12. Dimenticare

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Io cerco solo di capirti
E la notte non ci dormo
Se soltanto avessi pace saprei essere come loro...

Era sabato e mentre il resto della popolazione colse l'occasione per uscire e divertirsi con gli amici, per Niccolò non era cambiato assolutamente niente

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Era sabato e mentre il resto della popolazione colse l'occasione per uscire e divertirsi con gli amici, per Niccolò non era cambiato assolutamente niente.
Dopo la gita all'ospedale fatta con Alessia si sentiva più legato a lei, certo in senso di amicizia, cominciava a provare un senso di simpatia nei suoi confronti, ma era comunque legato in qualche modo a lei e questo lo spaventava.
Dopo la tragedia che si portò via l'unica forza della sua vita, si era ripromesso di non affezionarsi più a nessuno, in modo da non poter soffrire quando sarebbe giunto il momento degli addii, perché prima o poi gli addii arrivano sempre.
Aveva 7 anni quando disse addio per la prima volta a suo nonno; e aveva 19 anni quando disse arrivederci a Wendy.
Si rifiutò categoricamente di dirle addio, perché come cita Peter Pan nel suo cartone preferito: "addio vuol dire andare via, e andare via significa dimenticare" e lui non voleva dimenticare.
Non voleva dimenticare le notti in cui le accarezzava i capelli rossi per addormentarsi, mentre le cantava "La cura" di Battiato nell'orecchio; non voleva dimenticare i risvegli la mattina accanto a lei, non voleva dimenticare i "bu" con cui lo svegliava e non voleva dimenticare il nervoso che provava ogni volta che lo faceva. Non voleva dimenticare i baci rubati durante il lavoro, l'amore sotto la doccia e le liti in macchina.
Non voleva neanche dimenticare il retroscena macabro che la loro vita perfetta nascondeva. Le terapie intensive, le cure a base di chemio, le lacrime, le urla, il fiato che veniva a mancare, i pugni serrati, la pressione bassa e gli occhi stanchi. Non si sarebbe mai potuto dimenticare nemmeno una singola cosa di ciò elencato in precedenza. Questo perché dimenticarla gli risultava difficile, quasi impossibile.
Ogni volta che ne sentiva la mancanza si dirigeva al cimitero per farle visita e le raccontava la giornata, come faceva quando la ragazza si trovava in ospedale. Se il tempo non permetteva, si limitava alla scrittura. Scriveva di lei, parlava e raccontava di lei, di loro. Wendy lo aveva aiutato a darsi lo slancio nel mondo della musica, ora toccava a lui prendere il volo.
Avrebbe fatto il possibile per non perdere il posto di lavoro, lavorare in quel locale gli faceva vivere le sere in cui suonava in sua compagnia; gli faceva respirare la stessa aria; lo faceva sentire ancora vivo, persino quando di vivere non gli andava proprio.

Prese un sospiro e in tutta fretta, seppur notte fonda si diresse nel luogo dove tutto ebbe inizio e dove tutto sembrava stesse per finire.
Fortunatamente qualche luce del locale era rimasta ancora accesa, per cui bussò, quasi troppo rumorosamente, alle porte in vetro e sperò che ci fosse stato qualcuno ad aprirgli. Fortunatamente uno dei camerieri lo fece entrare senza troppi problemi, probabilmente stanco dalle ore di lavoro non aveva nemmeno fatto caso al volto a cui aveva aperto.
Niccolò ringraziò a bassa voce per poi farsi coraggio e bussare alla porta dell'ufficio del suo superiore, nella speranza che questo fosse ancora sveglio e che gli avrebbe dato modo di scusarsi e di chiarire.
Non poteva perdere il locale, era l'ultima sua candela rimasta ancora accesa.
Si tirò giù i lembi della felpa che indossava da ormai due giorni e tentò di aggiustarsi i capelli con le mani, cercando di sembrare quanto meno presentabile. L'occhio gli cadde su uno specchio poggiato sul mobile di fianco la porta che si aprí poco dopo e Niccolò sbuffò rattristato, sentendo la nostalgia della sua figura sempre allegra, sorridente e sempre in forma: "come me so' ridotto..." pensò prima di essere accolto dall'espressione confusa di Gennaro, il gestore del locale.

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