5. Gesto di galanteria

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Erano le 17.00 passate e gli universitari tornarono a casa dalle proprie famiglie, con in testa l'idea di un piatto pronto a tavola. Tutti, al cantare della campanella, si fiondarono fuori dalla cancellata, tutti tranne Alessia che era stata l'ultima ad uscire, ma la prima a volersene andare.
Le ultime ore non erano state una passeggiata per lei, anzi. Si sentiva stanca e umiliata, dalle tante urla che si è presa lì dentro, lì dove i ragazzi dovrebbero dirigersi ed entrare con passione e serenità. Aveva un mal di testa atroce e la cosa peggiore era che la sua giornata non era ancora finita.
Si sarebbe dovuta dirigere all'ospedale, per il suo turno da volontaria, ma non ne aveva le forze, voleva tornare a casa, buttarsi sul letto e staccare la spina, ma si impose di non dare retta ai capricci che le torturavano la mente e così, a testa china, si diresse verso la fermata del suo bus che portava all'ospedale, ignara della compagnia che avrebbe trovato.

-Niccolò?- domandò notando la sua figura poggiata al palo della fermata con lo sguardo distratto verso il cellulare che reggeva tra le mani.

-hey ciao- salutò alzando lo sguardo e mettendo via il cellulare, preoccupandosi quasi inconsciamente delle condizioni della ragazza che, per quanto normali potessero sembrare, celavano un dettaglio che al ragazzo non sfuggì: il sorriso spento sulle sue labbra candide e carnose.

-tutto bene?- le chiese infatti, stupendosi di quei pochi minuti di silenzio che la ragazza non avrebbe mai, mai lasciato scorrere in precedenza

-certo! Perché me lo chiedi?- rispose prontamente con tono acuto, come per simulare l'entusiasmo nella voce, che però si mostrò un tentativo fallimentare.

-com'è andata a scuola?- le pose una domanda che un normale fratello farebbe alla sua sorellina, o che un genitore farebbe al proprio figlio, eppure loro due non rientravano in nessuna delle precedenti categorie.

-come al solito- rispose brevemente con un'alzata di spalle, fin troppo brevemente per i gusti del moro

-tutto qui?- esclamò stupito

-non hai nient'altro da dirmi? Non ti va di raccontarmi...che so...delle sceneggiate che ha fatto la tua prof di biologia, o di che colore erano le pareti o di qualsiasi altra cosa ti passi per la testa?- domandò ancora più stupito e al col tempo preoccupato. La "conosceva" da soli due giorni, ma quel silenzio improvviso e quello sguardo spento, l'avevano subito portato a pensare a delle possibili problematiche che la ragazza aveva potuto avere durante la giornata.

-no, ti annoierei e sinceramente penso che...ecco...no dai, lascia stare. È un mio problema dopotutto- quella frase, se pur detta innocentemente aveva fatto scattare una scintilla d'ira e fastidio nel ragazzo, il quale venne subito accecato da alcuni flash del passato.

-Perché non me l'hai detto?-

-era un mio problema, non tuo!-

-non capisci che OGNI TUO FOTTUTO PROBLEMA È ANCHE MIO?-

-ora me lo dici!- rispose alterato, distogliendo subito dopo lo sguardo per il tono brusco che aveva usato

-semplicemente nell'ora di biologia ho avuto non poche difficoltà, la professoressa mi incuteva terrore, sono stata derisa e sbeffeggiata da alcuni cretini che sedevano con me in classe e... Che altro? Ah già uno di loro ha anche detto che parlo troppo e che farei meglio a tacere una volta tanto. Non so cosa io abbia detto per infastidirlo così tanto, gliel'ho chiesto e lui ha risposto che era un problema generale e che quindi lo pensavano tutti. Così io ho pensato alle persone con cui ho a che fare di solito e anche a te, e ho pensato che magari i miei complessi e i miei argomenti potrebbero risultarti inutili e noiosi e...ecco oddio lo sto facendo di nuovo! Sto parlando troppo, vero?- raccontò tutto d'un fiato, sotto lo sguardo scioccato del ragazzo che la fissava stranito da dietro le solite lenti nere.

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