicino al fianco "Da amiche eh?" Le chiesi con tono acerbo, dirle una qualsiasi cosa di tutto ciò che accadeva tra me e Rio sarebbe stato come darle una pistola carica in mano. Ma ciò che mi preoccupava di più era che lei aveva già una pistola carica nella fondina e io non volevo darle nessun motivo per poterla usare. Tuttavia in quel momento mi trovavo al limite, e tutto era già andato a puttane. Pensavo che le cose non potessero andare peggio.
"Ad essere sincera, se lo vuoi sapere scopiamo da Dio" le sussurrai giocando al suo stesso gioco. Era ferita ma le donne come Tokyo non lo darebbero mai a vedere, quando sono ferite sputano veleno "Ti diverti vero? A fare la puttana con il mio ragazzo?" Mi chiese. Era come una gara a chi sparava mirando meglio "È così, fai la puttana e ti approfitti del fatto che lui si butterebbe fra le braccia di chiunque, è questo che fai" mi disse alzando le spalle.
Non c'era neanche un rumore a parte i nostri respiri e l'ossitocina che aleggiava nell'aria. L'ormone dell'amore, l'ormone dell'invidia, della gelosia.
"Penso che Rio non sia stato obbligato a fare nulla, non è più il tuo ragazzo Tokyo" Le ricordai "Vi siete lasciati e non sei più tu a decidere della sua vita, penso sia grande abbastanza" parole come quelle che uscivano dalla mia bocca ancora piene di spigoli, grossolane, sembravano inadeguate "E tantomeno ti do il permesso di decidere della mia vita" sperai che tutto si chiudesse lì. Un paio di colpi secchi e basta. Ma la gelosia non è mai questione da pochi colpi secchi più da coltellate che vanno sempre più in profondità. Un continuo sfilare e infilare la lama.
"Sei così ingenua" riprese dondolando sui suoi piedi "Pensi di potergli piacere, pensi che lui provi qualcosa per te" aveva gli occhi che le brillavano di lacrime premature "Che si possa innamorare di una stupida ragazzina, che dopo di me possa esserci tu" scosse la testa "In che mondo vivi ragazzina?" quasi mi rifiutai di sentire. Non volevo che anche l'unica cosa bella che avevo in quel momento diventasse merda. E se ciò che mi stava dicendo era la verità, allora non volevo saperlo. La verità mi aveva sempre fatto soltanto male.
"Non accetti che per una volta lui abbia scelto me al posto di te" dissi con voce incrinata "Una sola singola volta in cui ho qualcosa che tu non hai e devi reagire così" alzai le spalle passando una mano nei miei capelli salmastri di sudore "Comincio a chiedermi se forse non sia tu quella che reagisce da ragazzina" accusare Tokyo di essere immatura fu una delle cose più azzardate che avessi mai fatto. Quello fu il vero bum, che in quel momento fece più rumore di qualsiasi colpo di pistola.
Così lei reagì da leonessa e attaccò.
"Penso che io e te non riusciremo mai a stare dalla stessa parte, sembri tanto carina" fece una pausa "Innocente" continuò "Sembra che tu sia cresciuta nel fottuto paese dei balocchi" con uno scatto rapido sfilò la pistola dalla fondina in un gesto che aveva come unico scopo quello di renderla superiore a me in quel momento "Ma alla fine tu sei quella che fotte tutti, quella che mi ha fottuto il ragazzo, una figlia di puttana" di riflesso presi la pistola tenendola stretta tra due mani, sudate, tremanti. Non volevo puntare la pistola contro nessuno tantomeno contro uno dei nostri per questioni di cuore spezzato, ma la nostra vita è un grande paradosso non è forse così? Pensi di non voler fare una cosa, e mentre lo pensi la stai già facendo.
"Com'è che si dice? Tale padre tale figlia" disse alzando un sopracciglio.
Tirare in ballo mio padre fu da figlia di puttana, aveva fatto centro.
"Dimmi Giacarta, te l'hanno presentato come l'uomo migliore del mondo non è così? Premuroso, autoritario, rispettabile" si avvicinò a me posandomi la canna della pistola sulla pelle appena sotto al top sportivo "Un vero leader" mi sussurrò all'orecchio costringendomi a puntarle la canna della pistola al ventre "Quante stronzate" continuava imperterrita saltando su quello che era un campo minato lasciando cadaveri su cadaveri alle sue spalle "Non fare la figlia di puttana Tokyo, mio padre non c'entra nulla adesso" la mia espressione era cambiata ormai mi aveva colta nel segno, avrebbe fatto retromarcia ma se il suo obbiettivo era farmi sentire vulnerabile rispetto a lei aveva fatto bingo.
"Forse hai ragione" borbottò mentre sentivo il freddo della pistola premere contro la mia pelle sudaticcia "Ma credo che tu non abbia capito che puoi giocare con tutti qui dentro ma non con me ragazzina" uno scatto sordo e caricò la pistola.
Persi un battito.
"E visto che non ti conviene giocare con me devi lasciar stare Rio" sudavo, sudavo con le gocce salmastre che mi grondavano scivolando leggiadre sul pallore della mia pelle. Chiusi gli occhi migliorando la presa della pistola, mi umettai le labbra restando in ascolto dei nostri respiri e delle voci che echeggiavano lontane. Nairobi, Denver.
Cercai la calma che non trovavo da giorni ormai, e con ingenuità sperai di poterla trovare in quel momento.
"Rio non ha bisogno di te che gli faccia da mamma, sa cosa sta facendo" la spinsi con l'avambraccio con l'immediato sollievo di non sentire più la pressione della pistola sotto le mie costole "E io so cosa sto facendo" caricai la pistola a mia volta, se lei giocava sporco pensai di poterlo fare anche io "E sai, Rio era pienamente in sé anche quando ti ha lasciata" alzai le spalle asciugandomi la fronte dal sudore con il dorso della mano "Non c'è nulla che sia andato storto in questa storia, solo tu che non riesci ad accettare che qualcuno ti abbia ferita prima che riuscissi a farlo tu" era come se le stessi risputando in faccia tutti i colpi bassi fatti da lei pochi minuti prima, dopo averli masticati e assaporati "Non ti sto chiedendo molto Tokyo" confessai "Solo di lasciarmi essere felice e di non intrometterti in cosa faccio io qui dentro" glielo dissi con un tono che sapeva quasi di supplica, la stavo supplicando di lasciarmi godere l'unica cosa che avevo lì dentro. Lei aveva gli zigomi umidi, e altre lacrime stagnanti in gola. Sapevo quanto tutto ciò stesse bruciando dentro di lei e in cuor mio mi dispiaceva, forse solo ora me ne rendo conto di quanto in realtà mi dispiacesse perché in quel momento con le pistole puntate una contro l'altra credetti soltanto che fosse una figlia di puttana. L'ultima frase che rimase ad aleggiare tra noi due prima che arrivasse Nairobi probabilmente ancora adesso la sentirei risuonare nel corridoio, nonostante in quel momento non fece eco e ricadde pesante su sé stessa. Mi disse semplicemente "Forse mi stai chiedendo troppo" e magari aveva ragione, chiedere la felicità in un posto di merda come quello era chiedere troppo. Quello non era posto per essere felici perché appena riesci ad esserlo c'è qualcosa che ti riporta immediatamente alla realtà.
E di solito non accade dolcemente.
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Ay, mi niña -Casa de papel fanfiction-
Fanfiction/cam·bia·mén·to/ Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno; La giovane Berenice Muccio aveva atteso per anni che la vita le aprisse un'uscita alternativa da ciò che lei e la madr...