❝ 𝐂𝐡𝐚𝐩𝐭𝐞𝐫 𝟑𝟖 ❞

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Mezzi nudi sul divano
con un joint in mano
tu mi hai chiesto piano
da quanto scopiamo,
fuori c'è già il sole, penso
tre o quattr'ore, sembra che
le pare così le scordiamo.
Sì ma non ti dico "Ti amo"
se no va a finire che poi
ci scottiamo, è già successo
e ce lo ricordiamo, non ci penso,
fumo e non mi sento mezzo cranio,
ci siamo già fatti, sì fatti di brutto,
sì ci siamo fatti di tutto ogni notte,
matti, martiri in punto di morte.
Sì chi se ne fotte degli altri,
ne sanno ben poco, ridono,
fanno le foto, io per una notte
con te mi dò fuoco, butto giù
le porte, mi lancio nel vuoto
anche se siamo soli.

(Il Momento,
MadMan)

LORENZO'S POV

Troppo. Troppo. È tutto troppo. Il caldo che si appiccica alla pelle, i suoi capelli che mi avvolgono le braccia come tentacoli, le parti del suo corpo scoperte. Non riesco a gestire tutto ciò di colpo, non dopo i mesi passati a non toccarla, tanto che per qualche istante rimango quasi immobile.
Poi mi morde il labbro, mandandomi una scossa giù per tutta la colonna vertebrale. Mi riscuoto di colpo, la sollevo per i glutei senza troppi complimenti e la appoggio sul tavolo.
Apre le gambe avvolgendomele intorno mentre io faccio scorrere le mani ovunque, divorato dalla voglia di sentirla. Le accarezzo le cosce, i fianchi, la schiena inarcata.
Mi stacco dalle sue labbra a fatica solo per iniziare a baciarle il collo, il petto e la spalla, proprio lì dove è caduta quella fottuta spallina dando il via a tutto.
La sento respirarmi contro all'orecchio annebbiandomi i sensi, affondo i denti appena sopra la clavicola prima di passarci sopra la lingua. Lei mi pianta le unghie nelle spalle in modo doloroso e piacevole al tempo stesso, inclinando la testa all'indietro per lasciarmi più libertà di movimento. Quando mi stacco sulla pelle nivea spicca un segno rosso scuro, di un colore simile a quello dei suoi occhi in questo momento.
Mi rivolge uno sguardo così liquido e intenso che per un attimo sono tentato di spogliarla qui sul tavolo.
Il briciolo di lucidità rimasto in me però mi fa notare la scomodità di questa idea, così la sollevo nuovamente per il fondoschiena e con le labbra incollate alle sue arrivo - chissà come - al divano del soggiorno. La sola idea di fare tutte le scale fino alla sua camera è assurda, oltre che quasi spaventosa. Questo momento risulta come una vampata enorme, per cui non voglio perdere tempo prezioso prima che finisca il combustibile.
Cadiamo letteralmente l'uno sopra l'altra; infilo le mani sotto la sua canottiera per poi sfilargliela, sentendomi morire quando mi separo da lei.
La vedo sotto di me, illuminata dalla luce soffusa dei lampioni fuori, con la pelle che brilla nella penombra segnata dai miei baci e le labbra gonfie, nuda ad eccezione degli slip.

Sono in paradiso.

Si riattacca a me con uno slancio inaspettato attirandomi contro di sé, probabilmente per impedirmi di guardarla ancora. Con le labbra ormai anestetizzate da quanto forte ci siamo baciati inizio a soffermarmi su ogni centimetro del suo corpo, gustandomi questo momento come un esploratore che dopo anni di ricerca ha finalmente trovato l'isola che cercava e si appresta ad scoprirne i segreti.
La segno ovunque. Collo, petto, seno, pancia, ed ogni bacio o morso che lascio è un cerotto per le sue ferite aperte, è uno "Scusa" per i miei errori. Le mie mani sono ormai fuse con la sua pelle, dubito riuscirò mai a staccarle. Lei respira in modo affannoso e mi tira i capelli quando mi soffermo sul suo seno con meno delicatezza per poi contorcersi sul divano, incapace di stare ferma.
Quando arrivo al pizzo dell'intimo alzo la testa in cerca di una conferma definitiva, attorcigliando i pollici intorno ai due lembi di stoffa in corrispondenza delle anche. Il suo sguardo parla da solo. Un attimo dopo non ha più niente addosso se non la mia bocca, e io non ci capisco più niente. Con le dita affondate nelle sue cosce la sento iniziare a gemere in modo più esplicito, inarcando la schiena come a volersi avvicinare mentre i suoi pugni stringono il rivestimento del divano.
Ad ogni gemito un decilitro di sangue abbandona il mio cervello per fluire verso il basso, tanto che mi sento girare la testa. Inserisco un dito. Poi due. Poi tre. Non ho paura di fare la cosa sbagliata - perché so che se qualcosa non andasse me lo direbbe - né quella di non essere all'altezza, solo una voglia indescrivibile di sentirla mia.
Quando non riesco più a trattenermi mi stacco con il fiato corto, lanciandole un'altra occhiata più di supplica che di conferma. Lei annuisce appena, con il labbro rosso quasi come i suoi occhi da quanto se l'è morso. Mi prende la testa e mi avvicina di nuovo a sé, sfilandomi pantaloncini e boxer in un colpo solo.
Poi mi fermo, realizzando un problema. Un problema enorme. La sola idea di fermarmi qua mi fa sentire fisicamente male, ma al tempo stesso so che non è una mancanza trascurabile. Ma Chiara si china, infila il braccio sotto al divano e dopo alcuni secondi estrae un preservativo dall'incarto un po' polveroso.
Le lancio uno sguardo interrogativo, ricevendo in risposta un'alzata di spalle.

𝐃𝐞𝐯𝐢𝐥 𝐦𝐚𝐲 𝐜𝐫𝐲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora